Pizzeria Quo Vadis
Lungomare Colombo, 285
Tel. +39 089 338448
Aperto tutti i giorni a pranzo e a cena
Chissà quante ce ne sono. Di pizzerie di quartiere che hanno una lunga storia, clienti tutte le sere, che del locale non hanno mai cambiato neanche una mattonella, dal primo giorno di apertura. Ma che, soprattutto, non vivono su facebook e di facebook.
Mario Vicinanza ha aperto la sua pizzeria, Quo Vadis, nel popoloso quartiere di Mercatello, sul lungomare della zona orientale della città, ben 45 anni fa.
Piccolo forno a legna a bocca stretta, apertura sulla strada per l’asporto, che va fortissimo, e una sala sempre uguale a sé stessa, un concentrato del tipico locale anni ’70: dai tavoli quadrati alle pareti in legno, dal bancone a vista al frigorifero in acciaio con le grosse cerniere che si trova all’ingresso.
Atmosfera quasi casalinga, con un servizio familiare e gentile; i clienti sono per la maggior parte habitué che conoscono il signor Mario da sempre.
C’è anche la tv accesa, il pavimento di graniglia e le tovaglie color salmone: insomma, tutto il repertorio vintage come lo ricorda chiunque abbia da 50 anni in su.
La pizza è sottile, con cornicione appena accennato, base leggermente biscottata. Il menu delle pizze è quello classico, con marinara, margherita, capricciosa, wurstel e patatine, salsiccia e friarielli e via andando, come da manuale. C’è anche la Quo Vadis, con ingredienti a sorpresa, per i più temerari.
E poi c’è l’asso nella manica: il calzone ripieno di scarola a crudo, con acciughe e capperi, senza mozzarella, forse per i salernitani più identitario della stessa pizza margherita (famoso quello del Vicolo della Neve, antica trattoria del centro storico). Involucro ben cotto e sottile, con la verdura croccante e profumata.
I prodotti utilizzati per le farciture sono di buona qualità, c’è una mano allenata dietro all’impasto e non si esagera con il sale.
Siamo lontani ovviamente dalle pizze di ultima generazione, a partire dalla moda del canotto. E qui non vi serviranno mai come antipasto una frittatina di pasta stordita dalla besciamella, ma piuttosto una sana bruschetta al pomodoro ripassata nel forno a legna. E da accompagnare, un paio di birre italiane in bottiglia.
Però un tuffo vintage in una pizzeria di quartiere con quasi mezzo secolo di vita è sempre un’esperienza che vale la pena fare (e anche più che gradevole, in questo caso), utile per afferrare un pezzo importante di gastronomia popolare e di socialità vera, non virtuale, che spesso si fa l’errore di trascurare. C’è vita, oltre la rete.
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