Ha più di cento anni suonati, la Pizzeria Starita e secondo i napoletani è tra le migliori della città. L’ora di fila da farsi per mettervi piede, solo in parte è un indizio a supporto della sua fama.
La pizzeria nasce nel 1901. Un’edicola votiva dedicata al Santo patrono di Napoli, all’interno del locale, ricorda la posa della prima pietra di una storia familiare lunga quattro generazioni di pizzaioli. A posarla fu Antonio Starita che nel vivace quartiere Materdei decide di avviare la sua attività di Cantina con cucina servendo, con l’aiuto della moglie Giuseppina Barattolo, semplici piatti accompagnati da vino genuino: zuppa di fagioli, alici fritte, baccalà fritto e trippa.
Intorno al 1933 gli succede uno dei suoi 11 figli, Giuseppe, che, con il valido aiuto ai fornelli della moglie Filomena Capezzuto, porta avanti la Cantina fino a quando, intorno al 1948, non intraprende l’attività di Pizzeria Friggitoria che avrebbe poi definitivamente caratterizzato il locale fino ai giorni nostri.
Scomparso nel 1961 Giuseppe, la signora Filomena trova nel suo unico figlio maschio, Antonio, il sostegno necessario a portare avanti il locale. I ricordi delle sue prime pizze sono molto chiari e gioiosi in Antonio Starita, maestro pizzaiolo per credo e uomo di poche parole ma di molte lucide idee. Descrivono con brevi pennellate una Napoli originalissima nell’inventarsi stratagemmi per sopravvivere.
E’ la Napoli della “pizza oggi a uotto” (pizza oggi ad 8), la pizza, cioè – mi racconta – che si faceva, fritta, nei bassi la mattina presto e che veniva prelevata e consumata con la promessa di pagarla la volta successiva (a 8 giorni), essendo il credito, sulla pizza, puntualmente erogato per turni e zone. Ricorda, Starita, all’epoca adolescente, di averne fatte tante di pizze cosi’, prima di iniziare, alle 12,00, il suo turno di lavoro nella pizzeria di famiglia. “Ricordo che una volta mi hanno dato 800 lire per quel lavoro” dice. E aggiunge poco dopo: “non erano affatto pochi all’epoca!”.
Dismessa del tutto l’attività di Cantina nel 1970, Antonio sviluppa in pieno, con sua madre e con l’aiuto dei suoi operai, la sua passione: la pizza.
Ad insegnargli l’Arte, a 14 anni, è il cognato Luigi, esponente di una “famiglia di grande tradizione” nella pizza: i Magno. Con Luigi, essendo scomparso il padre da pochi anni, Antonio collabora per un periodo per poi spiccare il volo da solo allevando, a sua volta, negli anni, il talento di tanti giovani di pizzaioli.
Scomparsa, nel 1990, la madre, Filomena, con la quale Antonio vanta di aver imposto uno stile cordiale ma rigoroso di gestione dei rapporti con gli avventori della pizzeria, “Starita”, pur sempre sotto la guida sua e di sua moglie Rosanna Formisano, è oggi affidata al figlio Giuseppe e alla figlia Mena.
Si arriva così ai giorni nostri e a contare 4 generazioni di Starita e ben 22 operai al lavoro nel locale.
E’ a loro che va il pensiero di Antonio Starita, da sette anni vicepresidente dell’Associazione Pizzaioli Napoletani. Lo impensierisce, che, racconta, nonostante la battaglia per il riconoscimento della Pizza napoletana STG sia stata vinta, la guerra vera (quello che è secondo lui, tra i suoi propugnatori in seno all’APN di concerto con l’Associazione Verace Pizza Napoletana, ne era il fine ultimo) sembri al momento persa: il riconoscimento della figura del pizzaiolo, nel settore della ristorazione, con le modalità già applicate alla categoria degli chef e dei suoi assistenti. Il ruolo subalterno dei pizzaioli, tutti inquadrati come “semplici operai” non gli piace, come, del resto, aggiunge, trova incomprensibile che nella scuola alberghiera l’arte bianca non sia contemplata e che manchi del tutto la concezione che “per imparare il mestiere di pizzaiolo occorrono almeno otto mesi stage in una pizzeria”.
Non si fa una ragione, no, del fatto che sia storicamente la più povera delle preparazioni, la più plebea, la pizza, perché, sostiene, che “l’obbiettivo della perfezione nella preparazione artigianale della pizza si ottiene con la specializzazione”. E’ dunque, necessario che si capisca che il “fornaio deve fare il fornaio” e, aggiunge, che si distingua in base alla esperienza maturata “tra il maestro pizzaiolo, il maestro fornaio, da un lato, e i pizzaioli e i fornai dall’altro”. Ci sono svariati argomenti che accendono una luce nello sguardo di Antonio Starita, insomma. Alcuni sono decisamente piacevoli.
Tra questi, il ricordo del Giubileo del 2000 nel quale ebbe la fortuna di essere uno dei tre pizzaioli ricevuti Papa Wojtyla al quale donò, con stupore del Pontefice, uno dei tradizionali forni in ottone e rame per il trasporto della pizza o quello della festa per il centenario della pizzeria che tanta fortuna portò al locale per essere stata seguita dalla Rai.
Ma se c’è davvero un ricordo che lo illumina è quello di suo padre nascosto sotto un tavolo per passare la pizza a Sofia Loren. Ricorda, Antonio, di aver avuto poco più di 12 anni quando la troupe intenta nelle riprese de L’Oro di Napoli sotto la direzione del grande Vittorio de Sica si installò per una settimana nel locale del padre per poter girare le scene nella quale la diva interpretava la bella e infedele pizzaiola del quartiere intenta a preparare le pizze fuori dal suo basso. Gli sembra ancora di vederla, l’attrice. seduta a uno dei suoi tavoli mangiare le uova strapazzate (delle quali sembra andasse ghiotta) preparate dalla madre.
Ce ne sono di storie in questo semplice locale di 70 posti dove il servizio è veloce come pochi.
Ma veniamo alla pizza. Lunga lievitazione, dalle 10 alle 16 ore e nessun ricorso alla refrigerazione. Il locale, che serve tutte le pizze della tradizione, si è fatto conoscere per alcune sue specialità come la Pizza con il baccalà; la Pizza Porta a Porta ideata nel 2004 in occasione di uno speciale della trasmissione di Bruno Vespa (rettangolare, divisa in tre settori, con friarielli, ricotta, pomodorini e bocconcini di mozzarella); la Marinara rivisitata (che aggiunge alla versione classica abbondante parmigiano e pepe) e la Pizza con provola, fiori di zucca e zucchine (anche nella variante con crema di noci).
Antonio Starita spiega che il segreto è nel “punto pasta, ossia nella proporzione esatta tra farina e acqua che ognuno stabilisce a occhio” non essendo le condizioni (ndr. microclimatiche) di preparazione sempre uguali. Per non parlare del fatto, spiega, che ognuno sceglie un luogo e un modo diverso per impastare.
Andando, poi, a cercare in cosa davvero questo locale è al top, si finisce con il parlare di fritti. A partire da crocchè, frittatine, “ciurilli ripieni” (fiori di zucca ripieni) per arrivare alla classica Pizza fritta (un ripieno con ricotta, cicoli e pepe) o alle più moderne Corna di Maradona (una pizza avvolta con ricotta, cicoli e pepe) l’abilità di Starita è nota. Si supera con la vaporosa, leggera e saporitissima Montanara fritta e al forno, ovvero cotta brevemente in entrambi i modi e condita con una salsetta profumata di basilico, e ricca in parmigiano e fiordilatte.
Per finire gli Angioletti, uno dei fenomeni di emulazione più contagiosi degli ultimi tempi. Non che non siano davvero squisiti e leggeri, questi bastoncini di pasta fritta conditi (nella versione salata) con pomodorini e rucola o (nella versione dolce) con crema di cioccolato, ma la domanda, di fronte al loro proliferare, sorge spontanea: “chi li ha inventati?”. Antonio Starita sorride “lo sa tutta la città, signora!”. E va avanti semplicemente raccontando che era la merenda che sua madre gli preparava con lo zucchero quando non aveva appetito e che qualche anno fa, volendo proporre un antipasto e un dessert della casa, pur senza volersi cimentare in cucina, i figli gli ricordarono di quei “bastoncini che gli preparava la mamma”. E così furono … gli Angioletti.
Un fritto, una pizza e birra (solo Paulaner) e un finale dolce 15 euro.
Via Materdei, 27
80136 Napoli
081 5441485
www.pizzeriastarita.it
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