di Giulia Gavagnin
Il crepuscolo degli chef è stato discusso e sviscerato con competenza da Davide Paolini in un volume di qualche anno fa, del crepuscolo degli chef la stampa specializzata sta discutendo animatamente in questi giorni con qualche anno di ritardo perché è evidente che qualcosa nel meccanismo si è inceppato anche per i privilegiati di cui sopra.
Tuttavia, poiché la storia ha orrore del vuoto e la natura si difende da sola, si sta affacciando all’orizzonte una nuova generazione di chef: più consapevoli e concreti, con meno pretese di essere artisti dei fornelli o di coltivare atteggiamenti da calciatore o da tronista, piuttosto concentrati su quello che –vivaddio- è il loro mestiere. Far bene da mangiare.
Quindi, c’è luce in fondo al tunnel.
In questo momento penso a due emergenti dell’area milanese, a Luca Natalini di Autem e a Davide Marzullo di Trattoria Contemporanea a Lomazzo.
A questi, aggiungo Emin Haziri di Procaccini, nuovissima insegna milanese nei pressi della Fabbrica del Vapore.
Kosovaro di origine, triestino d’adozione, a diciotto anni lascia la città di Italo Svevo per compiere il percorso canonico dello chef, tra esperienze estere (Noma, Petit Nice a Marsiglia) e referenze importanti presso stellati italiani (Bartolini al Mudec), fino ad accasarsi con una certa continuità da Antonino Cannavacciuolo. Prima da Villa Crespi, poi nel bistrot di Torino dove è stato investito di un ruolo apicale.
Haziri ha idee chiarissime e la maturità di un cinquantenne, eppure ha solo trent’anni. Ha studiato all’alberghiero contro la volontà dei suoi genitori che lo volevano medico o avvocato perché ha sempre e solo desiderato cucinare, ha studiato accuratamente le tappe per diventare un top chef, ha già un’esperienza da executive presso Palais Royal di Courmayeur al posto di Paolo Griffa.
Si definisce “cuoco sognatore” ma è tutt’altro: ha una creatività importante ma è concreto quanto basta nel prendere spunto dai suoi maestri (l’influenza di Cannavacciuolo è palpabile) e tramutare le idee in puro gusto, anziché sterili esercizi virtuosistici.
Sarà l’imprinting ricevuto da una contingenza ambientale difficile (la guerra in Kosovo), sarà la visione mitteleuropea respirata a Trieste, però questo ragazzo appare già avanti anni luce. Infatti, a suo dire, nel momento attuale Milano era l’unica piazza che gli poteva permettere di realizzare le sue idee.
Infatti, Procaccini è il ristorante che gli è stato cucito su misura.
Un locale elegante con ampia zona cocktail bar, marmi a vista, un pianista che scalda l’atmosfera, personale internazionale di capacità ed esperienza, una cucina a vista dove una decina di persone assemblano abilmente piatti sia “confort” che creativi.
Tre menu degustazione, a 165, 130 e 110 Euro.
Senz’altro un ristorante per le belle occasioni, senza virare sulle “grandi” che sono sempre meno numerose, con lo sguardo rivolto ai locali delle grandi città del mondo. Va detto che potremmo essere un po’ ovunque nel lusso internazionale, a Dubai, a New York, a Londra.
Se non fosse per la cucina di Haziri che è autenticamente italiana, con l’inconfondibile tocco mediterraneo come Antonino insegna.
Procaccini ha due anime: quella che soddisfa il cliente in cerca di una cucina di materia prima a cinque stelle e quella più autenticamente creativa.
Così, l’aperitivo può essere accompagnato da due ostriche “alla milanese”, da acciughe del Cantabrico con burro e sale maldon, da tacos di tartare di manzo e germoglio di pisello; e lasciano spazio a una vasta selezione di caviale e crudi di mare, percorso ormai d’obbligo se si vuole attrarre la famosa clientela “altospendente”.
Poi, spulciando tra la vasta carta, troviamo le creazioni dello chef, tutte di soddisfazione autentica.
Scampi di mazara, bisque, salsa al frutto della passione e germoglio di pisello; gamberi rossi, bisque al dragoncello e polvere di gambero; tartare di ricciola, pizzaiola gialla, zucchine alla scapece e beurre blanc. I signature dish sono gli scampi alla mandorla e lo sgombro con barbabietola, yogurt e ristretto di pollo.
I primi piatti sono autenticamente golosi e almeno tre meritano un voto altissimo: linguine con peperone crusco e melanzane; spaghetto Graziano con anguilla affumicata, scarola e quinoa (qui il vento di Villa Crespi soffia eccome), Linguine con aragosta e salsa di champagne, così classicheggianti da far versare fino una lacrimuccia. Ancora aragosta come secondo, con miele e miso; e un interessante baccalà con la sua trippa e cipolla affumicata.
Una proposta al momento forse un po’ troppo estesa, da limare con il tempo, ma di sicuro impatto.
Ci è piaciuta assai la grinta e la maturità già manifesta di questo ragazzo.
E ci permettiamo di dire che forse, in questo momento storico, si dichiarano più innamorati del nostro paese gli italiani acquisiti anziché i nativi (mi viene in mente anche Nikita Sergeev de L’Arcade di Porto San Giorgio).
Forse anche questo è segno di civiltà.
Procaccini
Via G.C. Procaccini 33 – 20154 Milano
02 77091277
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