Per quelle strane combinazioni della vita di bevitoriseriali incontriamo questo 2007, nato dall’incontro di Vincenzo Mercurio con questa azienda di Cesinali, in breve tempo e sempre in raffronto ad un rosso campano. Al José Restaurant di Torre del Greco lo abbiamo provato insieme al Poliphemo 2007 di Luigi Tecce sulla cucina di Domenico Iavarone. Qualche giorno fa a Casa del Nonno 13 in versione Magnum con il Montevetrano 2007. In entrambi i casi il bianco ha fatto una bellissima figura. La seconda volta ancora meglio della prima perché sicuramente meglio conservato di quando non avessi potuto fare io nella mia casa di città.
Il Pietramara Erichetta bianca è il risultato della scelta di ritardare l’uscita, tendenza che proprio in quel periodo si andava affermando tra i migliori produttori di Fiano. Il risultato è evidente dal naso che mantiene un tono fresco, balsamico e complesso, con note di frutta matura e rimandi di idrocarburi e fumé incredibilmente affascinanti. Sui tempi lunghi le annate calde danno il meglio di se in Irpinia, territorio freddo per eccellenza. Al palato il Fiano non solo si è conservato integro con una verve acida perfetta, vibrante, giovanile, ma si tiene su toni sapidi che riprendono poi le note olfattive minerali e regalano una beva lunga, buonissima, con la chiusura piacevole e precisa che invoca a rifare il sorso. Perfetto su piatti strutturati, anche se vini di questa importanza, che potrebbero guardare negli occhi ben altri campioni di bianco superiori per nome e per costo, devono essere goduti da soli, al massimo con qualche nocciola.
Vino meraviglioso, tra le migliori bevute dell’anno.
Scheda del 21 dicembre 2008. La 2007 è per i bianchi l’annata dal doppio volto: c’è chi ha pensato poco all’acidità e dunque si ritrova vini già pronti, fruttati, da consumare non troppo a lungo nel tempo. Poi c’è chi ha lavorato un po’ di anticipo per fronteggiare il caldo della seconda metà di agosto, impegnandosi in vigna e poi in cantina cercando la complessità. Chi, come le aziende irpine, lavora in zone più fresche e in quota, ha molte promesse da mantenere. è il caso de I Favati, la piccola azienda dei fratelli Giancarlo e Piersabino e di Rosanna Petrozziello, da sempre caratterizzata da una buona produzione di Fiano, oltre che di Aglianico. La collaborazione con Enzo Mercurio ha ulteriormente tonificato questo bianco conferendogli eleganza e sapere territoriale. Ma non basta: finalmente è partito il progetto di uscire con una piccola riserva, termine non consentito dal disciplinare che si chiama Pietramara Etichetta bianca, ricavata dalle uve del versante Nord della proprietà nel comune di Atripalda, che sarà messa in vendita tra qualche mese e che è stata degustata in anteprima la settimana scorsa. Nel frattempo è il caso di fare i conti con il Pietramara 2007, un Fiano classico, sicuramente più equilibrato del 2006 la cui freschezza domina indiscussa tutta la beva lasciando poco spazio ad altre considerazioni olfattive e gustative. In questo caso, invece la frutta, l’acidità, la struttura e l’alcol appaiono molto ben equilibrati e molti predicono una ulteriore evoluzione migliorativa. Un dato è certo: a un anno dalla vendemmia questo bianco, adatto a tutta la cucina di mare, ai piatti tipici della Vigilia e delle Feste, è nel pieno della sua forma. L’ennesima conferma di come sia importante saper aspettare almeno con i il Fiano e il Greco prima di stapparne una bottiglia e di quanto sia dannoso anticiparne il consumo, come purtroppo spesso avviene in Campania, addirittura prima dell’estate. Noi ci auguriamo che i produttori di Fiano e Greco imparino da quello che stanno facendo i loro colleghi del Soave e del Verdicchio, i veri competitor da sorvegliare con attenzione. In quei territori le aziende stanno lavorando in profondità, uscendo con annate sempre più vecchie e ricche di fascino, o in orizzontale, con la creazione di veri e propri cru, ossia di vini fatti con le uve di una sola vigna. In Irpinia purtroppo questo discorso è molto duro da far passare, i piccoli imitano le grandi aziende e fanno tutto, dalla Falanghina al Taurasi, senza capire che questa scelta è strategicamente suicida sul piano commerciale. In un mercato ormai più che maturo, resisterà solo chi ha avuto la capacità di specializzarsi. Vale per le persone come per i vini.
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