di Francesco Raguni
Per il sesto anno di fila si è svolto a Catania l’evento dedicato ai piccoli produttori vitivinicoli “Piccolo è bello”. All’ombra del suggestivo Monastero dei Benedettini, sotto la coordinazione di Agata Arancio, si sono dati appuntamenti diversi nomi dell’enologia etnea e no. L’obiettivo della manifestazione è stato principalmente uno: “dare valore al lavoro di questi piccoli produttori, metterli in relazione con l’esperienza di altri vignaioli che affrontano le stesse difficoltà con la stessa passione” ha dichiarato Agata alla vigilia del 9 giugno, giorno in cui si è svolto il tutto.
Tanti hanno collaborato alla realizzazione di #PeB 2024. L’evento, infatti, ha goduto del patrocinio del Comune di Catania; Consorzio Etna doc; Strada del Vino e dei Sapori dell’Etna; Associazione Donne del Vino Sicilia; Istituto professionale alberghiero “Giovanni Falcone” di Giarre; Istituto tecnico agrario Filippo Eredia di Catania e quotidiano “La Sicilia”. Sono invece stati partner tecnici Fis e Aiso. Vino e non solo, dato che erano presenti anche stand dedicati all’olio, alla frutta secca, al pesce e molto altro.
Naturalmente degustare ogni singolo prodotto vitivinicolo in degustazione sarebbe stato impossibile; dunque, abbiamo provato a fare una cernita, facendoci guidare da uno dei criteri principi degli appassionati di un qualsivoglia mondo: la curiosità.
Bollicine e bianchi
Partendo dalle bollicine, il primo assaggio è stato al banco di Gurrieri, che proponeva in merito tre vinificazioni differenti: metodo classico, Martinotti e ancestrale. Maggior finezza il metodo classico, note più estreme invece il rifermentato in bottiglia.
Poi, è stato il turno di Breus dell’Azienda Agricola Siciliano. “Breus” come il poemetto di Giovanni Pascoli, che si raccontava di generazione in generazione nella famiglia del produttore e con cui ha voluto omaggiare una bollicina finissima. 80% nerello mascalese vinificato in bianco, 20% chardonnay e – in questo caso – 40 mesi sui lieviti: un vino elegante e complesso, con note minerali spiccate.
Interessante anche il metodo classico firmato Iuppa, Piccolot, il cui nome è un omaggio all’ultimo arrivato in famiglia: si tratta di un nerello in purezza che “riposa” 42 mesi sui lieviti.
Passando, poi, a quella macroarea che comprende bianchi fermi e orange, il primo nome che incontriamo sul nostro cammino è quello di Alice Bonaccorsi, che quest’anno, oltre il suo Val Cerasa – come bianco – porta anche Rocca delle Campane.
Un vino dalle note citriche e agrumate, la cui spiccata acidità conferma il fatto che il Carricante può regalare grandi vini da invecchiamento. Il suo orange, il Noir, il cui nome è un omaggio al genere letterario in questione, invece, offre grande complessità al naso: miele, agrumi e frutta bianca.
In tema di orange, merita una chiosa anche quello di Cantoneri – Tenuta della Dainara, realizzato con uve di Carricante, Catarratto ed un mix di aromatiche quali Gewurztraminer, Moscato ed altre, che sta 3 mesi sulle bucce e fa anche 6 mesi di affinamento in barrique.
Infine, un salto da Al-Cantara e dai poetici vini del dott. Giuffrida è immancabile. A nutturna, il suo nerello mascalese vinificato in bianco, è un prodotto che non passa inosservato. Un calice chiama l’altro, regalando freschezza e sapidità al palato, con importanti sfumature mineraliall’olfatto.
Rossi e non solo
Passiamo ai rossi, con Stanza Terrena, dove prima Giuseppe Grasso ci fa fare un passo indietro, facendoci degustare prima il suo orange, fatto da minnella in purezza. Colore arancione intenso, a ricordare i tramonti d’agosto, e una grande freschezza al palato.
I suoi rossi, poi, che si fregiano dei simboli alchemici – quali il Corvo, il Cigno e la Fenice – hanno tutti la stessa base, il nerellomascalese, ma subiscono lavorazioni differenti: dal solo acciaio all’affinamento in legno, Nasca è l’apice di questo climax ascendente.
Sempre a Randazzo troviamo uno dei veterani del settore, Francesco Modica con Sciara Nuova e Nonno Ciccio, anche qui stessa base, ma affinamento differente. Tannino ben smussato e un frutto non indifferente regalano al palato un vino che esprime perfettamente la vocazione del territorio randazzese ai rossi.
Eppure, i nostri assaggi non finiscono qui. Troviamo anche DonMichele 2021 di Tenuta Moganazzi, il cui nome si rifà alla medesima contrada. Al naso dà un’importante nota di frutta rossa matura, in bocca tannino vellutato e grande acidità.
Abbandoniamo poi il nerello mascalese, restando comunque sull’Etna, e torniamo dall’azienda agricola Siciliano per assaggiare il loro RossoEuphoria, pinot nero in purezza che non ha nulla da invidiare ai grandi pinot francesi. In bocca scorre come seta, al naso arriva prima la frutta quasi sotto spirito e poi un bouquet variegatodi sentori terziari.
Chiudiamo con Salvatore Marino che ci regala una storia familiare pluridecennale. Infatti, il suo Moscato di Noto non è un caso che si chiami 1993. Si tratta di un’etichetta rimasta in cantina, sopravvissuta al tempo in quanto vino fortificato e trovata per caso dopo la scomparsa del padre. Soltanto 3000 bottiglie per un vino che, nonostante i 30 anni, si mantiene in splendida forma regalando grande complessità al naso (con sentori di frutta candita e miele).
Servirebbe ben più di una vita per poter provare ognuno dei produttori presenti, dato che in ogni bottiglia c’è sempre una storia diversa. Per fortuna, però, alcuni eventi hanno ricorsi nel tempo che consentono – con un po’ di pazienza – di poterle assaggiare e bere tutte, con l’auspicio che un territorio come quello siciliano riesca a cavalcare a dovere l’onda di crescita che sta vivendo.
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