di Tommaso Esposito
Ecco, diciamocelo con tutta chiarezza.
Questa pizza canotto da dove è uscita?
Chi ci segue su questo blog non ha difficoltà a darsi una risposta.
Sono anni che, accanto al racconto delle emozioni che si provano visitando le pizzerie storiche, tradizionali napoletane, non ci siamo mai fermati nella ricerca di giovani talenti.
Li abbiamo raccontati per la prima volta qui, in esclusiva.
Qualcuno di essi è diventato famoso.
Evviva!
E molti di essi, insomma, sono largamente iscritti al club dei canottieri partenopei.
E allora in poche battute vi spieghiamo, cosa già fatta su Il Mattino l’altro giorno come in passato, che cos’è questa pizza canotto, questa pizza napoletana nuovissima.
La storia della pizza a Napoli è anche storia di dimensioni del disco di pasta.
Una volta non c’era bisogno di palati esperti.
Bastava già l’occhio per capire se una pizza fosse nata in un locale storico del Vomero, del Vasto, di Forcella, della Marina o di Via Tribunali.
Era una questione di misure.
Chi legge le nostre recensioni legge spesso di Pizzometro e di Pizza Size.
Di Taglia S, M, L, XL, XXL.
Non è una banalità, ne abbiamo a suo tempo parlato e teorizzato.
Il Pizzometro ha salde radici storiche, vi rimando al mio libro ‘A Pizza, viaggio nella canzone napoletana.
La pizza venduta dai pizzajuoli ambulanti da fine 1700 in poi era di Taglia S, l’attuale cosiddetta mignon.
Nel quartiere Vomero, ma anche nei ristoranti che avevano un forno pizzeria, nasceva una Taglia M, non raggiungeva il bordo del piatto, circa 33 centimetri, e aveva il cornicione alto.
Lungo la Marina aveva Taglia L, quella che raggiunge il bordo del piatto senza superarlo e cornicione ora basso ora alto.
Ai Tribunali era sottile e di misura XL, appena oltre il bordo del piatto.
A Forcella e nel Vasto, a domanda, la pizza è XXL e sta ben oltre il bordo del piatto.
Qui, ad esempio nell’Antica Pizzeria da Michele di Via Sersale, diventa a’ rota ‘e carro, a ruota di carro come già cantava il poeta Velardiniello nel 1500.
Oggi la pizza canotto identifica la pizza di Taglia M, quella che nasce da un panetto sui 260 g di peso, ha un disco sottile e il cornicione alto fin oltre i 3,5 cm, che al taglio si presenta alveolato, pieno di caverne e al palato morbido, scioglievole.
Una nuvola comincia a dirsi in gergo, o meglio come si è inventato Diego Vitagliano.
Il cornicione a canotto nasce soprattutto dalla capacità del pizzaiuolo di ammaccare il panetto di pasta spostando l’aria presente nell’impasto dal centro verso la periferia del disco, così per meglio confinare gli ingredienti della pizza. Confinamento che i pizzaiuoli di esperienza tradizionale, come Gaetano Genovesi, fanno con un giro di olio.
Nel cornicione non ci dovrà essere mollica senza alveolature, ma aria, uocchie, occhioni.
Questa è la differenza tra i cornicioni che si mangiano veramente, anche quando sono bassi, e quelli che si lasciano nel piatto.
E questo effetto è meglio determinato proprio dagli impasti più idratati, lievitati lentamente, maturati a lungo, a volte fino a 48 ore.
La pizza canotto identifica, perciò, anche la scelta fatta da una generazione pizzaiuoli, quei ventenni e trentenni che abbiamo segnalato e recensito su questo Blog oppure nella rubrica settimanale Lo Spicchio su Il Mattino.
Essi si distinguono per la loro applicazione allo studio delle farine e degli impasti e, quindi, infornano e sfornano pizze dal bordo-cornicione alto, molto più alto di quello che il disciplinare STG o quello delle associazioni dei pizzaiuoli napoletani impone: uno, due cm, non oltre.
Questione di identità generazionale, dunque.
Ecco spiegata la tensione con cui è stata vissuta l’intera vicenda sul web.
Certo, l’origine del cornicione alto appartiene alla storia napoletana, basti ricordare ancora la pizza che usciva dalle mani di Salvatore Grasso padre nella vomerese centenaria pizzeria Gorizia.
Oggi identifica anche, ma impropriamente, una tendenza casertana maggioritaria.
Infatti, il primo Franco Pepe si caratterizzava per il cornicione a canotto. E qualche traccia la si intravede ancora.
Così come oggi si distinguono Nino Antonio suo fratello nella storica Antica Osteria Pepe a Caiazzo.
E Pasqualino Rossi ad Alvignano.
Ma facciamola una carrellata di questi canottieri.
È una semplice rassegna.
E se ci siamo dimenticati di qualcuno, scusateci non l’abbiamo fatto apposta.
Suggerite e prenderemo nota.
A Caserta città ci sono Francesco e Salvatore Martucci a I Masanielli.
Otello Schiavon a Piano B.
Ad Aversa c’è Carlo Sammarco, detto Ferrarelle.
A Orta di Atella Stefano Caiazza all’Antico Palazzo Caiazza e Salvatore Lioniello.
A Casapulla Giovanni Russo a La Famiglia
A San Marco Evangelista c’è Antonio Ferraiuolo Pizzeria le 7 Voglie, ex la Piazzetta.
A Napoli la linea giovane si distingue con Enzo Bastelli ex di Ieri Oggi e Domani.
Ma a Fuorigrotta anche con Raffaele Bonetta di Ciarly
Roberto Moccia da Moccia Il Terrazzo a Viale dei Colli Aminei.
A Pozzuoli c’è Diego Vitagliano, quello delle nuvole appunto.
Ad Acerra c’è Gaetano Giglio.
A Cardito c’è Salvatore Impero a Eat to Eat
Nel salernitano a San Cipriano Picentino c’è Francesco Capece nella Locanda dei Feudi 2.0
E nel Sannio a Montesarchio c’è Giuseppe Bove a Il Segreto di Pulcinella.
Avanti tutta, allora.
E vento in poppa.
Ah, ma i canotti hanno la poppa?
Massì!
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