di Antonio Di Spirito
Ponza è la maggiore delle isole Pontine e, nell’immaginario collettivo viene identificata, di solito, come luogo di vacanze estive.
Fu possedimento dei romani, che vi realizzarono importanti infrastrutture per poterla abitare almeno nel periodo estivo, quali le cisterne per l’acqua. Ma, con il declino dell’impero, l’isola rimase pressoché disabitata.
Nel 1734 Carlo di Borbone, re di Napoli, approfittando di un sinistro evento, quale il terremoto che semidistrusse Ischia, invitò una parte di ischitani a trasferirsi sull’isola di Ponza, assegnando loro dei terreni in enfiteusi perpetua.
Con questa azione perseguì due obiettivi importanti: ripopolare un vecchio possedimento ormai disabitato e debellare le scorribande dei pirati che infestavano il mare a ridosso della costa. I pirati, infatti, utilizzavano Ponza e tutte le isole pontine come comodo punto di appoggio per le loro illecite attività.
Non furono solo ischitani i nuovi coloni, ma arrivarono famiglie anche da Torre del Greco e Torre Annunziata, poi da Ottaviano e Napoli ed, infine, si è registrato qualche arrivo dalla Sicilia.
Ognuna di queste famiglie portò le proprie conoscenze, la propria cultura, le proprie usanze e tutte le esperienze maturate nelle terre di provenienza: da Torre Annunziata le attività marinare e pescatorie, da Torre del Greco anche l’attività di pesca e lavorazione dei coralli; da Ischia le colture della vite ed altri prodotti della terra. I coloni trovarono condizioni locali abbastanza adatte a permettere questo tipo di sviluppo, ma c’era da fare un duro e lungo lavoro di dissodamento e di riadattamento dei terreni dell’isola: anche se le colline non raggiungono altezze notevoli, hanno, comunque, pendenze importanti. Furono costruite le famose “parracine”, muretti a secco di contenimento del terreno “rubato” alla collina con la realizzazione di terrazzamenti, per poter sfruttare ogni più piccolo, possibile fazzoletto di terra.
Il tutto era regolato dal contratto con il quale il re di Napoli aveva concesso quelle terre, imponendo, altresì il tipo di coltura e la decima sul ricavato: il 10% della produzione doveva essere devoluta alla casa reale.
Con la costituzione del Regno d’Italia, le isole, naturalmente, divennero italiane e, nel riassetto territoriale del 1926, tornarono, geograficamente nel Lazio e, giurisdizionalmente, nella provincia di Latina.
Questa breve ed incompleta ricostruzione, che ogni ponzese orgogliosamente ricorda in ogni occasione, serve a comprendere quanto naturali e difficoltose siano le condizionavi vita dei ponzesi e quanto legittime le loro aspirazioni.
Sull’isola non si mangia solo pesce: la tradizione ischitana ha portato il consumo diffuso del coniglio, e la coltura di biancolella, piedirosso ed aglianico; si producono, anche, legumi, soprattutto lenticchie e cicerchie di ottima qualità.
Insomma, la vita degli abitanti di Ponza, circa tremila nel periodo invernale, per decuplicare nel periodo estivo, è regolata con una dieta mediterranea completa e si sentono pronti e desiderosi di “destagionalizzare” la loro vita ed accogliere i turisti tutto l’anno.
Sicuramente sono da migliorare le vecchie strutture o creare di nuove, potenziare i collegamenti con la terraferma ed acquisire maggiore autosufficienza; ma le potenzialità e la volontà non mancano.
L’evento del 5-7 ottobre è stato pensato e rivolto ai media ed alle autorità competenti proprio per sollecitare la giusta attenzione ed ottenere gli aiuti indispensabili.
L’intero programma della manifestazione è stato pianificato dalla giornalista Tiziana Briguglio, non certo una principiante in questo genere di eventi.
Abbiamo assaggiato moltissimi prodotti dell’isola: dai cereali al vino, dalle buonissime confetture di frutta alla mostarda; niente pesce! Di sicuro li prodotti sono molto variegati e capaci di offrire una dieta mediterranea completa ed equilibrata.
Il biancolella è il vitigno che, più d’ogni altro prodotto, si è acclimatato meglio a Ponza ed ha sviluppato un carattere tutto proprio e ben definito.
Nel convegno dedicato al vitigno principe dell’isola “Biancolella: Viaggio nel futuro”, nel quale sono intervenuti, tra gli altri, Giovanni Pica e Claudio Di Giovannantonio, dirigenti dell’agenzia ARSIAL, ne è scaturito un “ritratto” completo, a tratti preoccupante: nel Registro dei vitigni del Lazio è l’unico vitigno autoctono a piede franco presente nel Lazio, coltivato in regime di “viticoltura eroica” in luoghi talvolta impervi, con pendenze che superano il 30% e, per raggiungere alcuni vigneti, occorrono ben 40 minuti a piedi. A questo quadro di difficoltà, si aggiunga poi l’estrema parcellizzazione dei piccoli vigneti, dei quali solo pochi, rispetto alla realtà, sono regolarmente iscritti nel registro nazionale. Ad oggi sono solo due i produttori di livello nazionale che producono e commercializzano il biancolella.
Circa venti fa Emanuele Vittorio ha recuperato antichi vigneti a piede franco che furono del nonno Benedetto Migliaccio, in località Punta Fieno, ormai sommersi da sterpaglie, e fonda Antiche Cantine Migliaccio. Solo 4 ettari di vigneti, per una produzione totale di circa 10 mila bottiglie, di cui 5.000 di biancolella.
Da pochi anni la famiglia Santarelli, proprietaria di Casale del Giglio, ha acquisito una piccola proprietà a Ponza di circa 2 ettari, in località Il Faro della Guardia e dalla quale produce circa 5.000 bottiglie di biancolella.
Affascinante e faticoso il tentativo de “I custodi della Terra”, istituita proprio per riprendere e proseguire certe pratiche colturali ed alimentari, e di alcuni Vignaioli Indipendenti, che vogliono porsi come terzo produttore di vini dell’isola.
In una degustazione sono stati messi a confronto vini prodotti con biancolella sull’isola d’Ischia: non solo hanno tenuto testa, ma, in qualche caso, hanno superato i vini madre.
Li racconto secondo l’ordine di servizio.
Biancolella 2017 – Antiche Cantine Migliaccio: al naso offre profumi floreali, fiori di ginestra ed erbe officinali ed aromatiche; l’entrata nel palato è caratterizzato soprattutto dall’acidità, il sorso è scorrevole, saporito e pervasivo lasciando il cavo orale pulito ed asciutto; ma l’acidità ed un pizzico di sapidità lo rendono persistente.
Il secondo vino in assaggio è il Fieno di Ponza 2017, vino di punta di Antiche Cantine Migliaccio: è un blend di Biancolella con un saldo di forastera ed altri vitigni locali. Al naso si apprezza un lieve ricordo di ginestra e fiori bianchi, mentre l’odore di pietra focaia domina la scena; al palato offre sapori molto ampi, soprattutto fruttati, l’acidità è notevole e se ne avvale il sorso che risulta scorrevole, piacevole ed elegante.
Il terzo vino è il Faro della Guardia 2017 di Casale del Giglio: biancolella in purezza. Intenso nel color giallo paglierino come nei suoi profumi minerali di pietra focaia; quando si ossigena nel calice e si smorsano le note minerale, si apprezzano anche intense note floreali e fruttate. Al palato è intenso e concentrato nei sapori fruttati; l’acidità e la sapidità vanno di pari passo in un sorso scorrevole, deciso e di grande personalità.
Biancolella 2017 (Ischia DOC)- Pietratorcia: al naso è molto floreale, ma si apprezza anche frutta a pasta bianca e qualche nota tropicale; è consistente ed intenso al palato; freschezza affilata, mineralità e sapidità rendono scorrevole il sorso che presenta in chiusura anche un deciso tocco alcolico.
Biancolella 2017 (Ischia DOC)- Casa D’Ambra: l’olfattiva è caratterizzata da fiori gialli accompagnati da note nocciolate di frutta secca; in bocca è ampio di sapori, gustoso e misurato; freschezza e sapidità portano il sorso ad una chiusura molto lunga. Vino molto equilibrato ed elegante.
Biancolella 2017 (Ischia DOC)- Cantine Antonio Mazzella: intensi profumi di fiori di acacia al naso; l’ingresso in bocca è caratterizzato soprattutto dalla componente salina e dall’acidità; il sorso è scorrevole e lieve; pulisce molto bene il cavo orale.
Biancolella 2017 (Ischia DOC)- Tommasone: naso floreale e poca frutta a polpa bianca; l’ingresso in bocca rivela una forte acidità agrumata, il sorso è fruttato e scorrevole. E’ un vino di grande spessore.
In conclusione, non si voleva fare un vero confronto fra i vini delle due isole, bensì controllare lo stato dell’arte di una enologia giovanissima e formata di poche unità produttive e di poche bottiglie prodotte (quella di Ponza) in un contesto consolidato con molte decine d’anni di esperienza e che facesse anche da punto di riferimento, come quella di Ischia, da cui, tra l’altro, deriva.
In conclusione, comunque, si può affermare che, oggettivamente, i vini di Ponza hanno una mineralità più accentuata, sono più materici e saporiti, mentre i vini di Ischia giocano di più sull’eleganza e sulla finezza.
In coda a questa degustazione è stato presentato un vino prodotto sull’isola di Ventotene.
Pandataria 2016 – Candidaterra: è la seconda vendemmia di questo vino; è prodotto con tre vitigni campani: greco, fiano e falanghina e fa un veloce passaggio in legno; al naso si annuncia con profumi floreali, note affumicate e cenere; al palato si apprezza l’eleganza del fiano, la ricchezza della materia del greco e l’acidità della falanghina; è piacevole, saporito e succoso. Ancora non del tutto amalgamato, ancora troppo giovani le vigne per dare un risultato armonico, ma equilibrato e di ottima prospettiva.
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