di Teresa Mincione
L’ evento “Primavera sul Kimmeridge” ideato e organizzato a due mani da Emanuele Izzo, delegato Ais Penisola Sorrentina e Armando Castagno, voce autorevole e di pregio nell’ambito del panorama culturale del wine è arrivato alla terza edizione (dopo Primavera in Borgogna e Primavera in Champagne) con un sold out in sole poche ore dal lancio sui social. Nessuna meraviglia se capacità, qualità e cultura sono elementi di casa in delegazione penisola sorrentina.
Il format funziona e chi si concede il lusso di seguire il seminario mattutino e pomeridiano non ne esce mai deluso. Primavera sul Kimmeridge, un titolo evocativo. In una splendida giornata di sole in un luogo più che incantevole, l’argomento tecnico e particolare è stato affrontato da Armando Castagno con grande maestria sia nei contenuti che nella forma. In percorso guidato, calici alla mano, ha condotto i presenti tra i meandri di quei terroir in cui insiste il Kimmeridge: Champagne – Côte des Bar, Chablis, Sancerre, Puilly Fumé, Menetou – Salon, Saint Bris. Ma cosa è esattamente il Kimmeridge (rectius: calcare Kimmeridgiano) e da dove nasce questo nome?
Il Kimmeridge , spiega Armando, è un’epoca e dunque non (solo) una conformazione geologica propriamente detta. Il termine giusto da utilizzare è calcare kimmerigiano o marna kimmerigiana. E’ un periodo storico, un piano (come si dice in geologia) del giurassico medio (dai 150-158 milioni di anni fa).
E’ matrice di sottosuolo di epoca Giurassica nata dal compattamento sul fondale marino di gusci calcarei di ostriche, carbonato di calcio (CaCO3) che ha la capiacità di avere effetto diretto sulle coltivazioni agricole, e in particolare sul vigneto, persino sulle qualità fisiche delle uve e sul vino che ne deriva. L’eccezzionalità del kimmeridge sta nella capacità di recare le tracce di un’antichissima vita di quegli organismi marini che nei milioni di anni si sono depositati sul fondale. Il pH del sottosuolo kimmeridgiano ha la particolarità di essere alcalino: tra 8,0 e 8,4. e a questi livelli di pH, i quattro nutrienti fondamentali per la vite (calcio, sodio, magnesio e potassio) sono tutti disponibili attraverso scambi “cationici” favoriti dall’alcalinità dell’ambiente. Le uve tendono a conservare alti valori di acidità a piena maturazione, in particolare se il valore del Calcio è alto e quello del Potassio basso. Le bucce delle uve (bianche e rosse) che insistono su suoli di Kimmeridge sono più spesse e resistenti. Il drenaggio del suolo trova una condizione ottimale, con assenza di ristagni di umidità o muffe; al contrario delle riserve idriche del sottosuolo che sono rimarchevoli. Dove si è identificato per la prima volta questa matrice di epoca Giurassica?
In Inghilterra, nella omonima baia. Il fossile base è l’Exogyra Virgula. A rifletterci, è fantastico che i francesi abbiano utilizzato un termine essenzialmente inglese (Kimmeridge) per definire qualcosa che interessi essenzialmente il loro terroir (nella specie la Francia centrale). Il kimmeridge si pone rispetto ai vini e al terroir come un elemento di estremo rilievo, capace di essere così tanto incisivo e determinante che (a livello olfattivo e gustativo) rischia di annullare le differenze e peculiarità delle diverse varietà. Quando si degusta un vino che insiste sul kimmeridge difficilmente alla cieca si distingue un Sauvignon da una Chardonnay! C’è chi dice che in Francia i vini non devono profumare di vitigno ma del luogo. A Chablis uno Chablis non deve parlare (solo) di Chardonnay ma di Chablis; si va oltre le peculiarità varietali del vitigno perché c’è un fattore più forte e importante che deve venire fuori: il terroir. A Sancerre il Sauvignon non porta con se solo i sentori di Sauvignon, ma deve avere un bagaglio in più: esprimere la voce del territorio. In uno sguardo d’insieme è possibile pensare al kimmeridge come una banda diagonale che attraversa per km il centro della Francia dando origine a una serie di piccole o medie denominazioni con tre uve diverse a leggere il territorio: Pinot Noir nel sud della Champagne, lo Chardonnay nella zona di Chablis (come uva principale) e il Sauvignon Blanc nella zona di Sancerre e dintorni.
Degustazione – prima parte
CHAMPAGNE – CôTE DES BAR
E’ la più vasta regione viticola della Champagne. Rappresenta il 65% del territorio dove è possibile realizzare champagne. E’ divisa in due territori, uno a nord e uno a sud. Quello a nord è chiamato Bar Sur Aubois con capitale la cittadina di Bar Sur Aube (cioè dogana sul fiume Bar) quello a sud prende il nome di Barséquanais la cui capitale è la cittadina di Bar sur Seine (cioè dogana sul fiume Senna). Tra l’una e l’altra oltre 100 km di distanza.
E’ uno storico luogo di produzione di uve di eccellente qualità vendute per generazioni alle grandi Maison de Champagne di Reims ed Epernay. Tuttavia, nessun comune della Côte des Bar ha avuto, nella “Echelle des Crus” del 1911, valutazione diversa dall’ 80%.
Qui domina il Pinot Nero. Per la spumantizzazione, infatti, è sufficiente un livello di maturazione inferiore a quello di luoghi dalla struttura geologica simile (Chablis, Sancerre).
- Vin Clair de Champagne 2016 Remy Massin
Il primo esempio di vin clair de Champagne tal quale proveniente dal comune di Ville Sua Arce! Va ricordato che la legge francese impedisce la fuoriuscita di vino dai contenitori di vino atto a diventare champagne. Eppure .. davanti a me un Vin Clair de Champagne di un domaine magnifico dell’Aube quale Remy Massin. Un campione di Pinot Noir in purezza realizzato con una leggerissima sosta di 18 ore sulle bucce e solo acciaio. 10,6 Vol. Un calice che nasce sotto una buona stella, ossia il millesimo 2016 (annata favorevole dopo la 2008 e la 2013). Una veste sensuale e accattivante nella nuance ramata. Guardandolo da lontano, questo colore evocherebbe, senza ascoltarlo, un naso femminile. Assolutamente no. Ad una prima olfazione chiaro il sentore di pesca strofinata su roccia. A seguire energiche sferzate di note iodate e marine. Acqua di ostriche. E’ il kimmeridge che urla nel bicchiere. Sottili refoli di biancospino, iris, mandorla nuda, macadamia, anice stellato. Al gusto è tagliente come una lama! Da urlo. E’ uva rossa che si inchina dinanzi al Kimmeridge. Alla cieca, la carta d’identità di un Pinot Noir verrebbe sconfessata. Non si scova nulla dei suoi aromi, della elegante rotondità, della morbidezza o della sua la seduzione.File not found. Un calice che è puro succo di roccia. Una spremuta di kimmeridge. Tensione, mineralità, freschezza citrina e persistenza straordinaria, questi i suo tratti marcanti. Un vin clair che uscirà sul mercato come Champagne Remy Massin et Fils Integrale Blanc de Noirs Extra Brut. Grande taglienza, sapidità e lunghezza impressionante (anche rispetto il secondo).
Un Vin Clair de Champagne: un’esperienza singolare e straordinaria fuori regione..
SAINT – BRIS
A 10 – 15 km da Chablis si trova Saint Bris. E’ considerata una vera e propria “ipotesi alternativa” allo Chablis, chiaramente con un’uva diversa nello stesso territorio: il Sauvignon. Stessa terra, stesso terroir con un’uva completamente diversa. Un vino sostanzialmente della Chablisienne fatto con il Sauvignon. Una stupenda e antica cittadina di 1.500 abitanti caratterizzata da un reticolo di cantine (quasi quattro ettari) medievali ipogee scavate nella pietra 60 metri sottoterra (2 volte la metropolitana di Roma). L’ Appellation dall’areale è di circa 133 ettari su cinque comuni, per circa 20 produttori e 8.000 ettolitri all’anno. Tra i comuni, anche Irancy, che detiene una sua propria denominazione per il rosso (da Pinot Noir). Unica denominazione della Borgogna a base Sauvignon. Sono ammessi sia il Sauvignon Blanc sia il Sauvignon “Gris” (altra uva rosa come il Frumanteau) uva dalla minore acidità e minore grado ed enologicamente è più debole. I sottosuoli sono per gran parte di epoca kimmeridgiana, e in parte di epoca portlandiana; le esposizioni delle vigne migliori sono verso nord. Saint – Bris condivide con Chablis, anche il fatto di essere uno dei posti più gelivi di Francia. Ci sono delle gelate che azzerano il vigneti. Nel secondo dopoguerra tra il 1946 e 1965 di gelate ce ne sono state 8 in 19 anni.
- Saint – Bris Exogyra Virgula 2015 – Domaine Goisot
Giallo paglierino luminoso. L’olfazione iniziale parla di pietra allo stato puro. Nessun tipico sentore erbaceo di Sauvignon. Il corredo aromatico è silenziato. Ritroso e chiuso. Refoli di scoglio, battigia, salsedine. Un naso a dir poco improgettabile. E’ pura voce del sottosuolo. In questo caso il Sauvignon è un puro mezzo, un soldato che legge bene le coordinate del sottosuolo e le riporta con una lente neutra nel calice. E’ un tesoro nascosto. Leggeri sentori di pompelmo, iodio. Un vino del 2015 di un equilibrio meraviglioso nonostante sia figlio di un’annata non ideale. Certamente un millesimo molto ricco e solare la 2015, ma allo stesso modo riesce ad offrire sferzate di acidità e verticalità.. Ha anche una ricchezza salina superiore al consueto. E’ un bianco leggero, finissimo, figlio di Saint Bris.
MENETOU – SALON
Mentou Salon, è la propaggine di Sancerre che va verso Ovest, considerata per alcuni una zona di appendice kimmeridgiana caratterizzata dalla presenza del Sauvignon Blanc. Una piccola denominazione a ovest dell’areale del Sancerre che si articola su 10 comuni, i più importanti dei quali sono Morogues (verso est) e Menetou-Salon (a ovest). La presenza della marna kimmeridgiana è su quasi tutto il territorio vitato: solo una piccola zona del comune di Morogues (detta “Le Carroir”) è su terreno di argille e silice, come a Pouilly sur Loire. Ammesso nelle tipologie bianco (Sauvignon Blanc) e rosso (Pinot Noir).
- Menetou – Salon Morogues – Vignes de Ratier 2014 – Domaine Pellé
Rispetto alla generalità delle aziende presenti sul terroir di Menetou Salon, quella di A. Pellé esce più tardi. Certamente non è possibile trovare in vini di questo terroir la rabbia tagliente dei vini di Champagne o in parte a Saint Bris. E’ un vino più quieto, più tranquillo. Evidentemente più gastronomico. I suoli in cui sono ubicate le vigne sono ricoperti di sassi. E’ calcare puro. Giallo paglierino luminoso. Alla prima olfazione è il sentore di peperone verde di fiume a predominare. A seguire si scopre una parte sabbiosa, salina. Pietra in polvere. Ad occhi chiusi si ha l’impressione di entrare di entrare in una cava di pietra. Si capisce già al naso che è un vino salatissimo. Una leggera evocazione di fiori gialli, tarassa, fiori amari, tisana. A seguire ortica, fiore di broccolo, ginestra. Una lieve parte che più che vegetale è da definirsi linfatica. Al gusto si scopre molto più salato che acido. Una persistenza magnifica che riempie la bocca. Un tocco di amaro sul finale. E’ un grande vino che in degustazione, per i neofiti, ha saputo ben mettere in luce il terroir di Menetou – Salon.
CHABLIS
- Chablis 2015 – Billaud – Simon
Il Domaine Billaud-Simon coltiva vigneti di qualità eccezionale dall’ età media di 50 anni conservate nel tempo. La qualità dei nostri vigneti, così come molta attenzione alle date di raccolta, che di solito sono piuttosto tardi al Domaine, risultano in ricchi e concentrati vini di Chablis di qualità eccezionale.
Nel calice uno Chablis village, dal magnifico mantello giallo paglierino luminoso.
Al naso è delicato nei tratti di gesso e pietra. Il sorso è piacevole nel suo bilanciamento. Buona la chiusura finale.
SANCERRE
- Sancerre Nuance 2014 – Domaine Vincent Pinard
Quella di Vincent Pinard è una delle aziende in grado di evidenziare al meglio l’anima della terra, attraverso una conduzione della vigna attenta e rispettosa. Il millesimo 2014 si presenta con tutte le caratteristiche di una grande annata in Valle della Loira. Germogliamento precoce per le temperature avute fino a Marzo. Un lungo periodo di freddo fino alla fine di agosto che ha ritardato lo sviluppo della vite e maturazione delle uve. La stagione estiva ha offerto una superba maturazione delle uve. I vini sono quindi tendenzialmente affascinanti grazie alla lenta maturazione delle uve.
Un calice dall’approccio tutto biologico che arriva direttamente dalle Caillottes, il calcare di Sancerre, da viti con età media di 40 anni. La vendemmia è svolta con raccolta manuale con una prima cernita delle uve. Il Sancerre Nuance fa fermentazione di 4 settimane sui lieviti, 2/3, 1/3 serbatoio di botti per 1 anno. Giallo paglierino. Mela renetta. Bella l’estensione che si stringe alla struttura che incornicia il materiale ricco e leggermente speziato. Verticale e incisivo. Interessante la chiusura di bocca che regala al gusto una grande persistenza e godibilità.
POUILLY – FUME’
“Qui Pouilly boit, femme ne deçoit”. Un proverbio locale che sa di marketing. Pouilly Fumé è sinonimo di Silex, la silice, regina del suolo.
Pouilly Fume’ è la denominazione che si trova sulla riva destra della Loira. Nel disciplinare è ammessa la denominazione Blanc Fumé de Pouilly dove si richiede obbligatoriamente il Sauvignon Blanc come sola uva consentita. Dal (disciplinare del) 1937 si fa solo bianco. E’ un areale di circa 1.300 ettari distribuito su sette comuni, tutti sulla riva destra della Loira ; nello stesso areale insiste la AOC Pouilly-sur-Loire (uve Chasselas). I produttori sono circa 100, per 70.000 hl di vino all’anno. Tre le matrici geologiche che si incrociano nell’areale: marne kimmeridgiane, argille silicee, complessi argillo-calcarei più antichi (caillottes). Più ci si allontana dal fiume, più scende la percentuale di terreni silicei e aumenta quella dei sottosuoli calcarei: a Saint-Laurent l’Abbaye si è sul puro kimmeridge (vigna fondamentale: La Demoiselle). Il Kimmeridge non è mai situato a bordo fiume, ma sempre più distante. A seconda della zona, il Pouilly-Fumé trova un’espressione diversa: potente e ricco quelli sulla silice, spiccatamente profumato e varietale, quello dei “caillottes”, nervoso e minerale quello su Kimmeridge. Da non dimenticare che il Sancerre e il Puilly Fumè non sono lo stesso vino. Il Sacerre è un vino realizzato nella parte occidentale e si trova sulla riva sinistra della Loira. Qui solo un paio di comuni su 14 hanno una matrice dei suoli che rispecchiano l’impronta del fiume. Il Sancerre è un vino che non nasce tanto lontano dalla Loira ma che non sente il fiume. E’ un posto svettante, in cima alla collina.
Puilly Fumè, è “un vino che si sporca le mani”. Si trova a livello del fiume. La matrice dei suoli è di argillo- silicea e deriva dalla sabbia fluviale. Il Puilly Fumé è un vino in cui il Sauvignon esprime un carattere varietà più forte, con una maggior robustezza a scapito della finezza. In buona sostanza il Sancerre è un vino più lirico e poetico, più alto, più fischiato. Il Puilly, è il baritono del coro. Ha una struttura più tarchiata, più profonda, consistente.
- Pouilly Fumé La Demoiselle de Bourgeois 2010 – H. Bourgeois
E’ silice pura.
Giallo paglierino che svela un corredo di profumi ad alto tasso di territorialità. Le mineralità di creta e salgemma abbracciano sensazioni fumè di torba e sottobosco. Fieno. La bocca è agile conferma gli aromi del naso su una base fresca e sapida che tuttavia non disdegna una integrata piacevolezza al gusto. Bocca in accordo ritmata da note di pompelmo. Lunga persistenza.Grande olfatto, bella consistenza, tanto estratto. Un vino di personalità che richiama il terroir di provenienza: kimmeridge.
Parte seconda
SANCERRE
Un piccolo scrigno kimmeridgiano, una fortificazione fatta città. Allocata in altezza, si tratteggia per un fitto dedalo di stradine tra case secolari di pietra vecchio stile sparpagliate in strade silenziose. Intorno lo sguardo si perde sui toni della meravigliosa campagna fino all’ombra della Loira. Dalla parte opposta alla zona del Puilly Fumè, per intenderci.
E’ una delle migliori denominazioni del corso della Loira, ed è un areale di 3.600 ettari (di cui in produzione circa 3.000). Quattordici paesi e tre borghi sono autorizzati a produrre Sancerre. I vigneti più rinomati sono Chêne Marchand nel paesino di Bué e Les Monts Damnés a Chavignol, dove la marna di Kimmeridge conferisce maggiore ampiezza ai vini. L’AOC è stata riconosciuta nel 1936 solo per il bianco, già da allora da sole uve Sauvignon Blanc; nel 1959 fu ampliata a Rouge e Rosé (da Pinot Nero: oggi circa 630 ha). Nelle denominazioni francesi la qualifica di village che consentono di produrre con lo stesso nome bianco, rosso e rosato sono solo 2: Sancerre e Marsannay (in cote d’or).
Su colline di calcare ed argilla divise dal corso superiore della Loira, in un clima continentale, il Sauvignon Blanc si esprime in una finezza e complessità senza pari al mondo. E’ una zona poco piovosa (ci sono 700 millimetri di pioggia all’anno. La media italiana è 739), luminosa ma molto fredda nel lungo inverno. La tendenza geliva si ha soprattutto alle estremità sud e nord (certamente non gelivo come Chablis perché non è piatto, anzi è molto movimentato. L’aria non arriva a ristagnare). I vigneti salgono dai 180 metri ai 350 circa di altitudine.
Sancerre non è da identificare come denominazione con suolo kimmeridgiano, poiché questo costituisce solo una componente minoritaria (8%). Quattro matrici di sottosuolo diverse si incrociano nella zona: il 40% di territorio è formato da calcare più giovane di quello che troviamo in Borgogna detto Caillottes (ciottoli), ossia calcare bianco con uno spessore circa, di solito, di 50 mt. A seguire le Terres Blanches (33%) diverse dalle prime, ossia marne (cioè complessi di argilla e calcare). Il 19% è di argile à silex, ossia conglomerati argillo-silicei e l’ 8% è di kimmeridge (marna calcarea del periodo kimmeridgiano del Giurassico). Insomma, per capire bene i vini di Sancerre occorrerebbe avere “un collo lungo come un cigno”, ha detto Pierre Bréjoux. Verosimilmente, la forza di questo vino è tutta nella persistenza, nella veemenza con cui insiste nel ricordo di chi lo assaggia. E’ un vino di bocca più che di naso. Un vino di Sancerre non si beve distrattamente.Sancerre è la più importante denominazione di kimmeridge da uve di Sauvignon Blanc (già di partenza un’espressione che ha carattere di finezza, gradualità, misura maggiori rispetto all’altra importante denominazione da kimmeridge da Chardonnay:Chablis). Il Sancerre Blanc è tra i più eleganti e fini del mondo la cui caratteristica principe è l’ immobile turbolenza, citando Armando.
I tre calici che seguono sono dei veri distillati di roccia dalla finezza estrema.
- Sancerre La Cote 2015 – Gerard Boulay
Gerard Boulay è uno dei più grandi bianchisti di Francia. Un’annata, la 2015, che avrebbe indotto a pensare ad una piccola perdita di tempra nel calice, e che al contrario si è rivelata una bella sorpresa. Un’espressione di grande sinergia tra il kimmeridge e il lavoro del vigneron Boulay. Il nome “La Cote” si riferisce ai Monts Damnè poiché è’ un vino che stare origina da 5 parcelle diverse (anche per età) lungo i Monts Damnè e per questo può dirsi un calice di kimmeridge in purezza. Una spremuta di pietra!
Un Sancerre di adamantina purezza. Giallo paglierino. Il profilo è estremamente coeso. La componente olfattiva dominante è il mattone cotto, pietra, creta, calcare, anice. A seguire refoli di fiore di limone, zeste di limone. Erba limoncina. Tè verde, tisana. E’ un naso ipnotizzante intarsiato sulla mineralità. Un vino intenso e austero. Graffiante. All’assaggio si resta affascinati. Un’acidità strepitosa che sostiene il sorso e che come una luce esplosiva irradia la mucosa. Tornano i sentori di tisana e tè verde, uniche componenti dell’aggancio vegetale. Il resto è pura conchiglia. Considerando l’annata non di certo un millesimo famoso per tensione e nerbo, ma di generosità e ricchezza, è interessante.
Non solo un Sancerre blanc, ma un Sauvignon dei Mont Damnès di matrice kimmeridgiana dalla strepitosa personalità ed eleganza ammaliante. Un bianco avvincente per un calice memorabile. Un gioiello enologico dalla fantastica persistenza.
- Sancerre Les Monts Damnés 2013 – Moreux
Un vino difficile, di quattro anni che non fa malolattica. Una minuscola azienda, ad oggi mai importata in Italia. Anche in questo caso, uno specchio fedelissimo del terroir. Il calice degustato è il vino base dell’azienda, puro Sancerre. Dal 1990 mai un diserbante in vigna.
Il Sancerre Les Monts Damnés ha fascino da vendere, rigore e vitalità.
L’ormai anziano padre, che anziché diventare uno storico, scelse di fare vino. Da allora tiene un quaderno in cui annota tutto quello che succede a Chavignol, ritagli di articoli di giornale, di riviste, inviti, programmi di celebrazioni e ricorrenze. Produce poche migliaia di bottiglie di un bianco, e molte meno di un Sancerre Rouge da un fazzoletto di 2000 m2 esposto a nord di fronte ai Monts Damnés. Ha sempre fatto il vino nello stesso modo, come aveva imparato a sua volta dal padre e dallo zio. Non ha mai vendemmiato prima del 100° giorno dalla fioritura, e sempre di luna nuova. Ha sempre aspettato la luna nuova a costo di rischiare di perdere tutto. Non ha mai utilizzato macchine, e del resto è sempre bastata la famiglia per raccogliere la poca uva di proprietà.
Paglierino. Il naso sussurra refoli sottili marini. Solo suggestioni gessose, di pietra macinata, sottile ritorno agrumato. Pallido il lato floreale di iris accompagnato da una leggera idea alcolica. Il Kimmeridge sovrasta e silenzia la voce del Suvignon. Sul lungo tempo lo riscontro vitreo, silenziato. E’ l’esempio di un Sauvignon nudo a cui è stata privata la voce rispetto alla possanza del kimmeridge. Meraviglioso e puro nei tratti e nei toni. Al gusto è severo, verticale, di una sapidità esplosiva e avvolgente. L’assaggio inonda la bocca di materia acida, minerale, gessosa ma piace. La chiusura è lunga e acuminata di sale e polvere pietrosa. Un Sancerre di 4 anni che come un monolite non ha avvertito il trascorrere del tempo. Durata? Infinto.
- Sancerre Clos La Néore 2014 – Anne et Edmond Vatan
Anche questo vino proviene dai Monts Damnés e precisamente da un fazzoletto di terra di un ettaro, da una delle vigne più belle dei Monts Damnès dove la voce del suolo kimmeridgiano su cui poggiano le radici le viti, mette a tacere l’importante corredo aromatico del vitigno da cui nasce questo calice: il Sauvignon Blanc. Un vino straordinario capace di testimoniare non solo la potenza e l’incidenza del suolo sul vino, ma anche la straordinaria tipicità di un terroir. Nel suo colore paglierino offre un naso introverso, silenziato. Sentori sottili di lanolina, pietra bianca, lastra di ardesia, lavagna, pietra sbriciolata, polvere. E’ solenne in questi toni. All’assaggio ha un bel fiato alcolico. Il sorso è scattante, dinamico, verticale. La bocca tende ad allargarsi e recupera qualche picco refolo di millefiori. Ha energia, tensione acida. Una grande capacità di farcire la bocca di sale e rilasciare un turbillon di aromi dopo la deglutizione da ipnotizzare per non so quanto tempo. Un vino la cui annata più fruibile da bere oggi è la 1934. Ha una straordinaria capacità di conservarsi indipendentemente dall’ età. Senza dubbio un vino del cuore. E’ emozionante avere la possibilità di avere un contatto con in vino che sai è destinato a vivere una vita.
CHABLIS
Il mito: un terroir, un vitigno, un vino.
Un paesaggio lunare. Uno scivolo fatto di sassi. Un terroir estremo, dove lo sguardo dell’osservatore d’inverno si perde tra la neve e nel sottosuolo, il kimmeridge firma la voce
dei vini. Chablis è una delle regioni vinicole più a nord della Francia, in cui ogni anno si susseguono sole e precipitazioni in quantità sempre diversa e mai costante, caratterizzando le varie annate. Chiamata “Les portes d’Or de la Bourgogne” perché da quelle parti si entra in Borgogna provenendo da Parigi e per la peculiarità dei vini prodotti con Chardonnay in purezza. Uno dei luoghi più gelivi del mondo, eppure, uno dei terroir più straordinari di Francia e del mondo. E’ un vero e proprio spaccato di France profonde, tipica provincia francese circondata da dolci colline costellate da vigneti, radi boschi e vasti campi di grano. La cittadina eponima è situata a 133 km da Beaune e a 160 da Parigi. Chablis è l’area di coltivazione all’estremo nord-est della Borgogna, situata sull’asse Lione-Parigi, e comprende una ventina di villaggi adagiati nella valle del fiume Serein. Un areale di 4.300 ettari (su 20 comuni per circa 3 milioni di bottiglie all’anno) suddiviso in quattro denominazioni geografiche: Petit Chablis, Chablis, Chablis Premier Cru e Chablis Grand Cru, le cui ultime due sono a loro volta ripartite in ulteriori parcelle sempre riportate sulle etichette. Le sette zone Grand Cru sono invece quelle del Blanchot, Bougros, Les Clos, Grenouilles, Preuses, Valmur e Vaudésir. Un regno, dove lo Chardonnay ha trovato dimora donando al vino una voce unica e irripetibile, gemellandosi con un terreno particolarmente fertile nel suo suolo calcareo e permeabile, in un dolce paesaggio collinare che deve le sue forme all’ultima era glaciale e alla presenza del fiume Serein e dei suoi affluenti. Attraverso la formazione dei colli e l’erosione sono riaffiorati terreni di diverse ere geologiche, ricchi di conchiglie fossili e dominati dal minerale calcareo del kimmeridgiano, che caratterizza i singoli vigneti. Lo Chardonnay (cd “Beaunois”in loco) era al 40% ancora nel 1878, alla comparsa della fillossera, e al 50-55% nel 1946, con il Sacy e l’Aligoté a dividersi il resto (500 ha). Nel 1975 Chardonnay a 1.000 ha su 1.300 e praticamente al 100% dalle rilevazioni dell’anno 2000. Oggi Chablis è interamente di Chardonnay. Il sottosuolo è delineato da uno strato di 30-90 cm di placca di calcare giurassico. Di epoca kimmeridgiana nelle zone migliori, portlandiana, più giovane e tenero, allontanandosi dal centro dell’areale.
- Chablis 2014 René et Vincent Dauvissat
Giallo pallido luminoso. Immediati i sentori pungenti di guscio d’ostrica, iodio. Aromi acuti agrumati di limone, pompelmo e minerali liquidi. La componente floreale è silenziata sussurrando in via silenziata sentori di piccole bacche di pepe bianco. Sarebbe quasi impossibile confondere questo per qualcosa di diverso da Chablis. Al palato è superba l’ intensità dei sapori così potenti e concentrati da raccontare una immensa mineralità e salinità che al palato si traduce nella percezione di mangiare residui di roccia. Nonostante la potenza, impeccabile bilanciamento di ogni fattore. Una esplosione di kimmeridge. Enorme la scia salina finale. Verticalità, lunghezza, possenza i suoi punti cardine.
- Chablis Premier Cru Vaulorent 2014 – J.Paul et Benoit Droin
E’ un premier cru che fluttua a metà strada tra i Premier Cru e i Grand Cru. A dirla tutta è un Premier Cru di lusso.
Un’azienda che di proprietà conta su una dozzina di ettari sparsi e che nel corso del tempo ha vissuto diversi periodi stilistici. Oggi i suoi vini sono molto stilosi e puri nell’interpretazione. La 2014 è stata una grande annata e porta con se la promessa di una grandezza e persistenza. Un calice che pur essendo un Premier Cru mostra tutta la sua eccellenza, quasi fosse un Grand Cru. Giallo paglierino dal naso un pò timido. Miele millefiori, ciottolo, erba limoncina, cedro. Nel roteare fuoriesce una nota più intensa e geliva: sorbetto a limone. Si potrebbe definire un tipico distillato di kimmeridge. In bocca allaga la persistenza in maniera esponenziale. E’ un’esperienza psichedelica. Divampa la sua forza ed esplode nella sua acidità e lunghezza. Apre la coda di pavone, avrebbe detto Veronelli. Una sorta di accordo d’oro. Un calice solenne quanto accattivante. Certamente il cavallo di battaglia dell’azienda, nonché il chiaro esempio della interpretazione adamantina di Droin del terroir su cui insistono le vigne. Spettacolare..
Ad azzardare il commento, questo calice non ha nulla da invidiare rispetto ai Grand Cru di Preuses e Bougros.
Chapeau!
- Chablis Grand Cru Les Preuves 2014 – Servin
Il Grand Cru tanto atteso …
Giallo paglierino luminosissimo. Un olfatto avvolto dal kimmeridge. Sentori salini, minerali di pietra e roccia. Piccoli tratti di gesso e foglia di limone.
Il sorso è dinamico e tagliente. Verticale e esplosivo. Volteggia tra picchi di grande verticalità e leggiadria in persistenza. Un vino che riesce ad unire freschezza ed eleganza elevando ogni elemento in ciascuna parte. Un esemplare da scoprire per ore. Fantastico.
Voilà..
Dodici calici emozionanti e strepitosi nella loro capacità di evocare un terroir.
L’evocazione del vino della componente pietrosa, del suolo, del caratteri del luogo in cui si trova è un valore assolutamente positivo. Anche l’austerità ritrovata in alcuni calici lo è. Ci sono stati dei calici completamente silenziati dal kimmeridge, così come abbiamo assistito a dei Sauvignon letteralmente inodori. C’è stato chi si è chiesto come sia stato possibile. Il punto di vista attraverso il quale comprendere questi calici è uno solo: gli odori non sono stati cancellati dal kimmeridge, bensì lo stesso gli ha “imposto di tacere”.
Tirando le fila, sono stati tutti vini eccellenti in degustazione, ma che hanno mostrato anche una grande abinabilità. Vini capaci di scatenarsi con pietanze italiane e d’oltralpe. Un’occasione strepitosa per ascoltare la voce del Kimmeridge in ciascuna zona d’origine. Una lectio magistralis di Armando Castagno che, come sempre, aumenta il bagaglio culturale di chiunque si sieda ad ascoltare, a qualunque livello di competenza. Una bellissima tradizione che Emanuele Izzo ha saputo creare ad hoc per la sua delegazione. “Una saga” creata a due mani, capace di creare attesa e curiosità, di anno in anno, dopo ogni chiusura di sipario. Un plauso ad Emanuele Izzo per la capacità e caparbietà nel fare sempre bene e un applauso a Armando Castagno per affrontare temi tecnici e particolari rendendoli fruibili a tutti. Al di la di ogni merito, una certezza. To be continued …
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