SALVATORE MAGNONI
Uva: aglianico in prevalenza
Fascia di prezzo: da 5 a 10 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno
Anche l’aria sembra sia immobile in cima alla vigna di Salvatore Magnoni. Pare che anche lei si sia rassegnata all’indolenza cilentana, difetto divenuto virtù di una vita in assenza di orologi, lenta, dettata dai ritmi della natura.
Davanti ci sono il Monte Stella e il castello di Rocca Cilento che nascondono il mare di Casalvelino lontano non più di una decina di chilometri. Appena più a ovest i paesini di Lustra e Rutino. Alle nostre spalle, oltre la valle dell’Alento, lo sguardo spazia fino al Monte Chianello che si staglia sopra Monteforte Cilento. Alla sua destra i duemila metri del Cervati, il tetto della Campania, spuntano appena appena tra le nuvole sopra Perito; poco più in là a disegnare l’orizzonte il Gelbison.
La pace dei sensi, penso ad alta voce.
Non c’era modo migliore per iniziare l’anno lavorativo che nel Cilento.
Il sole va e viene, il termometro segna mediamente i 15 gradi, in alcuni momenti arriva a picchi di diciotto che ci stuzzicano, tentandoci di spogliarci dei cappotti e dei maglioni utilissimi il giorno prima quando, scendendo da queste colline dopo aver fatto visita ad Alfonso Rotolo, la nebbia impediva la vista, il parabrezza dell’auto s’appannava complicando il ritorno e cinque gradi appena ghiacciavano le mani.
D’altronde gli inverni in questi ultimi anni nel Cilento, un vasto territorio che inizia dopo Paestum, li dove s’interrompe la piana del Sele dominata dalla natura selvaggia, e arriva sino al golfo di Policastro toccando all’interno il Vallo di Diano e gli Alburni, sono così: freddo, caldo, freddo, senza un minimo di rigore logico. Come se non bastassero alla vite i mesi estivi, di cui un paio spesso siccitosi, che spingono gli uomini a trovare ristoro nelle acque di Punta degli Infreschi, Scario, Trentova, Camerota, Punta Licosa o conforto sotto le cime del Cervati, che costringe i tralci che arrancano a cercare, superato il flysch cilentano, un pizzico d’acqua in profondità.
L’aglianico è estremamente delicato e la maturazione è un momento difficile da gestire, ci dice Salvatore, l’uomo che parlava in La minore, mentre ci conduce per il Ciglio di Rutino, l’ultimo poggio che, gettandosi nella valle dell’Alento, degrada sino alla superstrada che scorre verso Vallo della Lucania. Trenta ettari di bosco, uliveto e vigna, in località Ciglio come detto, che chiudono il paese e che da trecento anni almeno i Magnoni coltivano.
Tranne il Novecento, quello è stato un secolo difficile, ricorderemo in seguito.
Ci vediamo con Salvatore in via Fratelli Magnoni, nell’omonimo palazzo di famiglia che si sta recuperando al centro del paese. Gli sono debitore di una visita da quando quest’estate ho saggiato il suo vino e fatto la sua conoscenza. Per la verità il sottoscritto gli è debitore da una decina d’anni, per aver usufruito del suo spaccio di musica stupefacente in quel negozio storico che è Fonoteca, a Napoli, dove con amici trascorrevo intere mattinate rubate all’istruzione scolastica superiore. Salvatore Magnoni per tanti anni è stato dj a Napoli, animatore di locali storici e delle prime feste sulla spiaggia di Fusaro, uno dei soci fondatori di Fonoteca, in quella città dove a cinque anni il padre era tornato direttamente dagli Stati Uniti.
Il Novecento, dicevamo, fu un secolo difficile.
Saliamo al secondo livello di Palazzo Magnoni attraversando l’impluvium centrale. Siamo entrati dal lato dove si apre il giardino, ammirato i gelsi e i tigli ed ora nell’ampio salone, rapiti, osserviamo un mobile dell’ottocento pieno zeppo di dischi in vinile di Rock, Jazz, Funky e tutto il ben di Dio musicale diviso per decenni – occupano anche gli spazi adiacenti – guardati dal mezzobusto di Lucio Magnoni, tra i primi protagonisti dei moti risorgimentali, e il ritratto di Michele Magnoni, tra i mille di Garibaldi e il più celebre tra gli avi, che domina l’ampia stanza.
Salvatore ci conduce attraverso le stanze recuperate che parrebbero essere del cinquecento, quando si ha notizia dei primi Magnoni, calpestiamo il cotto del settecento, e osserviamo, superando degli scalini, il piastrellato di pastina di cemento del novecento sovrapporsi in alcune stanze a disegnare una sorta di stratigrafia di architettura rurale.
Furono i flussi demografici dei primi del Novecento, il desiderio di scalata sociale dei coloni e dei contadini, la rivoluzione industriale, l’emigrazione verso le Americhe, interi paesi che si spostavano occupando Brasile, Bolivia, Venezuela, Stati Uniti, a costringere i Magnoni all’abbandono del palazzo e delle terre per le esigenze, tutt’altro che condannabili, di bisogno e sopravvivenza.
Nonno Salvatore, partito ai primi del Novecento, si stabilì a Brooklyn, New York e tornò solo per sposarsi.
“Produco olio da dieci anni ormai, da quando sono tornato da Napoli. Quatto ettari di uliveto, piante vecchie che sto recuperando e giovani che sto piantando, settecento fino adesso. Sto cercando di fare una monocultivar, Salella, anche se per adesso, c’è ancora un 20% di Rotondella, che a raccoglierla si butta il sangue. Il Frantoio è quello di Emilio Conti, a Vallo della Lucania, il migliore del meridione. Poi piano piano sto restaurando l’edificio, tre stanze sono destinate a Bed e Breakfast, vengono soprattutto stranieri fuori stagione, poi il vino, per adesso mille bottiglie, non a caso. È Bruno De Conciliis ad aiutarmi in cantina”, dice sorridendoci.
“Qui si è sempre prodotto, ma sempre per sostentamento, autoconsumo, mai per commercio, per creare ricchezza. Per questo mio nonno, mio omonimo, fu costretto ad emigrare in America. Ma adesso sta cambiando, sono fiducioso.”
L’olio, squisitamente erbaceo, leggermente fruttato al naso e delicato al palato, così come il vino, in prevalenza Aglianico, coltivato nei due ettari di giovane vigna ben esposta, piantata a 250 metri tra il 2004 e il 2006, robusto, alcolico, profumato di frutta e spezie, di fiori e canfora, al palato pieno e saporito, li potete trovare da Antonio Tubelli da Timpani e Tempura o da Nando Salemme all’osteria Abraxas di Pozzuoli. Altrimenti da Salvatore Magnoni a Rutino: solo mille bottiglie. Come i garibaldini.
Mauro Erro
Sede a Rutino, Via Fratelli Magnoni 11 Cell.: 329/8125129 .
www.primalaterra.it
salvatore.magnoni@fastwebnet.it
www.palazzomagnoni.it
Ettari: 35 di cui due vitati.
Enologo: Bruno De Conciliis
Bottiglie prodotte: 1.000.
Vitigni: aglianico in prevalenza.
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