Prodotti tipici calabresi
di Giovanna Pizzi
In questo momento in cui ci dobbiamo fermare, innumerevoli sono le iniziative che ci consentono di muoverci rimanendo comodi sul divano di casa nostra: musei di tutto il mondo regalano ingressi virtuali, biblioteche mettono a disposizione i loro libri on line, possiamo ascoltare, con un’ app, le radio sparse per il globo e via dicendo… e visto che con l’immaginazione possiamo andare ovunque, ho pensato di dare il mio minuscolo contributo con un tour nell’enogastronomia calabrese. Solo con l’immaginazione infatti si può viaggiare in Calabria nel tempo di un articolo immergendosi in tutti i suoi sapori, perché questa meravigliosa terra è un enorme mosaico di gusti e di prodotti tipici. Certo, tutta l’Italia lo è, e forse il sud in particolare, ma la Calabria ha uno “svantaggio” che la rende particolarmente affascinante: la sua staticità, quella che in questo momento è condizione uniformante, che negli ultimi anni l’ha resa una regione sempre più appetibile e da scoprire.
In alcune zone in particolare tutto è immobile, le tradizioni sono cristallizzate, la cultura contadina resiste, le produzioni agroalimentari sono le stesse dei nostri bisnonni e le ricette che si tramandano da generazioni sono un patrimonio inestimabile. “Moderno” spesso e volentieri è un termine con accezione ironicamente negativa e l’orgoglio di mantenere quest’identità è vivo un po’ ovunque anche a dispetto della necessaria evoluzione. E un po’ per resistenza e un po’ per mancanza di mezzi esistono piatti e prodotti tipici artigianali che non sono stati intaccati dal tempo, dall’evoluzione del gusto o dall’innovazione dei mezzi produttivi.
E in questo preciso momento in cui tutti ci ritroviamo ad avere a che fare con lievito e farina e a scoprire gesti antichi come impastare il pane o fare la pasta in casa, qui ci si sente a proprio agio in quei rituali semplici e quell’essenzialità che sono il cuore pulsante dell’enogastronomia calabrese.
In famiglia ancora si cucina (sembra un’affermazione scontata ma non lo è), le nonne al mattino sono già tra i fornelli, il pranzo della domenica è un appuntamento che resiste e la cucina migliore è quella di casa propria… e in questo scenario non stupisce che mentre in Italia la ristorazione, negli scorsi decenni, nasceva, si evolveva e si passava dalle trattorie ai ristoranti e dalla cucina tradizionale a quella classica, sfiorando la nouvelle cuisine e la molecolare per approdare alla gourmet, in Calabria tutto restava fermo. Bastavano le dita delle mani, o forse di una sola, fino a pochissimi anni fa per contare i ristoranti presenti nelle guide.
Ma per fortuna negli ultimi anni è iniziata una nuova era grazie al lavoro e alla passione di un gruppo di giovani chef che pur restando fortemente legati alla tradizione ed alla ricchezza dei prodotti della loro terra (tornando a quell’orgoglio delle proprie radici di cui sopra) hanno schiacciato il piede sull’acceleratore dell’innovazione e soprattutto hanno creato un movimento sinergico che ha spinto in avanti l’intero comparto della ristorazione. La Calabria ha iniziato a mettere la testa fuori dal sacco, ha cominciato a far parlare di sè e questo ha motivato anche tanti produttori dell’agroalimentare, piccoli e grandi, che hanno cominciato a credere nelle loro possibilità e a puntare sempre di più sulla qualità dei loro prodotti, mantenendo comunque la propria identità. Un percorso iniziato anni prima nel mondo del vino, con le cantine calabresi che si sono moltiplicate e che molto spesso producono vini sorprendenti, e in quello dell’olio extravergine d’oliva che da olii di grande pregio.
E nel frattempo è successo che le lancette dell’orologio hanno fatto tutto il giro e si è tornati ad apprezzare e ricercare i sapori autentici, gli ingredienti dimenticati, le piccole produzioni di nicchia e i gusti della memoria, (e in queste settimane forse più che mai), tutte cose che in Calabria non sono un ritorno ma lo “status quo” e, visto che “un orologio fermo segna l’ora esatta due volte al giorno”, è sicuramente l’ora di questa regione che adesso è pronta a cavalcare la scena.
E mentre le parole scorrono nel tentativo di fare un’istantanea che in realtà è un preambolo, faccio mente locale sugli straordinari prodotti tipici calabresi e mi sorprendo io stessa a tirare fuori dal cilindro una prelibatezza dietro l’altra. “Ne verrà fuori una carrellata lunghissima e qualcosa la salto pure” penso… e così mi ricordo, perché noi calabresi lo dimentichiamo spesso, di quanto è straordinaria la mia terra. Né tantomeno si può dare una corretta sequenza perché ogni prodotto, da buon calabrese, ha un’identità forte e un carattere deciso da poter essere scelto come il più rappresentativo.
Infatti…
Dici Calabria e dici… (sono proprio curiosa di sapere cosa vi viene in mente per prima)
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Prodotti tipici calabresi
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‘Nduja, il salume piccante, morbido e spalmabile che fa impazzire il mondo, un insaccato a base di carni di maiale e peperoncino, affumicato e stagionato, che è il prodotto calabrese tra i più amati ed esportati.
L’ “originale” è quella di Spìlinga, un paesino del vibonese dove ad agosto di ogni anno dal 1975 si svolge una celebre sagra della ‘nduja, qui il peperoncino usato è rigorosamente quello del Monte Poro e ci sono dei salumifici artigianali che fanno un prodotto indimenticabile, ma si produce anche nel cosentino e in diverse zone della Calabria (e se non si riesce nella titanica impresa del disciplinare chissà dove altro). La puoi gustare nei sughi, sulla pizza, sui crostini, con i formaggi freschi e scaldata con l’apposito “scaldanduja”, sicuramente ti farà esclamare “ma come ho fatto a farne a meno finora?!”
Dici Calabria e dici… peperoncino, l’associazione è facile essendo un ingrediente della nduja ma lui, inutile dirlo, è un simbolo assoluto dalla calabresità e gode del suo prestigio e della sua personalità ben definita. Vanta diverse varietà con diverso grado di piccantezza, pur essendo comunque il più piccante d’Italia, e si produce indistintamente in tutta la regione, dai campi ai “vasi sul balcone” anche se si contendono il primato della popolarità quello di Soverato (CZ) e quello dell’alto Tirreno Cosentino col popolarissimo Festival a Diamante e il Museo del Peperoncino a Maierà.
Ma dici Calabria e dici…
Cipolla Rossa di Tropea, dolcissima e croccante, una delizia unica che, per intenderci, esprime tutta se stessa già cruda e fresca in una “semplice” insalata. Assaggiandola si può capire come per i contadini di un tempo mangiare “pane e cipolla” non fosse esattamente un dispiacere. Tutelata dal marchio Igp spesso è difficile da reperire e confusa con prodotti simili sui banchi dell’ortofrutta, è prodotta lungo la costa medio/alta tirrenica della Calabria e facilmente si trova solo qui… poco male visto che è pure uno dei tratti più belli d’Italia.
E per vicinanza geografica mi viene subito in mente il Tartufo di Pizzo.
Cos’è? Questo sì che davvero lo trovate solo qui, quello originale intendo, e vi assicuro che vale la pena attraversare tutta l’Italia e oltre per arrivare a Pizzo Calabro (VV), non un km prima né uno dopo, e godere almeno una volta nella vita della bontà di questa “palla” di gelato artigianale al cioccolato e alla nocciola con un cuore fuso che davvero ci fa riconciliare con noi stessi. Le varie gelaterie del paese si contendono quello più buono e la ricetta originale è ancora un segreto.
Ma andiamo oltre, sono sicura che la prima cosa che è venuta in mente a molti voi sono i salumi e i formaggi tipici calabresi, prodotti che senz’altro rappresentano egregiamente questo territorio.
La Calabria vanta ben quattro Dop tra i salumi
(Capocollo, Soppressata, Pancetta e Salsiccia di Calabria), quattro monumenti del gusto che testimoniano l’importante tradizione della lavorazione del maiale. Tutti conoscono e tanti senz’altro sono stati deliziati dal delicato capocollo o dall’aromatica soppressata, i salumi più nobili, o stuzzicati dalla salsiccia più o meno piccante con i semi di finocchio e dalla pancetta che si scioglie in bocca. E ancora, Dop a parte, i salumi di Suino Nero Calabrese (antica razza autoctona che per fortuna si è ripreso ad allevare così come, tra i bovini, succede alla pregiata Razza Podolica Calabrese), il guanciale (buccularu dalle mie parti), il tipico Gammune di Belmonte, il salame, il filetto o la pancetta arrotolata.
E i formaggi? Altro immenso patrimonio culturale materiale ed immateriale.
Prima i blasonati, il Caciocavallo Silano Dop, vi prego assaggiatelo alla piastra, il Pecorino Crotonese Dop e la quasi Dop del Pecorino del Monte Poro, ognuno coi suoi pascoli.
e la sua produzione, freschi o stagionati, più o meno sapidi profumati o aromatici sono straordinari. Così come lo sono il Caciocavallo di Ciminà, paesino della locride, o la vicina Ricotta Affumicata di Mammola (cittadella del gusto per un altro prodotto tipico) oppure il butirro, un piccolo caciocavallo con un cuore di burro, gli animaletti di provola o ancora la “musulupa” (quasi estinto formaggio dell’area grecanica dalle forme caratteristiche) tutte produzioni spesso molto piccole ma, vi assicuro, imperdibili. Per non parlare dei formaggi caprini, come quelli dell’Aspromonte o della Limina, e della ricotta in tutte le sue forme, fresca infornata salata o stagionata, di mucca di capra o di pecora, alcune hanno ancora il gusto di quella che i contadini di un tempo facevano nelle “fascette”.
Ma dici Calabria e dici anche Liquirizia.
È qui infatti che le radici più pregiate hanno trovato il loro regno tant’è che è una delle 12 Dop calabresi (fresca, essiccata o come estratto, nella sua varietà denominata “Cordara”). Cresce spontanea o in diversi liquirizieti e viene trasformata per essere consumata nelle più svariate forme, regalando sempre il suo gusto intenso e caratteristico: pura, in radici, bastoncini, spezzata può essere aromatizzata, ridursi in polvere o diventare liquore. La sua capitale è senza dubbio Rossano Calabro (CS) dove imperdibile è il museo della liquirizia, secondo museo d’impresa più visitato d’Italia (dopo quello della Ferrari), che si trova all’ interno
dell’antico palazzo della “Amarelli”, azienda storica di fama internazionale fondata nel 1731 fiore all’occhiello tra le eccellenze calabresi, della quale le prime tracce di attività, quella dell’estrazione dell’”oro nero”, affondano le “radici” nel 1500.
Prodotti tipici calabresi? Proseguiamo nel nostro viaggio restando tra gli aromi inebrianti di questa terra.
Subito il naso va al Bergamotto di Reggio Calabria, agrume dalle meravigliose caratteristiche che esiste solo qui, da sempre utilizzato nell’industria profumiera (Re Sole spargeva la sua essenza per tutta la Reggia di Versailles), che sta spopolando ultimamente nella sua nuova veste di “frutto della salute” per le innumerevoli proprietà benefiche della sua premuta nonché nelle cucine degli chef, in pasticceria e in gastronomia.
Ma se parliamo di Calabria parliamo anche dell’illustre cugino del bergamotto, un altro agrume calabrese, il Cedro di Calabria. Prodotto nella splendida Riviera dei Cedri, nella costa tirrenica cosentina, anch’esso ha una storia produttiva antica e molto interessante che addirittura sembra avere origini divine perché secondo la tradizione ebraica è il frutto dell’ “Albero più bello”. La varietà migliore, il “Liscio di Diamante”, si produce a Santa Maria del Cedro (CS), meta ogni anno dei rabbini di tutte le comunità ebraiche del mondo che giungono fin qui per raccogliere personalmente dagli alberi i frutti migliori. Agrume dal sapore dolce e delicato è usato in cucina in diverse preparazioni locali e possiamo apprezzarlo come frutto candito, nei liquori, come marmellata o nella cedrata.
Sono tanti altri gli agrumi calabresi che meriterebbero righe e righe di descrizione
Come le clementine di Calabria Igp, che danno un succo straordinario, il Limone di Rocca Imperiale o le Arance di San Giuseppe… se vi soffermate non lo sentite anche voi il loro profumo?
Ma andiamo avanti perché la carrellata non è finita e la lista è ancora lunga… ma non temo di essere prolissa perché mentre leggete sono convinta che l’acquolina in bocca vi fa viaggiare con la mente come premesso all’inizio.
E allora andiamo a mare, inevitabile in una regione che vanta 780 km di coste, anche se bisogna dire che la cucina calabrese è più una cucina di terra e la pesca è tipica di alcune zone o cittadine disseminate lungo i due mari: Gioiosa Ionica e Roccella Ionica(RC), Soverato (CZ), Corigliano-Rossano(CS) e Cirò Marina (KR) sul Mar Ionio e Scilla e Bagnara (RC) o Vibo Marina (VV) sul Tirreno.
Ma prima di tuffarci tra le onde facciamo un salto a Mammola, paesino dell’entroterra sul versante ionico di Reggio Calabria che, cosa assolutamente singolare, è diventato la mecca del gusto per un prodotto che forse tanto locale non è ma è diventato comunque identitario, il Pesce Stocco… a fare di questo prodotto, che arriva essiccato dai mari del nord il re di queste zone è la miracolosa acqua delle sue fonti nella quale viene “ammollato”. E miracolosa lo è davvero se dico che nell’ultimo decennio nel borgo hanno aperto una quindicina di ristoranti che propongono solo piatti a base di stocco (in un paesino di poche migliaia di abitanti) che sono assaliti ogni anno da migliaia di buongustai che arrivano da ogni parte del mondo. Il Pesce stocco ha trovato il suo habitat naturale anche nella dirimpettaia Cittanova (RC) nella piana di Gioia Tauro.
Ma arriviamo finalmente a mare.
Tra i prodotti ittici più rappresentativi e amati in Calabria c’è il pesce spada soprattutto quello dello Stretto di Messina. La sua pesca ha una tradizione antica e affascinante e a Scilla (RC) e Bagnara (RC) da maggio a settembre si vedono in acqua le poche feluche ancora esistenti, imbarcazioni con una lunga passerella a prua e una torretta verticale di avvistamento alta fino a 25m, che sono il simbolo di questi borghi marinari.
Una volta pescato, “la morte sua” è arrostito col salmoriglio (un’emulsione di olio, limone, aglio, prezzemolo e un pizzico di sale, con tutte le varianti del caso come aceto pepe o origano) ma anche arrotolato ad involtino o in umido con pomodoro, olive e capperi.
E negli ultimi anni, il Panino col Pescespada, da classico cibo dei pescatori e degli abitanti del luogo, è diventato un nuovo simbolo enogastronomico calabrese e delizia tutti i golosi che d’estate affollano Scilla e la splendida Chianalea (RC), uno dei “Borghi più belli d’Italia”.
Restiamo a mare e risaliamo la costa tirrenica di un centinaio di Km per tornare nel vibonese, qui il re è il tonno. Fino agli anni ’60 veniva catturato con l’antico rito della “mattanza” e la sua pesca ha caratterizzato l’economia di tutto questo territorio costiero fin dal XV secolo: la Tonnara di Bivona (VV), affascinante e decadente esempio di archeologia industriale, lo testimonia tutt’oggi. La “Callipo”, eccellenza italiana del tonno sottolio, fondata nel 1913 è infatti una delle aziende più longeve del sud Italia e tra le migliori in assoluto fin da quei tempi tanto da aver ricevuto il “Brevetto di fornitrice delle Real Casa” dai Savoia.
Il tonno prodotto spesso arriva sulle nostre tavole sott’olio ma è insuperabile fresco, per esempio crudo e tagliato a cubetti in una deliziosa tartare oppure appena scottato sulla piastra e accompagnato da cipolla stufata, ovviamente di Tropea.
Figlie del mare molto amate in Calabria sono anche le alici e le sarde, sott’olio o sottosale (che goduria se farciscono le “crispelle”, in alcune zone “zeppole”) mentre fresche diventano spesso tortiera o cotolette, stesso destino dell’appetitosa spatola (in Italia pesce sciabola) anch’essa tipica di questi mari. E voglio dedicare due righe anche al principe (per me) del mare calabrese, spesso una chimera, i delicatissimi “surici” (pesce pettine), lo dico al plurale perché uno non basta, fortunato è chi riesce a degustarli, rigorosamente fritti e da mangiare con le mani.
Ovviamente ancora non abbiamo finito…
La Calabria nell’immaginario collettivo ma soprattutto nella realtà è terra di conserve, la salsa di pomodoro (dell’antica tradizione di “fare le bottiglie”), sottoli, i sottaceti e le creme varie la fanno da padrone: pomodori secchi, melanzane, gli straordinari carciofini selvatici, i peperoncini anche farciti, le zucchine quelle lunghe e quelle “spinose”, le olive schiacciate o informate o la più classica giardiniera sono il prodotto ultimo della lavorazione dei tanti ortaggi calabresi che se non vengono destinati alla conservazione diventano polpette, frittelle, parmigiane o peperonate, vengono fritti, ripieni o ammollicati nelle più tipiche cucine regionali.
Ma fatemi fare un accenno: le patate della Sila, il Pomodoro di Belmonte, citiamo, anche se sta in Basilicata ma è un pugno di chilometri, la Melanzana rossa di Rotonda il Peperone Roggianese, i peperoni (o zafarani) cruschi, gli asparagi selvatici, la portulaca e le altre erbe selvatiche che arricchiscono le zuppe… il massimo del “comfort food” se sono di legumi: la Lenticchia di Mormanno il Fagiolo Poverello Bianco, l’antica cicerchia, le fave da fare “a macco” o i ceci che di solito fanno coppia con le “lagane”.
E non c’è zuppa o piatto calabrese che non è arricchito da spezie, semi e aromi che sorprendentemente in Calabria innalzano i parametri dell’intensità olfattiva: l’origano dal profumo inimitabile, il rosmarino o il prezioso cumino, l’anice nero rarissimo e ancora il finocchietto selvatico o il sambuco.
Un posto in prima fila lo meritano anche i funghi, della Sila del Pollino delle Serre o dell’Aspromonte poco importa, e negli ultimi anni la Calabria si è rivelata anche terra di tartufi profumati come quelli di altre zone d’Italia.
E gli ortaggi camminano sempre a braccetto con la frutta, numerose sono le varietà tipiche della Calabria, come la “pesca merendella”, le Prugne di Terranova Sappo Minulio, le Ciliegie di Roseto Capo Spulico e ancora le more di gelso o il kiwi giallo ma, tra tutte, sul gradino più alto del podio ci sono i dolcissimi fichi, in primis il Fico Dottato di Cosenza Igp. Non c’è zona della Calabria in cui i fichi non vengono essiccati, farciti di miele, ricoperti di cioccolato e utilizzati in tantissimi dolci della tradizione, di solito con miele e frutta secca, come nelle “crocette” o nei “petrali”. Gli altri due posti del podio (secondo me) sono occupati dall’annona, più unico che raro frutto reggino di origine tropicale, e dai fichi d’india, spontanei succosi e zuccherini.
Dicevamo dolci? Se parliamo di quelli tipici, anche loro seguono la cultura atavica e insita della conservabilità e sono tutti associati alle feste religiose: i mostaccioli, la pitta ‘mpigliata, le nacatole, i buccunotti, i turdilli, la pignolata glassata e col miele, le paste secche di mandorla e addirittura una Igp tra vari ed eleganti torroni, il Torrone di Bagnara.
Ogni tanto fa capolino un dolce cremoso, come la Pasta Gioiosana e i Sospiri… Insomma ogni angolo di Calabria ha il suo dolce tipico strettamente legato al territorio, senza dimenticare la bontà dei gelati e delle granite rigorosamente accompagnate dalla brioche col tuppo. Ah, e in barattolo, tra le dolcezze, anche marmellate e mieli incredibili, di sulla o di agrumi o delicati di mille fiori… come quello di un’aziendina di Molochio (RC) che è una vera chicca.
Tutto questo parlar di dolci mi ha fatto venir voglia di un bel passito. E perdonatemi se qui gonfio il petto degustando un incredibile Greco di Bianco Dop, che sa di fichi e datteri, appassito al sole e prodotto tra Bianco e Casignana in provincia di Reggio, che pare sia proprio il “nettare degli dei” e sicuramente è uno dei vini più antichi del mondo… che condivide il territorio con il Mantonico, suo vicino di casa, anche lui passito e straordinario.
Quel che è certo è che la Calabria è sempre più terra di vino, negli ultimi 15 anni da regione di vino sfuso e da taglio ha visto nascere una cantina dietro l’altra, gode di una produzione di altissima qualità ed è madre di vini che spesso commuovono. Tra questi un altro grande passito, il Moscato di Saracena, prodotto quasi esclusivamente a Saracena (CS) nel Parco Nazionale del Pollino e riportato fortunatamente in vita nello scorso decennio, perché anch’esso come il Greco di Bianco stava scomparendo. Così come era scomparso dai disciplinari un vitigno simbolo della Calabria, lo Zibibbo di Pizzo che negli ultimi anni è praticamente rinato e ci regala bellissime espressioni i vinificato secco, passito e ultimamente nella versione “orange”.
Mentre tra i primi autoctoni calabresi ad essere stato recuperato quando ancora in Calabria si piantavano solo gli internazionali c’è il Magliocco, protagonista della Dop Terre di Cosenza, forte di carattere e dal colore intenso e carico che in alcune versioni in purezza resta un fuoriclasse, ripreso per primo dalla storica azienda “Librandi” che ha fatto del recupero dei vitigni autoctoni calabresi una missione, mettendo a dimora, in un campo sperimentale, ben 198 varietà recuperate.
Ma il vino che rappresenta forse meglio la Calabria, se non posso dirlo per preferenza personale lo dico per questioni storiche e per “sentito dire collettivo”, è il Cirò. È stata la prima Doc (adesso Dop) calabrese, è prodotto da uve gaglioppo ed è un vino di una potenza ed espressività come pochi, dal colore rosso scarico tanto che potrebbe sembrare un barolo, e vi dirò spesso al barolo non ha nulla da invidiare, che è tornato agli antichi clamori grazie al movimento spontaneo di un groppo di vignaioli che si sono resi protagonisti della cosidetta “Cirò Revolution”.
Ma siamo nel mediterraneo e non si può parlare di vino senza parlare di olio, ovviamente nella sua massima espressione, l’Extra Vergine d’Oliva. E la Calabria, con le sue tre Dop e le sue invidiabili cultivar, su tutte l’ottobratica, la carolea e la cassanese, produce degli oli dai sentori paradisiaci. E se penso agli ulivi plurisecolari e statuari, come quelli della Piana di Gioia Tauro, che danno un’olio che si impone sempre tra i primi nei concorsi oleari italiani e mondiali, come quello dell’”Olearia San Giorgio”, azienda che ha aperto la strada negli anni ‘90 alla produzione d’eccellenza
trascinando con sé l’intero comparto, davvero mi emoziono…
soprattutto al pensiero dell’olio appena franto sul pane caldo appena sfornato.
Perché ammettiamolo, c’è qualcosa di più buono, nella sua essenzialità, di pane e olio?
E in Calabria il pane buono lo è davvero, da quello di Cerchiara a quello di Pellegrina, da quello di segale (grano di “jermanu”) di Canolo a quello di Cutro, fresco o biscottato, di castagne o di patate, a mo’ di pitta o con i semi di sesamo o di cumino è sempre e comunque una questione di “identità”.
Adesso che conosciamo i suoi prodotti è facile intuire i sapori della cucina tipica calabrese che è intensa e decisa ma comunque rassicurante, espressione il più delle volte della tradizione contadina e pur avendo sfumature molto territoriali, dovute anche alla fusione con altre culture da quella “arbereshe” a quella “grecanica”, è la stessa in tutta la regione con le cotture lente dei sughi, come quella del ragù (calabrese ovviamente) o delle minestre, la pasta fatta a mano col ferretto, sia essa “fileja” o “maccheroni”, le carni stufate, immancabile l’agnello o la capra, o l’uso delle parti meno nobili del maiale o del bovino come nelle “frittole” reggine o nel “morzello” catanzarese.
A questo punto il nostro lauto pasto, per usare un eufemismo, si può dire concluso… anzi no, ci serve proprio un digestivo, ovviamente fatto con qualcuno dei prodotti appena elencati che diventano liquori, rosòli, o amari (bergamino finocchietto anice liquirizia etc), ovviamente sempre offerti… e non si può non citare quello di un’azienda che è leader mondiale e motivo di orgoglio calabrese la “Caffo” col suo “Amaro del Capo”.
Ditemi se non è stato un viaggio meraviglioso, questo nei sapori e nella tradizione calabrese!
Ogni tassello del mosaico di questa terra ha infatti sempre qualcosa da raccontare, un piatto identitario, un fritto, una spezia, un tipo di pasta o un dolce tipico che sa di amore e di abbondanza. E se poi vi dico che tutti i suoi prodotti sono incastonati nei suoi borghi, come le pietre preziose di un gioiello, in un territorio bellissimo forgiato perfettamente per accoglierli, sono certa che, quando torneremo ad abbracciarci, una passeggiata in Calabria può essere inserita tra le cose da fare.
È zona rossa, come tutta l’Italia, ma ha il blu del mare e il verde dei campi, il bianco della neve d’inverno e l’arancione dei boschi in autunno, il grigio delle fiumare e il rosa dei fiori in primavera.
Tutte cose che allungano la vita! E infatti pare proprio che sia stata la Calabria a dare i natali alla “dieta mediterranea” e la longevità degli abitanti di alcuni suoi paesi lo dimostra.
A questo punto Siamo davvero arrivati a destinazione, il nostro viaggio è finito e come di ritorno dai viaggi più belli sarebbe fantastico portare a casa qualcosa che ci possa ricordare le sensazioni vissute.
Ma visto che non dobbiamo muoverci… voi state a casa! ci pensano le aziende a recapitarvi i loro prodotti.
Di seguito una selezione davvero accurata da “mettere tra i preferiti”, di piccole aziende artigianali che fanno dei capolavori.
Pasqua si avvicina… io ve l’ho detto!
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Il suo rosato “Il Marinetto” non vi farà cambiare più vino (fa spedizioni eccezionalmente per questo periodo)-
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Facebook Giuseppe Calabrese Agricoltore a Saracena
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Facebook La Nostra Tradizione
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Delizie Vaticane di Tropea
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Cooperativa Valle Lao
-ortaggi in conserva coltivati e trasformati ma anche peperoncino, salumi di suino nero e soprattutto il cedro-
www.cooperativavallelao.com
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Stocco di Mammola di Alagna e Spanò
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www.stoccomammola.it
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Facebook Stoccodimammola Alagna e Spanò
Tel 3356724223
Azienda Agricola Frammartino Luigi
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www.bergold.it
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Facebook Azienda Agricola Frammartino
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Biosmurra
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biosmurra@gmail.com
Tel 3273456731/3496740506
Edulè
-Annona, frutto tropicale reggino, a tutto tondo: frutto fresco, confettura extra, purea e nettare, ma anche aromi e spezie-
www.edulestore.it
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Tel 3892743068
Azienda Agricola Molina
-Perché è il caso di dire dulcis in fundo. Il miele, quello dell’articolo. Azienda che da tre generazioni produce miele, olio evo, agrumi-
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Tel 329 201 4680
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