L’uomo è ciò che mangia. Il titolo di uno scritto del filosofo Ludwig Feuerbach, esponente di spicco della sinistra hegeliana, è tra i più citati negli ultimi anni anche da chi non ha studiato filosofia. In sostanza la tesi fondamentale è che il miglioramento dello spirito di una comunità è dovuto alla qualità della vita materiale.
Eppure noi vediamo che le cose oggi stanno esattamente in senso opposto. Nel senso che è ovvio che l’uomo che sta tranquillo sul proprio fabbisogno calorico riesce a pensare meglio, ma questo non vale per la comunità nel suo insieme che, libera dalla fame, decade eticamente ed esteticamente se non ha altri stimoli di miglioramento. Una comunità non è la somma degli individui, ma un progetto.
In effetti, le peggiori brutture in Italia sono iniziate proprio negli anni ’60, quando c’è stata la liberazione dalla fame, i palazzi più osceni coniugati alla politica più becera, con un totale decadimento estetico per cui il più lurido porcile di un contadino è più bello di qualsiasi palazzone di cemento costruito in città perché ha una coerenza etico-stilistica di cui l’obbrobrio urbano è totalmente privo.
Senza andare per le lunghe e soprattutto prenderla alla larga, entrando nel mondo enogastronomico è vero che, come ribadisce spesso Enzo Vizzari, in Italia non si è mai mangiato così bene. Ma è altrettanto vero che il decadimento del rapporto tra narrazione e oggetto della narrazione non è mai stato così profondo come negli ultimi anni.
Crediamo che questo sia esattamente lo specchio, questo si, di tutto quello che succede in Italia. Senza progetto corale, vincono istinti di gelosie e invidie per tutto si riduce all’individuo. A me l’individuo ha sempre annoiato perché è limitato, poco complesso e parla sempre di se stesso. Soprattutto non può sconfiggere la morte mentre la collettività la supera di slancio. Senza guide forti e autorevoli espressione di un metabolismo mnemonico collettivo e non individuale, scoppia il caos e l’anarchia.
L’ultimo Bonilli aveva percepito questo rischio profondo che correva il mondo gastronomico italiano, un po’ quel che accade del film Prova d’Orchestra di Fellini, non a caso prodotto nel 1979, dopo la dissoluzione ideologica del 1977. Del resto l’ultimo album degli Area, fu intitolato significativamente 1978: gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano.
Proprio cosi, tutti gli arrabbiati iniziano a suonare il proprio strumento senza seguire il direttore d’orchestra e, magari, buttando all’aria lo spartito.
Bonilli, unico giornalista della sua generazione a vivere sia sul cartaceo che nel web sin dalle prime battute, aveva l’illusione che un pensiero forte potesse rimettere a posto le cose. Di qui il progetto di Gazzetta Gastronomica e poi il convegno a Bologna del settembre 2015 che non fece in tempo a vedere.
Da allora la situazione è precipitata, internet che doveva essere il momento di democratizzazione della critica si è trasformato, in molti casi anche se non sempre, in uno spudorato marchettificio da pochi soldi senza progetto. A me personalmente ogni giorno arrivano una o due proposte da società specializzate di articoli da inserire a pagamento con link che rimandano a prodotti aziendali e presentati come se fosse un mio pezzo a cui non rispondo proprio come si fa con le puttane che ti chiamano quando quandi passi per strada. E la gente non fa distinzione tra blog seri e blog marchettari, blog e testate giornalistiche. Non conta più la categoria, ma il nome. E spesso tutti impostano la comunicazione sui like, acquistandoli in dosi massicce per meglio propagandare il prodotto come i cartelloni sulle strade. Sono nate agenzie specializzate in questo oltre che nel posizionamento su Google. La società degli eguali senza qualità si affida agli algoritmi, non alla conoscenza.
Succede così che si arriva ad una completa confusione tra giornalismo e comunicazione. Non solo: se tenti di ribadire alcune regole, arrivano insulti e pesanti insinuazioni come nel caso delle nostre visite anonime realizzate in alcune pizzerie del Lungomare di Napoli e a Caserta che andremo a ripetere in tutta Italia.
Nel corso del 2016 avrò collezionato almeno quattro, cinque video e qualche post che mi insultavano da parte di persone che hanno commesso reati di calunnia e diffamazione di cui risponderanno a cui non solo non ho fatto niente, ma che non ho avuto nemmeno il piacere di conoscere. Ma io non sono così importante da essere un caso isolato, anche perché dobbiamo dire che la Campania si distingue sempre in questi eccessi conditi con lettere anonime, dicerie non verificate, accuse lanciate a casaccio, post di minaccia. E’ l’istinto scenico del popolo protocapitalista accampato sotto il Vesuvio che vive in modo istintivo solo il presente perché il passato è passato mentre il futuro non dipende da noi, ma da Fato.
La mancanza di regole genera ancora più confusione. Nel 2016 è esemplare il caso di Daniel Young: senza aver alcun rudimento di pizza, ma con buone relazioni editoriali, si presenta per fare una guida mondiale delle pizzerie. Contatta Maurizio Cortese il quale ingenuamente si presta ad aprire la porta a questo sconosciuto che cambia in corso d’opera le regole d’ingaggio trasformando un sondaggio in una classifica per fare notizia.
Cortese interrompe le comunicazioni personali molto prima dell’uscita del libro, Young non riesce ad organizzare una presentazione. Cosa fa questo signore tanto poco competente quanto astuto? Attribuisce questa sua incapacità di organizzare un evento alle pressioni di una presunta cupola sui pizzaioli, come se qualcuno potesse impedire a chiunque di fissare una sala, mandare degli inviti e fare la manifestazione. Come se io non riuscendo ad organizzare un evento a Tel Aviv ne attribuissi la colpa ad Hamas. Trova ovviamente sponda in chi si sente frustrato per qualche motivo perché, come ben sappiamo, tutta la letteratura antimeridionale è scritta dai meridionali che non sono emersi. Come ho già avuto modo di dire, quello che al Nord si chiama sistema, da Roma in giù diventa cupola.
Non le prescrizioni di legge, il rispetto delle regole e dei ruoli, ma i pre-giudizi fanno cambiare vocabolo in questo caso a seconda dell’altezza geografica in cui viene pronunciato.
Young semplicemente non è stato capace di organizzare niente. Il direttore della reggia di Caserta ha solo ricevuto una telefonata da un pizzaiolo e poi più nulla. Perchè? Per un motivo semplice: difficile farlo gratis visto che nei suoi soggiorni non ha pagato neanche un pizza e con l’editore che non si volle accollare le spese. Ora fa dei pizza tour, spero pagando i conti di vitto e soggiorno.
Difatti, qualche tempo dopo è Paolo Marchi ad organizzare l’evento a Milano e tutti i pizzaioli chiamati vanno nella speranza poi di essere invitati a Identità Golose. Che cosa dovremmo dire allora: che la cupola Identità Golose è più forte di quella, presunta, che non voleva far fare la manifestazione? Che il Mulino Quaglia è più forte del Mulino Caputo?
No, semplicemente che per organizzare le cose servono risorse e impegno e un pizzico di intelligenza oltre che di impegno. Marchi ha colto abilmente il momento e lo ha sfruttato. Tutto qui. Bravo, complimenti e 7+.
Il caso Daniel Young, a cui da parte nostra era stata persino offerta collaborazione (rifiutata dal soggetto con scuse banali) nel fare questa presentazione proprio per smentire luoghi comuni e inciuci, è stato deflagrante nel mondo della pizza dove il bisogno di visibilità di alcuni pizzaioli somiglia molto a quello della coca dei cocainomani. Se non ne scrivi per un mese ti chiedono cosa hai contro di loro, ti contattano per chiederti quanto costa un post e questo spiega tante cose a chi legge ciò che avviene nel web.
Per fortuna, e dico per fortuna, che Slow Food con il libro Pizza curato da Antonio Puzzi ha rimesso un po’ le cose a posto selezionando 380 pizzerie in base ad alcuni criteri opinabili ma precisi con la copertura di un brand autorevole.
Ci proveremo adesso anche noi con 50 Top Pizza. Sarà la prima guida on line in cui gli ispettori anonimi pagheranno il conto e faranno la loro scheda di valutazione.
Sbaglieremo? Avremo altri video? Pazienza, ma lo faremo. Perché non ci rassegnamo al caos alla perdita di estetica e, soprattutto, alla mancanza di etica.
Buon Natale.
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