di Fabrizio Scarpato
Il grande quadro domina la sala a vetri, rischiarato da quella luce bianca a perdita d’occhio che illumina d’orzata questi luoghi. Accanto alla cucina un padre, cuoco, e alcune donne, forse depositarie di antichi saperi, forse sfogline o razdore, nell’angolo un cameriere: tra loro, divertiti, tre bambini. Una mamma incoraggia con fare affettuoso uno di loro a fare i tortelli, belli grandi e panciuti. Il ragazzino porta grandi occhiali neri.
La vetrata è un giardino d’inverno, centro di affetti e sentimenti, posta tra l’aia e l’argine del grande fiume: l’Antica Corte Pallavicina è rossa di pietre restaurate e recuperate con cura, perché possano continuare il racconto di una famiglia, dei vicini, dei lavoratori, dei contadini, dei bimbi e degli animali che nei secoli sono passati su quei selciati, che sono vissuti tra quelle mura.
Un traliccio alto e diafano nella trama ferrosa, sovrasta la golena, forse arcano trasmettitore uso a captare le voci, i ricordi, lo spirito di storie che non possono, non debbono essere dimenticate. Grugniti di maiali ammazzati, il sangue, le grida di tanti Olmo Dalcò, i gesti sapienti dei vecchi come il bisnonno, norcino del maestro Verdi: uno stupefacente amplificatore a valvole, proprio lì sotto il quadro, promette di sparare do di petto vellutati e tellurici.
Storie di arti e mestieri, di canti e fatiche che la nebbia ha sempre circondato di premura affettuosa, così come, ancora oggi, cura le migliaia di culatelli sospesi in sipari maestosi e inebrianti nei sotterranei della Corte. Poche finestre, alcune feritoie a fare entrare umidità, ‘ché le muffe nobili abbiano a pàscersi con dovizia, per i profumi che verranno; laggiù, la sala di stagionatura delle forme di parmigiano, fuori, le galline che razzolano tra i pioppeti.
Passaggi di tempo.
Nei mille modi del maiale, nelle stalle e nell’aia, nella caccia, tra lepri e pernici, negli orti sulla via di Zibello, nelle vigne del Fortana, nei campi umidi delle lumache, nei pesci e nelle rane del fiume. Passano le stagioni nella frutta che guarnisce i piatti e che allieta la vista, conservata, sciroppata, composta e caramellata in una atmosfera rinascimentale degna di un dipinto di Arcimboldo, pur tuttavia intimamente popolare, diritta e fiera, mai popolaresca.
C’è differenza. Una suggestione risorgimentale nella torta fritta che sembra una balla di fieno nella Bassa sotto la bandiera dei tre colori
Un abbraccio di sensibilità e calore nei ravioli di lumache.
Una rassicurazione, forte come una stretta di mano, nel maiale e nella pernice tra frutta e foie gras
Un proverbiale ritorno al futuro nel gelato di parmigiano con pere caramellate all’aceto balsamico tradizionale.
Infine un volo negli autunni nebbiosi, nei camini accesi, nella confortevolezza dei profumi del giallo, nel bilanciamento della dolce selvaticità di petto, coscia e rognoncino di quaglia, che solo una sintesi linguistica che poco concede alle mode più prolisse, ha voluto nominare risotto ai pistilli di Crocus con piccolo ragout di cortile. Il cortile, i profumi, le voci dei dì di festa.
Il grande quadro sembra animarsi: la stessa grande cucina in ghisa del dipinto, ora si trova al centro della vetrata, sommersa di conserve di frutta. Massimo Spigaroli è alla Corte per raccontare la sua storia: per un attimo sembra parte del quadro, o forse lo è davvero. Finalmente si volta, lo guarda, e forse si commuove, con tenerezza, dietro i suoi occhiali neri.
Un pavone blu e verde passeggia lentamente sul tetto: non ha bisogno di fare la ruota, da queste parti non usa, ma certamente è consapevole di esser simbolo di continuità, di un passato pieno di senso del futuro. Oltre l’argine, lungo strade tutte uguali, due cartelli opposti indicano la via per Busseto e Samboseto: altre storie, di musica e cinema, di parole e cucina, tutte grandi, da questa parte del Po.
Antica Corte Pallavicina, chef Massimo Spigaroli – Polesine Parmense (PR)
Strada Palazzo Due Torri, 3
Tel. 0524.936539
www.acpallavicina.com
Sempre aperto, chiuo il lunedì
Ferie dal 10 al 30 gennaio.
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