BENANTI
Uva: carricante
Fascia di prezzo: non disponibile
Fermentazione e maturazione: acciaio
Occuparsi di vino significa, tra l’altro, al tempo stesso tenere le orecchie a terra per sentire l’arrivo delle novità senza confondere ogni uscita con la bottiglia evento dell’anno e al tempo stesso tenere d’occhio il già conosciuto senza dare per scontato il suo tramonto.
Ma quando uscì questo bianco nel 1995 pochi avrebbero potuto scommettere sul suo futuro: imperversava la Sicilia del Nero d’Avola, dei vitigni internazionali e degli investimenti sull’isola delle grandi aziende, forse l’ultima corsa all’oro della frontiera italiana. Nessuno, giornalisti o imprenditori, capì invece che la ricchezza culturale sarebbe venuta dalle vigne ad alberello dell’Etna.
Giuseppe Benanti ha fatto le cose per bene, senza fretta, ama dire di poter fare a meno di vendere il vino e di tenerselo tutto. In realtà ha dimostrato di saper comunicare e al tempo stesso di credere nel progetto puntando suzone e vitigni completamente misconosciuti appena quindici anni fa.
Ritroviamo il 1995 di Pietramarina al San Pietro di Positano, in carta a 60 euro, praticamente un regalo considerato il valore assoluto di questa bottiglia, tra l’altro ultima in cantina. La domanda è sempre la stessa: i vini bianchi italiani possono invecchiare? E, a seguire: vale la pena aspettare tanto tempo prima di berli?
Come le persone manifestano l’essenza del loro carattere con il passare degli anni, così i vini spiegano a loro anima che in questo caso posso solo tradurre in un modo: sapidità assoluta, quella che ti fa dire “hai messo troppo sale nella pasta”. Il bianco ha tenuto, cogliamo con piacere i suoi 12,5 gradi di alcol ottenuto dall’alberello piantato a 950 metri di altezza a Milo, sul versante orientale del vulcano spuffettante. Forse uno dei vini italiani più alti.
Ha tenuto dal colore, giallo paglierino carico e brillante.
Ha tenuto al naso dove sotto il tappetino di note ossidate, accentuate dal freddo, si liberano dopo un po’ belle nuances di capperi verdi, erba da campo seccata dal sole, miele di acacia. Un naso che colleghiamo al giallo solare siciliano senza mezzi termini.
L’ampiezza olfattiva, a cui si aggiunge con il riscaldamento una nota di pesca/albicocca candita, non trova una adeguata corrispondenza in bocca dove il palato è chiuso dalla sapidità e dalla freschezza, entrambi un po’ monocordi, in ogni caso padrone assolute del campo, tanto da impedire quasi altri richiami se non quello del miele.
Ne ricaviamo un vino austero, piacevole, essenziale nel suo procedere, molto gradevole al naso, utile per l’abbinamento in bocca.
Ci chiediamo adesso quale sia il senso di questa operazione, e la risposta non può che essere facile: l’ebrezza di provare l’espressione territoriale in maniere precisa e senza mezzi termini, come altrimenti, penso all’aggiunta di chardonnay, non avrbebe potuto essere. E siamo in una fase in cui questo è l’obiettivo più ambizioso che un’azienda del Sud si possa porre: produrre un vino buono e non replicabile in altre zone vitivinicole. E averlo bevuto dopo quindici anni rende questo concetto comprensibile anche a un asino.
Sede a Viagrande, via Garibaldi 475. Tel. 095.7893533, fax 095.7893677 www.vinicolabenanti.it. Enologo: Salvo Foti. Bottiglie prodotte: 180.000. Ettari di propeità: 39. Vitigni: carricante, chardonnay, nerello mascalese, nerelleo cappuccio.
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