Crescono di pari passo con i quartieri di Napoli nei quali sono nate le pizzerie Centenarie. E, così facendo, seguono e raccontano l’evoluzione della città.
La loro storia si intreccia – e a tratti si fonde -con quella delle botteghe artigiane dei vicoli, con quella dei negozianti del posto, delle fabbrichette di un tempo.
Perciò oggi ogni pizzeria Centenaria può parlare di Napoli. Di quello che era e di quello che è. Degli usi e costumi a tavola e non solo.
Uno spaccato che si fa ancora più evidente laddove il cambiamento è stato radicale. Come a Chiaia dove gli antiquari hanno lasciato il posto a grandi brand del lusso e al Vomero del venuto sempre più centro residenziale e commerciale della borghesia napoletana.
È per questo che il confronto tra Salvatore Grasso, presidente dell’Unione Pizzerie Storiche Napoletane “Le Centenarie” e titolare della pizzeria Gorizia di via Bernini e Massimo Di Porzio, presidente di Confcommercio Napoli e titolare della pizzeria Umberto in via Alabardieri assume caratteri altamente significativi. Non solo per l’interpretazione della città – e della pizza napoletana – ma anche per il periodo in cui le rispettive famiglie hanno partecipato alla storia: l’anno di nascita delle due pizzerie è infatti lo stesso, il 1916.
A noi del Luciano Pignataro Wine Blog il compito di raccogliere questa ulteriore testimonianza che viene fuori, ancora una volta, dal dialogo tra i due protagonisti.
Massimo, qual è il valore di essere Centenari?
“È quello di passare attraverso le generazioni.
Abbiamo dei tavoli dove siedono il nonno e il nipote ed entrambi amano allo stesso modo la pizza napoletana.
La cosa bella è proprio vivere e partecipare alla storia delle famiglie e allo sviluppo del territorio. Credo che ci sono locali Centenari che hanno influenzato loro i cambiamenti delle varie aree della città.
La gastronomia del resto rappresenta un momento importante della vita quotidiana. Quando abbiamo iniziato erano presenti in città circa 30 pizzerie ed è per questo che quel fascino che si riscontra ancora oggi nelle pizzerie storiche difficilmente si può riscontrare in quelle moderne.
Antico non significa vecchio ma è ciò che parla delle nostre origini. È come per i mobili: il falso antico non ha senso. L’oggetto antico o ce l’hai ed è di assoluto pregio o non ce l’hai. Antichi si diventa. Siamo stati bravi noi a conservare e tramandare la tradizione e a mantenere una impostazione gastronomica”.
Massimo, naturalmente intendi che siamo stati bravi anche perché anche nella pizza c’è stata una evoluzione del gusto. Cosa pensi in merito all’innovazione?
“È giusto che ci siano condimenti diversi ma dico sempre che sull’impasto non debbano andare più di 4-5 ingredienti incluso l’olio.
Non condivido neppure la scelta di condire all’uscita perché crea un raffreddamento dell’impasto. Ricordo che prima i tavoli più gettonati erano quelli accanto al forno perché lì la pizza arrivava bella calda-calda”.
Massimo qual è la tua idea sul metodo di cottura?
“Sono convinto che il forno nella pizza napoletana tradizionale debba essere a legna. Almeno le pizzerie storiche, le napoletane, devono continuare ad utilizzare il forno a legna cosa che salvaguarda anche il mestiere del fornaio. Va bene che all’estero si usi il forno a gas o elettrico ma qui almeno le pizzerie nostre devono usare quello a legna. Vanno bene le mode. Va bene adeguarsi al mercato, ma questa è un’altra cosa che non rientra nella pizza napoletana”.
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