Uva: aglianico
Fascia di prezzo: da 20 a 25 euro
Fermentazione e maturazione: legno
Vista 5/5. Naso 25/30. Palato 27/30. Non Omologazione 35/35
C’è un motivo scientifico per cui il Poliphemo 2009 è un grande vino: mi piace.
Intendo lui, per la sua naturale propensione a coniugare cultura e sapere rurale, Voltaire e Bertoldo: nella sua testa convivono suggestioni di letture e di note musicali, le pratiche magiche di quella strana curva a 600 metri di altezza avvolta nella nebbia dove a sinistra è comune di Paternopoli mentre a destra, mentre sali, è Castelfranci.
Luigi mi piace perché, come me, è ossessionato dal tempo che sfugge, la morte improvvisa e prematura del papà ha lasciato un segno ben preciso sulle cose da fare. E su come farle.
Eppure questa consapevolezza del poco a disposizione di cui ciascuno di noi può godere non coincide con la fretta e la superficialità. Al contrario, il tema mentale è di tipo opposto: proprio perché il vivere è corto servono pignoleria e precisione nelle imprese umane.
Per questo lui è un artigiano dell’Aglianico, del suo Aglianico, di cui conosce tutto a menadito. Una figura opposta a quei produttori, specie prestati da altri settori, ai quali non serve un anno per tirare fuori un Taurasi riserva.
Del resto le sue 4.500 bottiglie di Poliphemo 2009 già fanno discutere. Avevo nella memoria il Satyricon 2009, ah Jenny, sempre grazie per il meraviglioso 2003 rubato nella tua cantina nella estate di due anni fa.
Vino Slow, Luigi è l’unico ad aver fatto ambo con questo riconoscimento insieme al 2008 Poliphemo.
Quando si ha visione umanistica, tutto è possibile; come entrare in una enoteca, chiedere di vecchie bottiglie di Mastroberardino e sentirsi dire: “E’ passato Tecce e le ha comprate tutte”.
L’idea dunque più giusta di approccio non è misurare il Taurasi 2009 con il suo predecessore, ma con il suo fratello minore uscito prima di casa. Perché a un produttore da diecimila bottiglie chiedere continuità d’annata significa invocare l’ossimoro come regola. Voglio, esigo, ogni millesimo diverso dall’altro. Altrimenti la vita non ha senso, sarebbe, quella sì, la fine della Storia.
La 2008 è piaciuta, la riproviamo, per quella ciliegia esuberante e sparata nelle diverse varianti espressive della frutta, da quella fresca alla conserva a seconda del tempo olfattivo concesso al bicchiere, in un corredo terroso, di cenere. L’autunno di Paternopoli.
A chi non piace una ciliegia che alterna dolcezza e acidità in parti uguali ma in successione e non come compensazione? Se poi ha il corpo e l’alcol e i tannini, il tutto speso su un pecorino nelle vinacce, il viaggio nell’atarassia è assicurato.
Il 2009 invece è nervoso. Riflette l’ansia di una vendemmia durata 25 giorni con la paura della pioggia, quattro raccolte dalla metà di ottobre al 10 novembre e due linee di scelta: quella perfetta finita nel tino di castagno a macerare per 40 giorni, il Poliphemo 2009. Quella meno integra, lavorata per 20 giorni in acciaio per poi essere affinata in barrique usate per dodici mesi. Ecco il ritorno del Satyricon.
Poi la scena cambia rispetto alle precedenti edizioni, perché la novità della 2009 è il passaggio dal tino di castagno alle botti grandi da 50 ettolitri di Gamba nuove di zecca anziché nei legni usati in precedenza. Due anni prima di uscirne e passare in bottiglia.
L’annata 2009 di Poliphemo si riaggancia non a caso alla 2006, anche quella non compresa immediatamente da tutti, perché un vino che esce dagli schemi in cui spesso ci rifugiamo per la valutazione.
Intanto alla frutta, alla ciliegia, si sono sostituite note più cupe, un cenno di liquirizia, canfora, buccia d’arancio, funghi e, ovviamente, sempre cenere nel finale, pulito, lungo, rinfrancante, perfetto, invito alla ribeva.
In bocca non è rassicurante, ma inquietante. Non c’è il dolce saporoso della frutta che cura l’ansa e soddisfa, sapidità e amarognolo si alternano di continuo con qualche rimando di liquirizia mentre la freschezza è, al contrario di quello che avviene con la maggior parte dei vini, in crescendo.
Impressionante progressione.
Si rinnova, rimbalza, si accresce, aggredisce da più lati il palato, non ti lascia tranquillo, non c’è il tempo di fissare una solo sensazione, sei impegnato a parare i colpi, ad inseguire ricorsi e suggestioni.
A me questi vini non definitivi piacciono da matti, sono il motivo per cui scrivo di vino. Lo spartito mozartiano va benissimo quando si trinca senza impegno e il bere è musica da accompagnamento, ma è nella confusione della scrittura e dello spartito romantico, nell’ansia della finitezza, nella paura di non raggiungere il nostro oggetto, la vera essenza di questo Aglianico.
Scusate, la vera essenza dell’Aglianico.
Chè poi queste pippe mentali vengono spazzate via quando Luigi tira fuori il salsiccione fumé appena appena bollito. E allora il suo rosso si addomestica, si accuccia nel palato come il cane da caccia nel salotto della stampa inglese, di quelle che ci rompono le palle nelle sale dei dentisti da quando siamo nati per la loro improbabilità nel XX secolo di acciaio e di cemento.
E capisci ancora come la coltura e il sapere rurale si fondono davvero: questo vino così irruente e scomposto in realtà è un animale da traino a tavolo, serve a mangiare meglio il cibo.
L’assaggio è dunque esercizio di preparazione ad una esperienza ben più complessa e completa. Semplice.
“Ero preoccupato perché il 2008 ha messo d’accordo tutti” dice Luigi senza ironia, convinto.
Ora, per fortuna, c’è da discutere.
Del fatto che, per esempio, la 2009 sarà una grande annata per l’Aglianico di Taurasi.
Sede a Paternopoli. Via Trinità, 6 Tel.0827.71375. Bottiglie prodotte: 5000. Ettari: 4 di proprietà. Vitigno: aglianico Prezzo: 23 euro franco cantina
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