La leggenda del Five Roses
Il testimone della famiglia Leone de Castris, ossia da quattro secoli il vino nel Salento e dalla metà del ‘900 il rosato in Italia, è nelle solide e gentili mani di Piernicola, classe 1961, sposato con Alessandra e padre di due figli. Subito dopo la laurea in Economia e Commercio, è entrato a tempo pieno nell’azienda di famiglia di cui diventa direttore commerciale nel 1991 e poi direttore generale nel 1996. Con lui, dottore commercialista, l’azienda incrementa fatturato e presenza sia sui mercati del Nord Italia che sui principali mercati internazionali e la Leone de Castris diventa sempre più un punto di riferimento nel campo dell’enologia del Sud Italia. Titolare dal 1997 presenta, accanto alla tradizionale gamma aziendale, nuovi prodotti (tra i più noti citiamo i due igt Salento rosso Illemos e Messere Andrea) che riscuotono successi prestigiosi in tutto il mondo e l’intera produzione viene considerata,dalle più significative guide del settore,tra le più importanti a livello nazionale. Di recente ha pubblicato un libro sulla storia del mitico Five Roses lanciato dal padre Salvatore, un vino che ha fatto la storia dell’Italia vitivinicola.
La sua famiglia e il vino nel Salento: un binomio inscindibile nella testa di tutti gli italiani. Come è iniziata questa avventura?
L’azienda agricola nasce nella metà del ‘600, quando la nostra famiglia –di origine spagnola – già a Napoli da alcuni decenni, si trasferisce nel leccese e acquista notevoli estensioni nelle zone che adesso appartengono alla provincia di Lecce, a quella di Brindisi e a quella di Taranto.Si coltivano varie colture, ma quella della vite e dell’olivo sin da subito diventano le principali.Per alcuni secoli il prodotto vinicolo viene offerto sfuso e nel 1925 Piero e Lisetta Leone de Castris, primi in Puglia, iniziano l’imbottigliamento.
Quanto il Salento deve al Five Roses?
Credo molto, poiché si tratta del primo Rosato imbottigliato in Italia, sin dal 1943.E’ stato il primo ambasciatore del Salento vitivinicolo nel mondo, riscuotendo sin da subito successo, inserendosi nelle migliori enoteche e nella ristorazione italiana ed estera di pregio.
E quanto Leone de Castris deve al Five Roses?
Ricordando che il nome della famiglia è Leone de Castris, da quando mio nonno Piero Leone e mia nonna Lisetta de Castris si sono sposati nel 1925, sottolineo che certamente molto anche noi dobbiamo a questo prodotto con il quale siamo identificati subito.Non bisogna però dimenticare almeno un altro vino, il Salice, poiché grazie a mio nonno Piero e a mio padre Salvatore è nato con la vendemmia 1954. In gran parte per merito della Leone de Castris si è ottenuta poi la DOC Salice Salentino nei primi anni settanta.
Qual è stato il suo primo approccio con il vino?
Così come per i miei figli oggi, si può dire che sin da bambino sono cresciuto in cantina, poiché è stato il luogo principale dei miei giochi.Quindi , da subito, ho conosciuto questo mondo così particolare.
Quando, concretamente, ha iniziato ad occuparsi della conduzione aziendale?
Subito dopo il diploma conseguito presso il Liceo Scientifico De Giorni di Lecce, appena iscritto all’Università di Economia e Commercio a Bari, ho iniziato a seguire i principali eventi fieristici (in quegli anni, ad esempio, partecipavamo anche alla Fiera del Levante di Bari), ma a tempo pieno mi sono occupato dell’azienda a ventitre anni, dopo la laurea.Sin dall’inizio l’impegno principale è stato quello nel settore commerciale, ma con il tempo ho iniziato ad avere una visione più completa di tutti gli aspetti (settore agricolo , cantina, comunicazione ecc.)
Quale è stato il più grande insegnamento di suo padre?
Con mio padre ho iniziato ad interagire subito e ho avuto modo di apprendere (così come anche da mio nonno Piero che è stato con noi ancora per molti anni ) che la serietà commerciale, gli investimenti mirati all’ottimizzazione della qualità, la cortesia nei confronti dei collaboratori, dei fornitori e dei clienti, la comunicazione rivolta ai media, alle rete vendita, a chi dimostra di essere vicino realmente all’azienda, consolidano il successo e creano i presupposti perché sia duraturo.
Come è cambiato il mondo del vino da quando ha iniziato ad occuparsene?
Come su detto sono in azienda a tempo pieno ormai da 23 anni e certamente il nostro settore è stato interessato da notevoli cambiamenti.La qualità media dei vini italiani è cresciuta in modo evidente, così come anche il gusto dei clienti si è affinato nel tempo.Questo grazie anche a varie associazioni e personaggi vicini al mondo del vino che hanno contribuito alla crescita del settore.E’ sicuramente vero che si beve di meno, ma meglio rispetto al passato. Un fenomeno in evoluzione è quello del turismo del vino, molto valido per la crescita dell’economia del territorio. Le aziende si sono aperte rispetto al mondo esterno e la comunicazione è diventata un elemento di fondamentale importanza.
E in Puglia?
Anche la Puglia, e più in generale il Meridione (in modo particolare la Sicilia), è stata caratterizzata da un notevole miglioramento della qualità dei prodotti e da un certo successo commerciale, specialmente per quanto riguarda i vitigni autoctoni. A mio avviso c’è ancora però molta strada da percorrere ed anche il moltiplicarsi delle aziende sul mercato non è detto che sia da solo un elemento positivo.
Come mai il vino pugliese è sempre difficoltà ad apprezzarsi in bottiglia?
Credo che ciò dipenda dal fatto che non sono ancora molte le aziende che puntano realmente alla qualità e che cercano di offrire prodotti caratterizzati da un buon rapporto con il prezzo di vendita. Si è assistito ad una crescita numerica, ma ho l’impressione che ciò abbia creato più confusione che altro sui mercati. Inoltre è ancora estremamente diffuso l’individualismo che spesso non permette di portare avanti politiche di marketing e di comunicazione comuni che sarebbero molto importanti per l’immagine della nostra Regione. Da poco iniziano ad operare i Consorzi di Tutela e Valorizzazione delle Doc (in principal modo quelli del Salice Salentino, del Primitivo di Manduria e del Castel del Monte) che io credo potranno rappresentare un valido sostegno per l’attività dei viticoltori, vinificatori e imbottigliatori, se ben gestiti e se vedranno il sostegno concreto di tutti i protagonisti. E’ fondamentale che tutte le categorie siano equamente rappresentate ed ad esempio in quella del Salice Salentino, del quale attualmente sono Presidente, questa volontà è stata concretizzata poichè nel Consiglio Direttivo è stato deciso di avere 5 viticultori, 5 vinificatori e 5 imbottigliatori.Inoltre sono ben rappresentate anche numericamente sia le aziende private che le cantine sociali.
Quali sono stati i maggiori momenti di difficoltà attraversati dall’azienda?
Credo che un’azienda con una lunga storia, così come la nostra, abbia vissuto i vari periodi che hanno contraddistinto il settore vitivinicolo italiano e meridionale negli ultimi decenni. Ci sono stati sicuramente momenti più complessi (ricordiamo tutti per esempio la crisi del vino italiano verso la fine degli anni Ottanta, a seguito del famoso scandalo che poi in effetti ha visto come protagonisti solo poche realtà che vivevano ai margini del settore e che dovrebbe aver insegnato al consumatore che dietro prezzi eccessivamente bassi, c’è sempre qualcosa di strano) ed altri di maggiore sviluppo (decennio 1990-2000).Quelli che stiamo vivendo ora, anche a causa dell’effetto dell’euro – moneta forte in modo particolare sul dollaro – sono certamente difficili (del resto stiamo assistendo sempre di più all’immettersi nel mercato di nuovi Paesi produttori), ma credo che le aziende più attente, che sapranno essere anche moderne, pur conservando i giusti elementi della tradizione, e conserveranno nello stile produttivo degli elementi di distinzione, avranno più possibilità di altre.
Le aziende storiche del vino hanno avuto qualche difficoltà ad accorgersi che questo mondo stava cambiando passo all’inizio degli anni ’90. Come mai?
Non credo che questa affermazione sia valida per tutte le aziende storiche, ma certamente molte hanno avuto delle difficoltà nel comprendere che il mondo cambiava e che anche i gusti dei consumatori erano interessati da alcune odifiche. Ricollegandomi anche a quanto su riportato, penso però che chi è riuscito a coniugare elementi storici con istanze di modernità avrà – se pure nel tempo – concrete soddisfazioni. Penso che sia fondamentale conservare uno stile produttivo e non seguire, in modo eccessivo, mode che potrebbero in breve tempo scomparire.Sono contrario ad una omologazione mondiale del gusto e chi persegue questi facili obiettivi, a mio avviso perde i suoi elementi distintivi.
Negli anni novanta, inoltre, sulla scia dell’indubbio successo che il settore vino ha vissuto si sono inserite molte nuove aziende, con capitali provenienti da altri settori e alcune volte con scarsa professionalità.Gli ultimi anni , più difficili, stanno operando una naturale selezione che porterà – a mio parere – ad una diminuzione del numero delle aziende, facendo crescere quelle che (storiche o moderne) sapranno cogliere meglio le nuove istanze.
Quale è stata la vostra risposta?
L’azienda, nel tempo, ha allargato la base produttiva presentando un listino che , almeno a nostro avviso, è esaustivo dei migliori prodotti del territorio salentino e del sud barese.Ai vini storici Five Roses, Salice Salentino Rosso Doc Riserva, Negrino, nel tempo (anche prima degli anni 90) si sono affiancati altri vini Doc di pregio (Primitivo di Manduria Villa Santera, Copertino, Locorotondo e nel campo sempre della Doc Salice , tra i principali, il Donna Lisa Rosso e Bianco e la linea Maiana Bianco , Rosato e Rosso) e IGT Salento e Puglia (tra i più significativi possiamo ricordare il Primitivo Villa Larena, il negroamaro Elo Veni, il verdeca Messapia, il soauvignon Vigna Case Alte , lo chardonnay Imago , il Five Roses Anniversario con la vendemmia ’93 in occasione del 50° anno della nascita del primo Rosato in Italia, il moscato Pierale, l’Illemos e il Messere Andrea- questi ultimi 2 ottenuti dalla combinazione tra vitigni rossi locali ed internazionali), 2 spumanti brut (il rosato Donna Lisetta e il bianco Don Piero), l’acquavite d’uva Five Roses e l’olio extra vergine di oliva Villa Larena. Notevoli investimenti sono stati indirizzati anche nel settore turismo collegato al mondo vitivinicolo, sia con l’ampliamento di un già esistente hotel ristorante situato accanto le cantine, della sala degustazione nata a metà degli anni settanta e dell’enoteca aziendale.E’ stato ristrutturato un vecchio palazzo di famiglia, per utilizzarlo a scopi anche culturali, ed è stato ideato il progetto (che vedrà la luce il prossimo anno) del museo che racconterà la storia della nostra azienda. Notevoli sono state le ristrutturazioni sia in cantina che in campagna anche con l’impianto di nuovi vigneti, in particolar modo riguardanti vitigni locali ma anche di nuova introduzione per il Salento.Maggiore impulso si è dato all’introduzione dei nostri prodotti anche su nuovi mercati internazionali.
La Puglia è divisa a metà, come la Sicilia, tra autoctoni e internazionali. Qual è la sua opinione? Cosa le chiede adesso il mercato?
La Puglia, rispetto alla Sicilia, credo che abbia più investito sui vitigni autoctoni, che sono numerosi. In effetti è difficile parlare di Puglia in generale, visto che il Salento (province di Lecce, Brindisi e Taranto) è ben diverso (anche come metodo di coltivazione-da noi è molto presente ancora l’alberello pugliese con rese per ettaro molto contenute) sia dalla provincia di Bari (ancora di più per quella Nord) che da quella di Foggia. Diversi i vitigni, molto spesso i metodi di produzione, i terreni e le rese per ettaro. Si è lavorato più sui vitigni bianchi internazionali, in particolar modo lo chardonnay.
La nostra azienda crede molto nella valorizzazione dei vitigni autoctoni (negroamaro, malvasia nera, primitivo, aleatico, verdeca, moscato principalmente – ma studi si stanno avviando anche con la partecipazione al progetto Vinum loci e presenza di campi sperimentali – di altri vitigni quali il susumaniello, il fiano, il notardomenico, ecc.), ma non ha nessuna pregiudiziale nei confronti dei vitigni di nuova introduzione (da circa 20 anni nei nostri terreni) specialmente chardonnay, sauvignon, merlot, Montepulciano, cabernet sauvignon, che hanno dato ottimi risultati in termini qualitativi.Produciamo alcuni vini bianchi in purezza da vitigni non tradizionali (ad esempio il Donna Lisa, il Maiana, l’Imago tutti chardonnay e il sauvignon Vigna Case Alte) e dei rossi dove sono presenti sia vitigni autoctoni che, relativamente, di nuova introduzione (ad esempio l’Illemos da primitivo, negroamaro, Montepulciano e merlot;il Messere Andrea da negroamaro e cabernet sauvignon, il Novello Salentinello da negroamaro , malvasia nera e Montepulciano).Nei prossimi anni prevediamo di presentare anche un merlot e un cabernet savignon entrambi in purezza ed anche un bianco ottenuto dal fiano, vitigno storicamente presente da noi. In definitiva riteniamo che ci sia lo spazio per sperimentare molte soluzioni.
Qual è la sua opinione sulla riforma Ocm?
Bisogna sottolineare che il commissario europeo all’Agricoltura, Mariann Fischer Boel, ha avuto coraggio nel presentare un progetto di riforma dell’Ocm vino che potremmo definire di “rottura” con il passato e che guarda senza dubbio al mercato. Non bisogna, peraltro, dimenticare che questa proposta è il frutto della nuova impostazione della Politica agricola comunitaria e dell’accordo di Lussemburgo del 2003, che ha concluso la cosiddetta revisione di medio termine della Pac prevista nel quadro di Agenda 2000. La proposta Fischer Boel spariglia le carte della vecchia Ocm vino, scuotendola da quella che sembrava una irrimediabile auto-referenzialità, e prepara il terreno per la sua evoluzione verso una politica vitivinicola moderna, più orientata al mercato e in grado di riaprire il dialogo e ristabilire fiducia tra l’agricoltura e il resto della società. I pilastri su cui si fonda la carica innovativa della proposta di riforma sono essenzialmente: l’eliminazione di tutte le misure di mercato (soprattutto distillazioni) che hanno generato costi elevati e non hanno risolto il problema degli stock, il divieto di utilizzo del saccarosio nella pratica di arricchimento dei mosti e dei vini, l’introduzione di una nuova politica di promozione, accompagnata da un importante budget finanziario, l’introduzione del principio della sussidiarietà attraverso la creazione di pacchetti nazionali (programmi di aiuto con dotazione finanziaria specifica per ciascun Paese) e di azioni “tipiche” della nuova Pac, quali l’eco-condizionalità (per la verità in forma ancora blanda) e il trasferimento di risorse finanziarie importanti alle Politiche di sviluppo rurale specifiche per le aree vitivinicole.
Certo, la proposta Fischer Boel subisce anche l’influenza delle regole internazionali sancite nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc), soprattutto con l’Accordo sull’agricoltura del 1994, sottoscritto al termine dell’Uruguay round del Gatt, che ha segnato alcuni “punti di non ritorno”: consolidamento delle barriere tariffarie, limitazione dell’uso dei sussidi all’export, riconoscimento che la liberalizzazione non può limitarsi alle misure doganali ma deve anche riguardare le politiche interne su temi quali i sussidi, la questione della protezione delle denominazioni di origine, le misure agro-ambientali, standard sanitari e fitosanitari. A distanza di qualche anno dall’avvio del Doha round del Wto è ancora incerto se e quando si riuscirà ad arrivare a un accordo finale: in ogni caso anche per la riforma della Ocm vino bisogna saper “leggere” al di fuori degli specifici scenari. Non vi è ombra di dubbio che la proposta del 4 luglio sia perfettibile: non possiamo ritenere che il problema “vini da tavola” possa essere risolto attraverso l’utilizzo del nome del vitigno e dell’annata, in un sistema europeo che non riesce nemmeno a sapere quant’è la reale superficie vitata del Vecchio continente. Come non convince del tutto la questione della liberalizzazione dei diritti d’impianto senza reali garanzie di controllo del potenziale viticolo affidato ai singoli Paesi o alle aree viticole (magari a Indicazione geografica). Anche la protezione, peraltro lodevole nelle intenzioni, delle Indicazioni geografiche in ambito internazionale prevista in questa proposta di riforma non deve scalfire l’impianto nazionale delle nostre Denominazioni di origine. Tutte questioni sulle quali la Confederazione-Uiv lavorerà a fondo nel negoziato che vedrà le delegazioni nazionali e la filiera produttiva europea impegnate nei prossimi mesi. In ogni caso, dobbiamo avere il coraggio di riformare significativamente questo comparto così importante, superando posizioni di retroguardia e che agli occhi dei più possono apparire corporative, e dare così nuovo slancio alla vitivinicoltura europea.
Perché i produttori meridionali non hanno la capacità di stare insieme come avviene altrove?
Non penso che il fenomeno riguardi soltanto i produttori meridionali, poiché vedo elementi di frattura anche in altre aree del Paese.E’ indubbio però che fenomeni di sterile individualismo siano più presenti nel Sud del, probabilmente per motivi storici e perché , alcune volte, il produttore vicino viene visto più come un nemico che come un concorrente con il quale si possono creare sinergie almeno nel campo del marketing, per far crescere il territorio.Non può essere una singola azienda a far decollare la zona, ma sicuramente serve fare gruppo.Dietro il leader o i leaders esiste spazio anche per altri.Ritengo che la Sicilia, anche per la presenza di Istituzioni pubbliche che hanno concretamente aiutato le aziende, riesca a presentarsi – a livello di immagine – più unita. Questa è una delle ragioni del successo.
Secondo lei a cosa è dovuta la scarsa percezione del mondo politico meridionale della importanza dell’agricoltura?
Penso che ciò sia dovuto al fatto che si è privilegiato il settore dell’industria, dando una relativa importanza a quello dell’agricoltura che continua a vivere momenti estremamente complessi.Spero però che , avendo al momento un Ministro dell’Agricoltura meridionale ed esperto del settore, il mondo politico possa – dimostrando maggiore lungimiranza –dare la giusta attenzione al mondo agricolo che può completamente rappresentare al meglio lo sviluppo della Puglia.Ritengo che in particolar modo l’agri-industria collegandosi bene al settore turismo, debba essere valutata per quello che concretamente può fare.Il Ministro De Castro credo che stia operando con impegno, così come del resto hanno fatto i suoi predecessori Alemanno e Poli Bortone.
Quanto conta l’enologo per il successo di un’azienda?
L’enologo, così come del resto l’agronomo, è certamente fondamentale per l’azienda. Ritengo, però , che il marchio aziendale non si debba confondere con il nome del professionista.Mi sembra che alcune aziende siano famose più che per se stesse , per il consulente che hanno.
E quanto per un’azienda antica come la vostra?
Chiaramente anche per noi la sua figura è di estrema importanza. Il dottor Dimastrogiovanni è con noi dal giugno 2001 (precedentemente abbiamo avuto una collaborazione per circa 30 anni con un altro collega).Originario di Leverano, in provincia di Lecce, si è laureato in agraria a Firenze e poi specializzato in vitivicoltura ed enologia presso la famosa Scuola di specializzazione di Torino.Per noi segue anche l’aspetto agricolo. Escluso un breve periodo diversi anni fa, non abbiamo avuto consulenti in azienda, poiché preferiamo una collaborazione diretta all’interno.
Quali sono i vini italiani, non pugliesi, che beve con piacere?
E’ difficile racchiudere la scelta solo in pochi prodotti ed aree di produzione, visto che molte regioni italiane esprimono prodotti di alta qualità.Comunque mi succede più spesso di bere vini siciliani e toscani.
E francesi o di altri paesi?
Specialmente quando sono al Vinexpo di Bordeaux, degusto vini francesi della zona ed alcuni interessanti prodotti spagnoli.
Qual è il suo hobby preferito?
Mi piace molto sciare sulla neve, ma purtroppo a causa degli impegni riesco a farlo non più di una decina di giorni l’anno.
Quali libri ha sul comodino?
Sono un appassionato di storia e da poco ho terminato la lettura di un libro riguardante la vita di Cicerone e di un altro ambientato a Otranto (la famosa cittadina in provincia di Lecce dove è avvenuto il massacro degli 800 martiri alla fine del XV secolo). Sul comodino ho anche le bozze finali del libro che uscirà alla fine dell’anno e che racconterà in particolare la vita di mio padre e di mio nonno.
E quale musica in cuffia?
Non mi capita spesso di sentire musica e non ho un genere preferito sugli altri.
Le piace viaggiare? Dove?
Mi piace molto viaggiare e lo faccio spesso , purtroppo però più per motivi di lavoro (come diversi altri imprenditori del settore conosco molto bene vari aeroporti, alberghi e ristoranti in tutto il mondo) che per svago.In ogni caso cerco, quando possibile, di visitare le città e i luoghi dove vado. Mi affascina il particolar modo il Sud America, che però conosco molto poco.
Qual è il suo sogno nel cassetto? Cosa vorrebbe fare in azienda che ancora non è riuscito a realizzare?
Vorrei dare maggiore dignità e diffusione ai vini del Salento, che certamente sono più conosciuti ed apprezzati ora rispetto al passato, ma a mio avviso occorre ancora percorrere molta strada perché raggiungano la loro giusta posizione.Il principale obiettivo , però, rientra nel campo del vino Rosato, che imbottigliamo dal 1943 con il Five Roses.E’ una tipologia nella quale crediamo in modo particolare essendo tipica del nostro territorio ed elemento caratterizzante della produzione salentina.Anche sul Rosato si è fatto molto , ma moltissimo c’è ancora da fare per quanto riguarda l’immagine, nel mondo, dello stesso. Mi auguro che la stampa del nostro libro Cinque Rose di Negroamaro (in lingua italiana ed in inglese nel 2007; seguiranno edizioni in altre lingue il prossimo anno) che racconta la storia del Five Roses (in distribuzione nelle migliori enoteche e ristoranti sia in Italia che all’estero e visibile sul nostro sito www.leonedecastris.com) possa offrire il proprio contributo.