di Fabrizio Scarpato
Alcuni, all’inizio si mettono paura. A nulla è servito l’assaggio, prezioso e inestimabile da queste parti, di un piccolo fritto napoletano, in cui spicca una frittatina di pasta magnifica per quanto candida e sincera. Guardano con sospetto la pizza che hanno davanti, girano il piatto in cerca di un punto in cui affondare il coltello, rassegnati all’evidenza che non ce la faranno, che quel cornicione, all’apparenza così muscoloso, alla fine li aggredirà, li sfiancherà, inesorabilmente.
“Canotto no, quello non c’entra. Dovresti vedere cosa fanno a Caserta...”. Gennaro Battiloro sa quel che fa, e allo stesso tempo è consapevole di dover combattere da un lato con la consuetudine di pizze basse e panose, e dall’altro con l’abitudine a considerare il cornicione un elemento solo visivo, una appendice inutile della pizza, da lasciare nel piatto.
“Io cerco di spiegare, racconto dei prodotti che uso, lascio appesa nell’aria qualche nota tecnica, e a poco a poco mi capiscono…”. Così anche i più prevenuti, quelli stanchi a prescindere, iniziano a prendere confidenza col mezzo: partono dal disco, che si scioglie in bocca, si piega e ripiega nemmeno fosse una lasagna, assaporano un pomodoro straordinario, ammirano e si appagano del disegno del topping, e solo dopo, poco alla volta, addentano un morso di cornicione, che è leggero ed elastico, come a ripulire la bocca e a resettare i profumi. Perché queste pizze profumano da matti.
“Idratazione al 71%...” e ti credo che sono cedevoli, pure troppo, per i miei gusti, che apprezzerebbero una spolverata di fragranza in superficie, uno scoppiettare fitto al morso, anche per un attimo, quanto basta a contrastare quella morbidezza esasperata, e lasciare una traccia eterea in tanta mordacità.
“Lo so, è una scelta di gusto, sto studiando diverse cotture, magari per diverse pizze, per lavorare anche sulla fragranza, quando mi serve…” consapevole del fatto che apportare un filo esile di croccantezza non può andare a scapito della cottura e della digeribilità, come spesso accade, quando al primo morso che sfrizzola, segue una certa stanchezza gommosa.
Ora ci si può guardare intorno e riflettere in senso lato sui contrasti che animano l’aria che si respira, non solo le pizze. Perché il nuovo locale da un lato cavalca l’onomatopea, per cui il battere e l’oro riconducono ad atmosfere da officine artigiane, a fumiganti clangori di martelli che forgiano lamine preziose, a fuochi che divampano e spiriti che accendono, e dall’altro si presenta come una elegante struttura, dai giardini curati punteggiati di bersò, una veranda e una grande sala giocata sui toni del rosso e del nero, pavimento in marmo anni sessanta, luci giuste che potrebbero essere ancor più direzionate e tavoli volutamente distribuiti in diagonale e perpendicolarmente l’uno all’altro, ad evitare l’effetto mangificio, a vantaggio di una certa confortevolezza all’occhio, cui contribuiscono altre sale più raccolte, tocchi dorati, appunti ramati e lucenti, cubi e divani cuscinosi attorno al bancone del bar, posto all’americana appena un passo oltre l’ingresso.
Così lo sguardo è come calamitato dallo spazio intorno ai due forni che sbrilluccicano di pagliuzze dorate, all’interno del quale danzano, è il caso di dire, i pizzaioli, in un intrico di pale e nubi di farina: è uno spazio bianco contrappuntato d’oro, al centro del quale saettano le braccia tatuate di Gennaro Battiloro, il mastro artigiano, che ammacca e dirige, nonostante tutto con invidiabile ed evidente pacata sicurezza. Poi, attirato da suoni metallici e cristallini, volgi l’occhio al bar, in cui Giuseppe Roglieri sta miscelando il tuo Mi-To venato di rabarbaro, che ti è sembrato ideale da abbinare alla forza della pizza Calabrese, fumante di provola, dolce di pomidori gialli e piccante di nduja, tutti prodotti con nome e cognome, in equilibrio stabile, per un assaggio tuttavia sempre diverso, a seconda del taglio, a seconda del morso, a seconda del sorso: tanto c’è tutto il tempo, perché la pizza ha il pregio di non raffreddare subito e mantenersi calda quanto basta, il tempo necessario per assorbire e godersi quelle montagne russe di sapori del meridione. Intorno a me girano delle Margherite classiche e perfette, sono maledettamente lontano da una Tarese con pancetta affumigata, pomodori gialli, ricotta e pepe, ma abbastanza vicino per non resistere al profumo dell’origano del Monte Saro che sprigiona da una Marinara e acciughe con pomodorini del piennolo di stupefacente bontà, una aromaticità che gioca a rimpiattino coi frutti del Pinot Bianco della Cantina Terlano, uno dei vini di una carta elegante, non banale e dai prezzi accattivanti.
La notte porterà consiglio ai timorosi. Una notte tranquilla, perché quel cornicione era solo buono, aggressivo, ma di pasta buona. E alla fine restano quei profumi decisi e identitari, e la rappresentazione teatrale di una pizza moderna: perché moderno è il modo di proporla, moderno è il ragionare in prima persona di Gennaro, moderne la volontà di fare gruppo e la sua capacità visionaria, moderni il suo coraggio e la sua umiltà, la ricerca esasperata sugli impasti e sui prodotti, e la convinzione che non esiste nulla di più futuribile del rispetto e dell’attaccamento alle proprie radici, ai propri colori, ai propri sapori. Un po’ come ricordare il futuro, una frase che renderebbe l’idea, se non l’avesse già detta qualcun altro.
Battil’Oro
Fuochi+Lieviti+Spiriti
via Asilo 54
Serravezza – Querceta