di Marina Alaimo
Il riassaggio di questo vino rafforza la convinzione personale che il primitivo di Gioia del Colle abbia raggiunto un alto livello di espressività nel contesto della viticoltura nazionale e che Nicola Chiaramonte abbia una giusta sensibilità e caparbietà per farlo esprimere al massimo. Nicola è apparentemente un personaggio schivo ma credo sia la timidezza a limitarlo in qualche modo, pertanto si parla e si scrive poco di lui, ma è assolutamente concreto e deciso in fatto di primitivo di Gioia del Colle. Ha la personalità giusta per farne un vino che abbia coerenza stilistica e territoriale, ma soprattutto che sappia farsi notare e nel caso di questa riserva, anche emozionare. E’ ciò che ci si aspetta da un grande vino. Ormai di vini piacevoli ce ne sono tanti, giusti, puliti, ben centrati. Ma è quando il vino sa raccontare molto di se, della storia della sua terra e della personalità della mano che lo ha condotto fino a te che comincia ad intrigarti, a carpire totalmente la tua attenzione creando una sorta di complicità profonda e di dialogo fatto di profumi, sapori e sfumature che vanno in più direzioni in un crescendo sempre più piacevole e coinvolgente.
I Chiaromonte hanno alle spalle una storia legata alla viticoltura di quasi due secoli e tra i vari vini che l’azienda produce il Primitivo Gioia del Colle Riserva è quello che la racconta al meglio, espresso poi meravigliosamente nel millesimo 2005. Le uve utilizzate per produrlo provengono dal vigneto di famiglia più vecchio fatto di alberelli che vanno dai 50 agli 80 anni ad Acquaviva delle Fonti, ad una altitudine che va dai 300 ai 350 metri s.l.m., particolare che permette di preservare una certa acidità delle uve in questa terra assolata. Il vino nel bicchiere ha un bel colore rubino brillante, al naso è un’esplosione di profumi che con il tempo si declinano in maniera ampia e coinvolgente. E’ ciliegia croccante, poi liquirizia e anice stellato, è cioccolatoso, poi lentamente il tempo lascia affiorare i toni balsamici e quelli che ricordano la macchia mediterranea, anche la rosa timidamente si fa apprezzare. In bocca è ricco, avvolgente, ha tannini molto piacevoli e bella freschezza che snellisce l’imponenza del corpo, esprime anche una morbidezza fatta di glicerina ed alcool, ed è lungo, lunghissimo, non smette mai di raccontarsi.
L’ho abbinato ad una lasagna napoletana, anzi la mia lasagna, primo debutto in famiglia ben riuscito grazie anche all’ottimo vino che ha saputo accompagnarla. Questo vino proviene dalla Murgia Carsica, spledido territorio fatte di dolci colline dove il paesaggio è spesso disegnato dalla costante presenza della pietra e delle pecore al pascolo. Rimane quindi ottimo compagno della carne d’agnello o degli squisiti “gnummarielli”, involtini di interiora di agnello che da queste parti si vedono spesso arrostire sulla brace ardente, ma va benissimo anche con i le paste fatte a mano e condite con ragù di carne o con formaggi pecorini stagionati.
Musicalmente mi fa pensare ad un pianoforte suonato di notte dal grande Keith Jarret in My Song.