Parte una nuova rubrica su questo blog curata dalla giornalista Monica Piscitelli. Interamente ed esclusivamente dedicata ai presidi Slow Food, ossia all’artigianato agricolo di qualità. Una idea di agricoltura nuova, nata a Positano nell’ormai lontano 1998. Da allora i presidi si sono moltiplicati
Dietro ogni prodotto, storie, curiosità, ricette tipiche. Al termine di questo cammini avremo una straordinaria mappa mai disegnata in precedenza.
di Monica Piscitelli
Lanciati nel 2000, i Presidi Slow Food sono un’interessante realtà nel panorama agroalimentare italiano. In che posizione è la Campania e quali sono le novità imminenti alle quali il Presidente Slow Food Italia Roberto Burdese ha accennato nelle scorse settimane (qui) ad Avellino in occasione della presentazione campana di Slow Wine? Si riattizza il fuoco della passione Slow Food per il progetto e già sono in vista diverse importanti novità. Ne abbiamo parlato con Gaetano Pascale, presidente di Slow Food Campania e ancora con Vito Trotta, Responsabile Regionale Presidi Slow Food per la Campania e la Basilicata.
I Presidi sono un progetto Slow Food nato sul finire degli anni Novanta. A quando risalgono i primi campani e quali sono?
In realtà i primi presìdi in Italia furono lanciati nel 2000 e in Campania subito furono inseriti un buon numero di prodotti, circa una ventina, che poi negli anni, per diversi motivi, si è ridotto fino a una dozzina. Tra quelli attualmente chiusi o sospesi ricordo Castagna infornata di Montella, il Gamberetto di Nassa, il Limone sfusato di Amalfi, la Mozzarella nella Mortella, il Pecorino Bagnolese, il Pecorino di Laticauda, il Prosciutto di Pietraroja, il Provolone del Monaco. Molti altri sono tutt’ora presìdi come le Alici di Menaia, il Carciofo Bianci di Pertosa,il Pomodoro San Marzano, la Soppressata di Gioi.
Da dove è partita e a che punto è la tutela dei prodotti in estinzione in Campania, vista dal suo angolo visuale privilegiato?
Ricordo che già prima dei Presìdi, quando Slow Food lanciò l’Arca del Gusto, in Campania c’era una buona sensibilità sui prodotti a rischio di estinzione. Oltre a Slow Food c’erano già alcune istituzioni che si preoccupavano di difendere la biodiversità a rischio di estinzione. Sicuramente ciò è stato molto positivo, in quanto attualmente possiamo ritenere che nessuno di prodotti su cui si è discusso e si operato si sia effettivamente estinto. Dall’altro canto le difficoltà restano tante. Un cosa è salvare un prodotto dal rischio di estinzione, un cosa ben diversa è rilanciarlo e creare un modello economico intorno a un prodotto. Tanti di questi prodotti, avrebbero delle potenzialità incredibili dal punto di vista commerciale e invece si fa fatica a convincere i produttori nel proseguire con determinazione l’attività che portano avanti.
Quali sono i prossimi obiettivi e le prossime tappe del percorso di tutela e valorizzazione dei Presidi in Campania?
Tra gli obiettivi a breve termine sicuramente incrementare il numero dei prodotti presìdiati nella nostra regione. Abbiamo una tale ricchezza di prodotti di piccola scala che c’è solo l’imbarazzo della scelta per stabilire le priorità. Potenzialmente in Campania si possono avere ben oltre 20 Presìdi e, credo, nel giro di 2 o 3 anni questo numero è alla nostra portata. Però non basta avere un buon numero di prodotti presìdiati per garantire buona salute all’agricoltura di piccola scala e ai prodotti a rischio di estinzione. E’ importante che ci siano anche tanti produttori che aderiscono ai Presìdì (e quindi che sottoscrivano i relativi disciplinari di produzione), e per questo ci spenderemo molto come associazione nei prossimi anni affinchè crescano sensibilmente i produttori che vi aderiscono. Oggi ci sono alcuni Presìdi con un solo produttore, è un rischio che non ci possiamo permettere, dobbiamo convincere agricoltori e allevatori a cimentarsi con queste produzioni ed entrare nel Presìdio. Sono ragionevolmente convinto che oggi i Presìdi siano dei modelli economici vincenti. Lo dimostra il fatto che la maggior parte dei produttori dei Presìdi non ha problemi a collocarli commercialmente e, soprattutto, dedica più lavoro (che qualche volta si traduce anche in incremento occupazionale) a questa attività. Proprio su questo terreno vorremmo avviare un’importante azione per dare valore al lavoro che svolgiamo sui Presìdi: affidare a un’università uno studio che dimostri quali cambiamenti hanno determinato i Presìdi, dal fatturato al numero degli addetti, dalle prospettive commerciali alle possibilità di espandere leggermente le produzioni. Così sapremmo bene quali potenzialità nasconde questo piccolo grande strumento di tutela e valorizzazione.
Come ha avuto occasione di dire recentemente ad Avellino il presidente Roberto Burdese, Slow Wine ha “riattizzato” la fiamma della passione per il vino di Slow Food. Avrà questa nuova primavera, dei riflessi sul progetto dei Presidi?
Certamente sì. Anche perchè da tutta Italia ci chiedono di intervenire in difesa di alcune produzioni vitivinicole che lasciate a se stesse rischierebbero di soccombere.
Come mai fino ad ora il mondo del vino era stato escluso dal progetto e da cosa dipende questo decisa sterzata?
In effetti in passato c’erano stati alcuni vini “presidiati” da Slow Food, come lo Schiacchetrà delle Cinque Terre, poi ci si accorse che il vino presenta delle problametiche assai differenti rispetto agli altri prodotti dell’agroalimentare, così si decise di sospenderli per studiare delle azioni ad hoc per i Presìdi sul vino.
Che requisiti dovrà avere una produzione vitivinicola per diventare Presidio?
Ovviamente si parte dalla vigna. Prima di presidiare un vino bisogna presidiare la vigna da cui prende origine. Alcuni vigneti in Italia sono degli autentici monumenti alla difesa del paesaggio, delle tradizioni e delle tecniche vitivinicole. E in Campania abbiamo degli esempi emblematici: si pensi alla vite maritata dell’aversano o alle vigne terrazzate dei Campi Flegrei, di Ischia, della Costiera. Perdere questi vigneti significherebbere perdere dei pezzi importanti della nostra storia enologica. In questo senso i Presìdi sul vino, come anche quelli sugli oliveti secolari che vorremmo mettere in campo, assumono una rilevanza ancora maggiore rispetto al progetto classico.
Che posto ha e potrà assumere la Campania nei piani di Slow Food per il futuro?
La mia impressione, ovviamente di parte, è che oggi la Campania sia molto cresciuta dentro l’associazione. Cresciuta non solo in termini numerici, ma anche e soprattutto in termini di progetti. Sui temi dell’educazione, della tutela delle piccole produzioni, della realizazzione delle iniziative la Campania, con le sue condotte, c’è e in modo evidente. Come è cresciuta la percezione “sociale” dell’associazione. In passato spesso accadeva di dover spiegare a un sindaco o un presidente di una provincia che Slow Food non era (solo) un’associazione di gurmet. Oggi ciò accade sempre più di rado. Le istituzioni chi chiamano e ci chiedono di interagire con loro, anche su temi di notevole rilevanza sociale (emergenza rifiuti, utilizzazioni di beni pubblici, attività di promozione delle produzioni locali). Perciò credo che Slow Food in futuro, anche abbastanza prossimo, potrà avviare importanti progetti nella nostra regione.
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