Sapevo che me ne sarei pentito, mi ha fregato quell’ancestrale complesso meridionale di voler fare sempre bella figura quando si va fuori. Oppure, anche, la voglia di condividere questa bottiglia con persone che stimo e con le quali avrei passato sicuramente una bella serata, come poi in effetti è avvenuto al Palagio del Four Seasons di Firenze con la buona cucina di Vito Mollica.
Dalla bottiglia riportata alla luce si vedeva un rosso vivo e cupo e mentre la mettevo in valigia ho pensato: chissà come sarebbe stato tra dieci anni. Già, perchè con le bottiglie, a prescindere dal loro valore, mi prende sempre un forte attacco di tirchieria, tiro a conservare il più a lungo possibile. Ma il destino di questo Poliphemo era segnato ormai, la mia annata preferita di uno dei miei rossi preferiti.
Il vino non ha smentito la giovinezza che mi aspettavo e la inutilità di doverlo aprire con dieci anni almeno di anticipo. La consolazione è però aver fatto vivere questa emozioni ad altri amici qualificati e soprattutto aver verificato praticamente tutto quello che ho scritto in precedenza: vino di potenza ma agile, fresco, freschissimo in bocca, ricco e cangiante di continuo al naso. Un rosso rubino che a distanza di sette anni non ha il minimo segno di cedimento o di ripiegamento.
Ancora una volta, quando lo si mette in bocca è l’acidità a dminare la beva, quasi scissa, a seguire tutto il resto, sapido, secco, lungo, ampio, vitale. Materia viva.
Lo sapevo che me ne sarei pentito, ma alla fine questa bottiglia finita in una cena di cacciagione non poteva avere fine migliore, in una tavola competente, ben figurando con tanti altri straordinari vini della serata.
Come diceva Menandro, muore giovane colui che al cielo è caro.
Vale per gli uomini, forse anche un po’ per le bottiglie. Cogli l’attimo e alla prossima ne parliamo.
Grande Tecce.
Scheda del 7 luglio 2012. Non ci sono parole per descrivere la perfezione di questo vino. E’ come Cassius Clay, Muhammad Alì: una massa enorme agile e nervosa che gira continuamente attorno al palato colpendolo di volta in volta dove meno te lo aspetti.
Ora è il ritorno di ciliegia succosa e croccante annunciata dal naso, poi il malinconico autunno irpino con il fogliame depositato nel sottobosco e il fumo che si leva dai camini.
Oppure è l’anarchica acidità di Luigi mai domata dalla materia, anziché l’annuncio religioso dell’immortalità: perché se l’anima è eterna non può essere da meno questo vino, giovane e fresco come i nonnetti del Vulture della reclame di Acqua Lilia.
L’abbraccio attorno alla lingua partendo dalle acidità laterali bypassa completamente la punta, adibita al dolce degli arrivisti e di color che vanno di fretta. E’ un abbraccio conviviale, come deve essere questa bottiglia in una tavolata di amici attorno ad un capretto che ha belato in libertà sui verdi pascoli del Formicoso.
Un vino vestito di Aglianico, colturale e culturale, dalle dita sensibili e attente, meraviglia assoluta della sintesi a cui può arrivare l’Irpinia dentro il bicchiere.
“Come quelli che vanno in Seminario e perdono la fede, io dopo che ho fatto l’assistente a un parlamentare non sono andato più a votare, mi dedico solo al vino”. Luigi dixit in Paternopoli il 26 luglio.
Scheda del 2 gennaio 2012. Sorso nitido: il Poliphemo 2006, ora, è già terso, pulito. L’alcol c’è ma non si vede, e perciò ti “fa”. Niente porcherie, forse solo un po’ di concentrazione, o forse manco quello, solo torchio. Terra buona, nasce su una terrazza avellinese Assolata, Ventilata, Inerbita, su cui cresce solo uva buona da piante vecchie.Longevità presunta: 2006->2016->2026->2036: ecco, allora mi chiedo, 6 bottiglie ho comprato (a 25 euro l’una, a dir il vero, con la raccomandazione, perché il prezzo è ben più alto), una me la sono già sparata (una tra le tante, per festeggiare la nascita della mia piccola Isabella)… resisterò alla tentazione?
Poliphemo 2006 al secondo bicchiere ti “stupidisce”, perché se ne scende una bellezza, perché è molto fluido. Altro che Maya, la vera profezia è questo Taurasi 2006 di Luigi Tecce.
Stavolta ho afferrato una cosa: forse il miglior vino è quello in cui cade il bisogno del ricordo (difatti, il gioco dei sentori percepiti, il gioco delle degustazioni e delle assonanze ve lo risparmio); il vino in cui v’è forte percezione di una bontà, talmente primordiale da coinvolgerti (o sconvolgerti?) completamente, ti mette in pausa la mente. E non è cosa da poco.(Gaspare Pellecchia)
Scheda pubblicata sul Mattino del 2 aprile 2010. Paternopoli è forse il punto più alto del Taurasi docg, la terra è grassa, alimenta a dovere ogni cosa l’uomo decide di piantare. Figuratevi voi un po’ l’Aglianico, amante del freddo, del suolo vulcanico, delle escursioni termiche, dell’attesa. Luigi Tecce è un vigneron autentico, con l’enologo Vincenzo Mercurio ha avviato una collaborazione su un progetto specifico, ma il Taurasi Poliphemo lo segue in prima persone.
La sua filosofia, dovere assoluto per chi fa poche bottiglie, è molto semplice: esistono annate buone e annate cattive, ma ciascuna ha il diritto di farsi sentire nel bicchiere senza correzioni perché il bello del vino è proprio nella differenza. Così restiamo senza parole rispetto alla 2006, un vero capolavoro di complessità, freschezza, bevibilità, straordinario dinamismo in bocca, un Taurasi con una marcia in più, provato e riprovato sui piatti del ristorante La Ripa a Rocca San Felice dove lo abbiamo presentato nell’ambito del progetto itinerante di Grandi Vini da Piccole Vigne.
Una domenica trascorsa nel bel ristorante ristrutturato e gestito con piatti semplici di territorio, ricchi di sapore, formaggi e salumi, soprattutto il caciocchiato di Lo Conte e il pecorino di Carmasciano che ha qui la propria zona di elezione. Così, mentre la Mefite spuffettava, il Poliphemo 2006 ha fatto il suo timido esordio.
Un Taurasi contadino, autentico, di carattere, di lunghissima vita su cui vale sicuramente la pena di investire: poco più di 5000 bottiglie da collezione, intese, quasi una sublimazione di come debba esprimersi l’Aglianico a queste altezze. Ogni anno è irripetibile, e questo sicuramente avrà dalla sua una marcia in più grazie alla tonificante freschezza. Una vera espressione di artigianato rurale, non modaiolo, da conquistare con fatica e passione solo se davvero siete amanti dell’Aglianico, un vino che mai conquisterà il mondo, ma capace di entrare nell’anima.
Sede a Paternopoli. Via Trinità, 6 Tel.0827.71375. Bottiglie prodotte: 5000. Ettari: 4 di proprietà. Vitigno: aglianico Prezzo: 21,5 euro franco cantina
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