Sei giovani pizzaioli giramondo assicurano: il futuro della pizza napoletana è la tradizione

Pubblicato in: I vini da non perdere
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di Luciana Squadrilli

La mattinata dell’edizione 2017 del convegno si è chiusa lasciando il palco ai giovani, vale a dire alcuni tra i migliori pizzaioli italiani – ma non per forza in Italia – tra i 24 e i 33 anni.
A introdurli Tommaso Esposito e Luigi Cremona, due tra i più attivi talent scout del mondo gastronomico italiano. Il primo – medico gourmet – soprattutto per quel che riguarda la pizza e in Campania, il secondo – ingegnere da anni dedito alla critica gastronomica – a più ampio raggio: già dal 2010 ha allargato il premio per gli Chef Emergenti anche ai pizzaioli, dimostrandosi ancora una volta pronto a cogliere fenomeni e tendenze. Anche se – premette – a volte lo preoccupa l’atteggiamento di quanti vorrebbero subito onori e glorie e dimenticano invece quanto contino esperienza e fatica, fondamentali tanto quanto l’ambizione per una crescita professionale seria e non “gonfiata”.
Non sembra essere questo il caso dei pizzaioli sul palco, che colpiscono non solo per la giovinezza o per il ciuffo biondo ma soprattutto per la determinazione e la consapevolezza dimostrate. E poco importa anche vengano da famose dinastie di pizzaioli con farina e lievito nel DNA o siano invece artigiani di nuova generazione, cresciuti a forza di caparbietà, gavetta e spesso anche di esperienze all’estero.

Luca Amabile, 26 anni, è nato a Cagliari e ha iniziato con la pizza in teglia ma la sua passione per la Napoletana l’ha portato fino a Parigi, dove da due anni sforna pizze da Ober Mamma, bel progetto di cui parlerà in seguito Ciro Cristiano nell’ultima sessione della giornata.

Giacomo Guido

25 anni, sta invece a Londra da qualche anno: dopo il grande successo riscosso all’Antica Pizzeria, da poco più di un mese lavora da Addomé. Ischitano e senza una famiglia di pizzaioli alle spalle, ha iniziato lavorando “a bottega” ma quando ha capito che voleva fare una pizza diversa ha preferito andarsene all’estero, per essere libero di sperimentare. “Noi giovani – dice senza falsa modestia, ma anche senza arroganza – siamo più curiosi, abbiamo una mentalità più aperta anche perché partiamo da zero”.

Ciccio Vitiello

A 25 anni ha già una pizzeria che porta il suo nome – Casa Vitiello – evoluzione del minuscolo locale di pizza da asporto da cui era partito ad appena 18 anni, l’età minima per poter avviare un’attività. Ma lui aveva già messo le mani in pasta a partire dai 9 anni. “Non ci siamo inventati nulla – ammette – La pizza è un piatto talmente famoso che c’è poco da fare. Ma io ho cercato di dare un’identità precisa alla mia pizza, lavorando a lungo sulla digeribilità dell’impasto e sulla qualità degli ingredienti”.

Cristiano Piccirillo


viene invece da una lunga tradizione di famiglia , rappresentante della quarta generazione della Masardona e delle sue irresistibili pizze fritte. Laureato, racconta di aver svolto tutti i compiti possibili in pizzeria prima di approdare finalmente al banco a stendere e farcire le pizze in modo da metter su una competenza a 360°. “Ogni pizzaiolo si assume la responsabilità di quello che fa – dice – Io sono stato fortunato perché mio padre mi ha lasciato carta bianca ma prima di pensare a fare innovazione bisogna fare ricerca sulle basi”.

Gennaro Battiloro


Dall’alto dei suoi 33 anni  – napoletano ormai da 6 anni in Versilia, alla Kambusa, dove è riuscito nell’impresa di far apprezzare lo stile partenopeo pressoché sconosciuto – è l’”anziano” del gruppo e forse per questo esprime parole di saggezza: “Sono fondamentali il lavoro di squadra e l’umiltà, ma ammetto che dà fastidio leggere critiche affrettate sui social; bisognerebbe cercare di capire un po’ di più l’identità del pizzaiolo e delle sue pizze”.

Tommaso Mastromatteo

Decisamente cosmopolita, è stato a far pizze dalla Francia alla Norvegia scontrandosi con difficoltà di approvvigionamenti e idee molto diverse dalle nostre circa la pizza. Adesso, però, è tornato ad ammaccare a Napoli, da Giù Giù, con soddisfazione sua e della clientela.

Insomma che sia in patria o all’estero, che sia una storia di famiglia o meno, questi giovani sono soddisfatti dei risultati raggiunti e se spesso hanno già realizzato i propri sogni non hanno certo intenzione di fermarsi qui. E allora, un po’ stupisce e in po’ nel sentirli concordi – con l’unica eccezione di Giacomo Guido, più orientato alla ricerca e al miglioramento continuo – sul fatto che il futuro della pizza sia racchiuso nella parola “tradizione” (se pur “alternativa” come nel caso di Vitiello) e nel ritorno a sapori semplici e antichi.

Ma non per forza questo significa non essere capaci di guardare avanti, anzi tutt’altro.


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