Uva: greco di Tufo
Fascia di prezzo: da 5 a 10 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio
La famiglia Aufiero è un po’ la sintesi di quanto è successo nel nostro Mezzogiorno interno: dai campi alla fabbrica, dalla fabbrica ai campi e all’università. Raffaele Aufiero è stato infatti operaio al mostruoso stabilimento Fiat di Pratola Serra, la zona industriale alle porte di Avellino. Quando il valore del reddito agricolo è precipitato l’unica risposta possibile per evitare l’emigrazione era l’impiego pubblico o, appunto, proletarizzarsi. Ma con questa terra attorno si può cambiare ceto sociale di appartenenza, certo non il rapporto con le proprie radici ancestrali. Compra qui, compra là, Raffale è diventato nel corso degli anni anche un buon conferitore di uve, da quattro ettari di greco e 1,5 di aglianico.
E questo ha fatto fino a quando non è andato in pensione, poi la decisione, come tanti, di fare il salto e vinificare in proprio, la sua sana agricoltura familiare ha incontrato Antonio Pesce e da questo rapporto stanno nascendo prodotti molto interessanti: il mercato c’è e tira. Il fatto che una cantina familiare nata nel 2006 abbia terminato completamente le annate lo conferma, la sete di bianco, direi la sete di Greco, è davvero inesauribile tanto che le bottiglie continuano ad essere ben apprezzate, siamo sempre sui 6 euro, nonostante la crisi economica e il calo dei consumi.
Mi sono chiesto spesso la motivazione di questo successo non coltivato dai produttori, e la risposta sta, oltre ovviamente nella qualità dei vini, in un motivo molto semplice, se volete banale: l’abbinabilità con il cibo. Bicchieri che si riempono e si vuotano mentre si mangia. Alla fine sono ormai quasi vent’anni che Fiano e Greco camminano grazie ai consumi della Costa.
Prendiamo questo cru che nasce da una vigna adagiata sul versante di una collina su cui batte sempre il sole quando non è avvolta dalla nebbia a quota 400 metri. L’impatto è molto forte e scorbutico, come tutti i vini di Antonio che non fanno mai sconti zuccherini, vabbé diciamo dolci. No, anzi la materia è bella tosta, gli estratti sono quelli di un Piedirosso e bevuto con gli occhi bendati a temperatura ambiente sarebbe facile confonderlo con un rosso. I profumi non sono ammalianti, ma questa è la caratteristica del Greco che non può essere vino fru fru: alla fine parliamo di una sniffata di zolfo, avete presente quando ficcate il naso in una scatola di fiammeri?, immerso quando si riscalda in un floreale appena accennato e ad una fetta di frutta non evoluta, susina o pesca bianca. Ma se fosse per il naso questi vini resterebbero in cantina. Invece è in bocca che tirano fuori la loro enorme potenza, capace di mettere in riga tutti. Intendiamoci, non è uno stile Nuovo Mondo, è uno spartito irpino e basta: appena inizia la beva immediatamente si mette al lavoro l’acidità che in questa fase, ricordiamo sempre che aprire adesso la bottiglia 2008 è come fare un aborto di una settimana, tira la volata come i cavalli una carrozza, inseguita dall’alcol a quota 14,5 gradi e dalla struttura. Una freschezza agrumata davvero molto piacevole che deve essere coccolata dai produttori. L’affinamento su fecce ha fatto poi la sua parte. E vogliamo parlare della sapidità?
E purtuttavia un certo equilibrio già si intravede per il semplice fatto che il vino si beve e si finisce. Già, questo è il punto. Se sul Fiano è giusto essere estremisti dell’invecchiamento, ossia non berlo mai prima di due, tre anni, per godere della sua evoluzione olfattiva sempre affascinante, per quanto riguarda il Greco il tempo serve non tanto al naso quanto prevalentemente al palato, ossia dare la possibilità di trovare quel pizzico di equilibrio in più che consente di affrontare il bicchiere con maggiore tranquillità e naturalezza.
Ora Raffaele è affiancato dalla figlia Marilena mentre l’altra, Michela, sta studiando. Ci auguriamo che questa piccola bomboniera abbia continuità concentrandosi esclusivamente sulle uve di propria produzione e avendo la forza di mandare a quel paese quei ristoratori incolti e barbari che quando entrano, se ci entrano, in una cantina, sono convinti di stare al supermercato dei vini. Chi non ha amore per il vino che serve non può averlo per il cibo che prepara.
Il Picoli si può bere praticamente su tutto ciò che è edibile. Penso si arrenda davanti a formaggi stagionati, al ragù napoletano (ma va sulla edoardiana carne co’ ‘a pummarola) e al brasato. E’ eccessivo invece sul pesce appena scottato a cui è meglio dedicare un Biancolella o un Falanghina Flegrea. Costa in uscita 7,5 euro e nel 2008 ne sono state prodotte 2600 bottiglie.
Infine, Bambinuto (Benvenuto) è lo scagnanome della famiglia della moglie di Raffaele, i Cecere, acquisito quando rientrarono dal Venezuela.
Sede a Santa Paolina. Via Cerro, 18. Tel. 0825.964634. cantinabambinuto@libero.it Enologo: Antonio Pesce Ettari: 4 di proprietà Bottiglie prodotte: 18.000. Vitigni: greco, fiano, falanghina, aglianico
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