di Raffaele Mosca
“Un Sangiovese così non è molto comune nel Centro Italia: forse è più facile trovarne di simili aldilà dell’Appennino, sul versante romagnolo”. Parole di Federica De Santis, agronoma di Pomario, l’azienda dei conti Spalletti Trivelli in quel di Piegaro, terra di confine tra Orvietano e Trasimeno.
Una realtà fuori da qualunque itinerario battuto dagli enofili, senza nessun confinante che coltivi la terra e quindi naturalmente biologica (con certificazione dal 2014). La famiglia l romana ha avviato il progetto come hobby per fuggire dal tam-tam cittadino, rilevando nel 2004 un corpo unico di ben 50 ettari, di cui solo 9 vitati. Poi, però, è diventato qualcosa di più concreto: oggi la nuova generazione è impegnata a tempo pieno nella gestione aziendale, che fa leva sull’ appeal turistico della zona e punta molto sull’ hospitality, vendendo una quota considerevole della produzione – pari a circa 35-40.000 bottiglie annue – direttamente ai visitatori.
La zona di per se è alquanto anomala: sia per i suoli, con una sovrapposizione di tufo tipico di Orvieto e argille della zona che verso la Toscana, che per l’altitudine che supera i 500 metri. Una manna celeste per i vini nell’epoca del riscaldamento globale: tutte le etichette in gamma hanno, infatti, come fil rouge leggerezza e tensione, a prescindere dalla varietà di origine.
Forse le referenze più conosciute in questa fase sono l’Arale, un orange wine pionieristico da uve Trebbiano e Malvasia, e il Muffato della Strega, vino dolce da uve botritizzate che ha agguantato qualche premio qua e là. Ma a distinguersi in occasione dell’open day a Villa Spalletti Trivelli, casa-relais della famiglia a due passi dal Quirinale, è stato proprio il Sangiovese dal vecchio vigneto piantato nel 1974 e rimesso a nuovo dopo l’acquisizione.
Fermenta con pied de cuve in acciaio e affina in botte grande di rovere frances3x Il profilo è da vino d’altura, forse comparabile a quello di certi Sangiovese di Modigliana e dintorni, con fragole selvatiche ed erbe officinali a primeggiare, seguite da fiori in appassimento, china e giusto un pizzico di tostatura. Agile e di grande beva, con tannino lieve e acidità guizzante a condurre i giochi, retro-olfatto balsamico e sottilmente speziato di bella soavità. Snello, ma non diluito, sgrassante e quindi perfetto per la cucina regionale: strangozzi alla norcina in primis. Lo trovate in enoteca oppure online per circa 25 euro.
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