di Pasquale Carlo
Prosciutto di Pietraoja Di Biase. Nell’Annuario generale del Regno del 1933, descrivendo il centro di Pietraroja, essa era indicata come «località alpestre, di rigidissimo clima, alle falde del Monte Mutria». E si aggiungeva: «Si trova schisto e vene di spalto nel monte calcareo Civita, vicinissimo all’abitato, con pezzi di ittiologia e conchiglie pietrificate e pesci. Nonché cave di bitume e pozzi di petrolio. Si producono ottimi prosciutti che vengono esportati».
Ed è proprio tra conchiglie pietrificate e pesci che nel 1980 Giovanni Todesco ritrovò il fossile del piccolo cucciolo di dinosauro (Scipionyx Samniticus) che, battezzato con il nome di Ciro, conquistò nel 1998 la copertina della rivista scientifica ‘Nature’, proiettando il nome di questa piccola località del Matese beneventano in tutto il mondo.
In quegli anni, anche per il prosciutto si prospettava un grande futuro, considerato che Slow Food, che aveva inserito questa rinomata produzione sannita tra i prodotti dell’Arca del Gusto, dava vita al progetto dei Presìdi, mirato al recupero e alla salvaguardia di piccole produzioni di eccellenza gastronomica minacciate dall’agricoltura industriale, dal degrado ambientale, dall’omologazione.
Prosciutto di Pietraroja
Una volta sospeso il Presìdio, del prosciutto di Pietraroja si sono quasi del tutto perse le tracce. Diversi i motivi, tra cui i vincoli imposti dalla burocrazia sanitaria, oltre all’assenza di progetti interessanti, in un piccolo centro che nel periodo intercorso tra il censimento del 1991 e quello del 2011 è passato da 708 a 587 abitanti, scesi ulteriormente a 527 nel 2018.
Al calo degli abitanti si è aggiunto infine un calo, ancora più marcato, del numero dei prosciutti prodotti in loco, tanto che per gli abitanti l’attività più semplice – oltre che redditizia – si è dimostrata quella di “affittare”, a chi ne facesse richiesta, il solo luogo per la stagionatura.
Eppure, stiamo parlando di una vera e propria prelibatezza. Nel Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, dato alle stampe nel 1804, Lorenzo Giustiniani parlava del territorio di Pietraroja come luogo di produzione di «frumento, legumi, e specialmente lenticchie, e vino. I salumi vi riescono di squisito sapore, ed in particolare i prosciutti, che sono davvero decantati in questa nostra città di Napoli».
La particolarità più importante in questa produzione è forse legata proprio alle condizioni meteo che si registrano in questo grazioso borgo che sorge a circa 800 metri di altitudine, ossia quel clima “rigidissimo”, che anche per Slow Food caratterizza fortemente il prodotto: «Da sempre i salumieri del circondario – si legge sul sito della Fondazione Slow Food – si arrampicano con le cosce già “rifilate”, pronte per essere trattate artigianalmente e per essere appese a un soffitto magico che restituirà, dopo almeno dodici mesi ma non più di venti, un prosciutto ottimo e al punto giusto di asciugatura: umido ma non molliccio, delicatamente salato e di lunga persistenza»
Quale luogo migliore quindi per parlare di archeologia culinaria se non a casa del dinosauro Ciro? La storia e la bontà del prosciutto di Pietraroja non potevano rimanere solo nei ricordi, come fosse una leggenda. Ed oggi, per nostra fortuna, abbiamo nuovamente la possibilità di degustare l’ottimo prosciutto, e di farlo direttamente a Pietraroja, grazie alla prosciutteria nata dalla tenacia di Emilio Di Biase e dalla forte collaborazione dei suoi familiari, nonché dalla maestria di un bravo macellaio telesino (Antonio Salomone) ed ai suoi consigli nella scelta delle carni da stagionare.
Alla base di questo progetto c’è tanta passione per il buon gusto e soprattutto un viscerale amore per la propria terra. Sì, perché Emilio è un medico di base, che quasi per caso si ritrovò, nei decenni scorsi, ad operare nella località montana di Courmayeur, in Valle d’Aosta. In quella terra ha osservato da vicino come artigianato e gastronomia possano rappresentare elementi intorno a cui poter costruire una valida offerta per trasformare i territori svantaggiati, come quelli dell’entroterra e di montagna, in ambìte mete turistiche. Un turismo non di grandi numeri, ma di grande qualità; quel turismo che va alla ricerca di emozioni e di sapori unici.
E così ha cominciato il suo percorso con le castagne della sua amata Civitella Licinio (la frazione di Cusano Mutri di cui è originario) e con i prodotti del sottobosco. Proponendo antiche ricette a base di legumi, verdure e farinacei, ha fatto degustare delle vere prelibatezze partecipando agli eventi enogastronomici più importanti del territorio. L’ultima tappa di questo percorso (in ordine di tempo, perchè siamo sicuri che la sua vivacità lo ha già portato oltre) è la realizzazione di una prosciutteria, dove è possibile degustare non solo il prodotto prìncipe di Pietraroja, ma anche tanti assaggi di territorio.
Noi l’abbiamo visitata in anteprima, ed è stata un’esperienza unica. Il locale è nato dal progetto di “rianimare” una antica e suggestiva abitazione che sorge nel cuore del piccolo centro abitato. Affascinante raggiungerlo a piedi, ascoltando il silenzio che regna tra queste case, molte non più abitate, dove sono trascorsi secoli e secoli di storia, come ci raccontano le chiavi di volta di straordinari portali in pietra. Quella pietra a cui forse il paese deve anche il nome (pietra rosa, la caratteristica tonalità della pietra che si trova sul costone di sud-est del monte Palombaro).
Appena entrati la vista viene attratta dalla botola aperta nel pavimento in legno. Da qui si accedeva nella sottostante cantina; ora la botola è coperta da vetro calpestabile che offre un godurioso sguardo su alcuni prosciutti in fase di stagionatura.
Da un’altra scala si scende nel caveau, dove riposano prosciutti stagionati da dodici, diciotto, ventiquattro e fino a trentasei mesi. Da un secondo accesso esterno si entra, invece, nella sala della lavorazione, dove fa bella mostra di sé un attrezzo di legno, che qualcuno (forse erroneamente) chiama “prigiotta”, utilizzato per pressare i prosciutti nella fase più importante della lavorazione. L’attrezzo richiama alla mente quella fornitura di “prigiotto di Pietraroja”, commissionata nel 1776 dal Duca di Laurenzana di Piedimonte Matese (allora Piedimonte d’Alife). Oggi, con il nome prigiotto troviamo un Prodotto Agroalimentare Tradizionale (Pat) preparato sempre dalle cosce di suino lavorate a pezzi piccoli: nei luoghi più in basso, per ragioni climatiche, viene esportato l’osso, per evitare l’insediarsi di larve e muffe dannose all’interno della massa di carne.
La pressa entra in funzione dopo che le cosce vengono rifilate a mano e salate, restando per circa due-tre settimane in salamoia. Ripulite del sale residuo, vengono schiacciate per quattro giorni e sospese in un luogo fumoso per una settimana, per poi essere pressate ancora prima di essere leggermente speziate. A questo punto, per i prosciutti è il tempo di essere appesi tra le mura in pietra.
Una volta seduti a tavola il tempo sembra fermarsi; anzi trasportarci indietro nel passato. Si inizia ovviamente con i salumi: salsiccia, soppressata, pancetta, capocollo, un superlativo lardo servito con castagne e, ovviamente, il prosciutto.
Dopo altre prelibatezze (un particolare prosciutto con melone, poi fiori di zucca ripieni e zucchine secche con pomodoro e pane raffermo) è il tempo della degustazione dei carrati, la tradizionale pasta di Pietraroja.
A seguire, salsiccia di polmone, cotechino e l’introvabile <‘nnoglia>, ottenuta dalle parti grosse e spesse dello stomaco e dell’intestino del maiale sottoposte a pressatura e stagionate nelle cucine di una volta, in presenza del fumo dei camini.
Prima di chiudere, la deliziosa e morbida cotica ripiena di frittata e una “baguette” pietrarojana con formaggio e prosciutto stagionato.
Tante bontà e un prosciutto dal sapore unico, indimenticabile. Più di un motivo per un bel viaggio a Pietraroja.
Prosciutteria – Centro storico di Pietraroja (BN)
Aperto il fine settimana, posti limitati, su prenotazione al 338.2207775
Prosciutto di Pietraroja Di Biase
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