Non siamo in Galleria a Milano, ma in una traversa periferica nella zona della stazione di Napoli dove Carmnella è da oltre mezzo secolo al lavoro. Al forno c’è Vincenzo Esposito, si uno dei tanti Esposito che fanno pizze profumate, scioglievoli, come nessuno chef saprebbe fare meglio perché è di seconda generazione vicino al forno. Non elettrico, ma a legna.
A confronto della sua margherita la pizza di Cracco sembra malata di tumore.
Il problema di Cracco è che ha dovuto adattare il concetto di margherita alla farina e non, come avviene per le farine usate nelle pizze napoletane, il contrario. E quale intoppo tecnico si è trovato? Anzitutto è partito con l’ideologia integralista che voleva imporla ai pizzaioli napoletani, quella di usare sempre e comunque farina integrale che è una grande sciocchezza dal punto di vista nutrizionale oltre che del gusto.
Dunque il problema del nostro chef, che usa forno elettrico tradizionale, neanche quello partenopeo, è che ha dovuto creare una farcia molto più consistente per reggere l’urto di questo pappone integrale. Per capire, il prosciutto crudo di Parma va bene con il pane bianco, con quello integrale necessita almeno un raddoppio di dose e magari anche qualche altra cosa. La soluzione è stata quella di tirare il sugo e mettere a crudo la mozzarella a fette doppie con l’olio d’oliva.
Per questo la proposta di Cracco non è una libera interpretazione della margherita, è, al contrario esattamente una focaccia, perché la margherita non è solo farina più pomodoro, più latticino più olio ma è la fusione perfetta fra questi elementi in una cottura rapida di massimo 90 secondi a 480 gradi da cui nasce la pizza. La pizza si distingue dal pane e dalla focaccia anche per la stessa forma della bocca del forno, che deve essere a mezzaluna, in cui va cotta. Nella focaccia, invece, le diverse componenti, ancorché ben abbinate, si distinguono nettamente al palato.
Sinora sono rarissimi, aiutatemi, i casi in cui una interpretazione di uno chef ha migliorato un piatto tradizionale. Il motivo è che le ricette tradizionali, compresa la pizza, raggiungono un equilibrio dopo una lunga serie di innovazioni grazie alle quali disegnano il perfetto baricentro del gusto dal quale è poi difficile allontanarsi.
Quando hai mangiato una margherita fatta a Napoli da un qualsiasi Esposito sei al massimo della perfezione. Tutto il resto è fuffa. Perché in quelle mani c’è la sapienza di una intera comunità maturata per tre secoli migliaia, decine di migliaia di volte al giorno tutti i giorni tutto l’anno.
Questa è l’Italia delle tradizioni popolari, quella nella quale si riconoscono tutti e che parte della critica non riesce più a raccontare ormai perché troppo avvitata su se stessa in un atmosfera di pacche sulle spalle. L’Italia sana, fatta di gente normale.
Come quella che si trova in questa piccola pizzeria dove Vincenzo ha preso il posto del padre al forno e la moglie sta alla cassa. Un locale dove tanti ragazzi sono passati e si sono formati. Dove alle 12,30, e sino alle 15, ogni giorno arrivano i clienti impegnati negli uffici e mangiano la pizza o qualche piatto tradizionale.
Vincenzo non è un mago, è un pizzaiolo. Un pizzaiolo da cui Cracco, grande cuoco, avrebbe tanto da apprendere se avesse più tempo e meno preoccupazioni mediatiche. Heinz Beck prima di impostare la sua cucina ha mangiato in tutte le trattorie romane per capire cosa vuole il palato delle persone normali della città in cui andava a lavorare. Ecco perché è un grande cuoco. Prima di fare un margherita, avrei aggiunto un bel giro in tutte le pizzerie di Napoli per imparare senza limitarmi alle riprese tv con Gino Sorbillo.
Vincenzo è un bravo pizzaiolo. In una serata al Pasta bar di Giuseppe Di Martino rimase seduto con il cuoco, stella Michelin, Peppe Guida e la produttrice di pomodori Marianna D’Auria. Avevano mangiato uno spaghetto al pomodoro perfetto e Vincenzo si chiese come poteva portare sulla pizza la fragranza di questo prodotto.
La trovata è stata semplice: fare una margherita senza latticino ma con delle scaglie di parmigiano. Il risultato è semplicemente meraviglioso, sublime. Se la marinara è per palati antichi, la cosacca è per palati forti perché si usa il pecorino. Ma in fondo, nella pizza cosa ci vuole? Cosa aggiungono i pizzaioli della vecchia scuola? Un po’ di Parmigiano Reggiano, non Grana Padano. Il Parmigiano è da oltre un secolo nelle ricette classiche napoletane, tanto che la Campania è la seconda regione consumatrice dopo l’Emilia Romagna.
La differenza è stata di metterlo a scaglie sottili, come se fosse un tartufo.
Il risultato è stato fenomenale perchè avviene anche in questo caso la fusione tra pomodoro, formaggio e impasto. Ed ecco dunque uno di quei piccoli grandi miracoli della pizza napoletana
Questo significa migliorare la tradizione, non tornare all’integrale nascondendo un motivo salutista dietro un mero scopo commerciale.
E la cucina italiana è cuore, non commercio. Perché è stata la cucina delle nostre mamme che dovevano far dimenticare la fame, è la cucina che aguzza l’ingegno.
Poi uno veste Armani, va nel living e spende 16 euro per una focaccia. Anche questa è Italia. Ma non è l’Italia gastronomica che affascina gli italiani e chi viene da fuori.
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