di Raffaele Mosca
Lascio la villa seicentesca dei conti Giorgi di Vistarino, percorro con l’auto i tornanti che sormontano i colli ricoperti di boschi e di vigne, passo una cascina sulla cima di un pendio, la cancellata di un podere gentilizio, e all’improvviso ho una sorta di dejavu. Ci penso attentamente e a primo acchito mi vengono in mente il Monferrato e il Tortonese, che condividono parte del profilo paesaggistico con la fascia collinare dell’ Oltrepò Pavese che va da Voghera a Santa Maria La Versa. Poi, però, mi accorgo che non è una questione di scenario: c’è un legame più sottile che connette l’areale con un altro che conosco bene: i Castelli Romani. Potrà suonare strano a chi non le conosce bene, ma queste due terre da sempre considerate “figlie di un Bacco minore” hanno tre elementi fondamentali in comune: A) la vicinanza con la grande città, che è croce e delizia per il loro comparto vinicolo b) la reputazione compromessa dagli errori del passato (e del presente…) c) il tentativo di rilancio da parte di alcune aziende che, non trovando il supporto delle istituzioni consortili, hanno deciso di organizzare un evento in proprio per dimostrare che c’è vita aldilà delle vagonate di bottiglie vendute a prezzi stracciati.
E’ così che, a Giugno a Grottafferrata e a settembre tra Rocca dei Giorgi, Montecalvo Versiggia e Santa Maria La Versa, mi ritrovo ad approfondire la conoscenza di territori meravigliosi , ma bistrattati, grazie agli sforzi di produttori che rinunciano alle beghe di vicinato per convergere su punti fermi che vanno ben aldilà del DOC: nel primo caso l’appartenenza al comune di Grottaferrata, forse il più prolifico del panorama castellano; in quest’occasione la valorizzazione del Pinot Nero, vitigno cardine della produzione del pavese. Alla prima edizione di Oltrepò Terra di Pinot Nero – kermesse che spero diventi un appuntamento annuale – hanno aderito venti aziende che rappresentano i mille volti di un territorio vasto – circa 650 chilometri quadrati d’estensione – e molto variegato.
“ C’è un po’ di tutto all’interno di questo gruppo – spiega Carlo Veronese, neo-direttore del consorzio dell’Oltrepo Pavese, che ha già fatto un grande lavoro fatto negli anni al servizio del Consorzio Lugana – è bello avere nello stesso luogo aziende piccolissime e un gigante come La Versa, che, con circa 1.300 ettari gestiti, è la cooperativa più grande di tutta la Lombardia”. Si è deciso di fare quadrato intorno al Pinot Nero per una questione di qualità e anche di numeri: l’Oltrepò Pavese è il terzo produttore in Europa di vini da questa varietà dopo Champagne e Borgogna. Sono 3.500 gli ettari dedicati – pari a circa il 27% della superficie vitata totale – e più di 100 i cloni autoctoni e alloctoni piantati su queste colline formate da rocce sedimentarie di origine marina. La tradizione vuole che siano stati i Conti Vistarino di Rocca dei Giorgi a introdurre il vitigno dalla Francia intorno al 1850 e a dare il via alla tradizione spumantistica della regione. I Giorgi, poi, hanno fatto la fortuna del territorio anche nel secondo dopoguerra, fornendo le uve utilizzate per il famoso Pinot della Rocca, vino popolarissimo a cavallo tra gli anni 60’ e 70’ che ha fatto da volano per la spumantistica pavese, incentivando anche gli investimenti degli imbottigliatori da altre zone, Berlucchi in primis. “Era una viticoltura sociale e mezzadrile che faceva utili – ci spiega Ottavia Giorgi di Vistarino, ultima discendente della casata – nel nostro caso, la domanda era così alta che mio padre faceva il prezzo e i clienti si limitavano ad accettarlo. Avevamo 50 famiglie di mezzadri nella tenuta e godevano di un certo benessere economico, perché quel 61% di uva che trattenevano per contratto fruttava bene”.
Purtroppo il successo duraturo di questo modello, unito ad un assetto produttivo estremamente arcaico – si pensi che gli ultimi mezzadri sono andati via nel 2020 – ha comportato un ritardo nell’evoluzione del panorama. Tutt’oggi lo zoccolo duro dell’areale è composto da piccole aziende familiari che vendono le uve o lo sfuso agli imbottigliatori, vinificatori con un mercato strettamente locale e cooperative. In un certo senso, le aziende che hanno aderito alla manifestazione – mettendo da parte La Versa – rappresentano l’eccezione e non la regola. Se facessi solamente fede sugli assaggi fatti in quest’occasione, potrei dire che gli spumanti metodo classico dell’Oltrepo Pavese sono tra i migliori d’Italia in termini di qualità media – anche se manca un vero mostro sacro – ma la verità è che al di fuori di questa nicchia d’eccellenza si trova veramente di tutto e non si può comprare a scatola chiusa. Sicuramente il dato più interessante emerso da questo rendez-vous è la piacevolezza e la non omologazione degli spumanti rosè in generale e in particolare dei Cruasè. Cruasè è una crasi delle parole Cru e rosè coniata nel 2007 per indicare una nuova tipologia. Il Cruasè è un Metodo Classico rosè prodotto da sole uve Pinot Nero che generalmente viene ottenuto attraverso la tecnica della macerazione in pressa, in modo tale da avere un colore acceso – più cerasa che buccia di cipolla – e lievi sensazioni tattili/tanniche che danno tridimensionalità al sorso. Senza nulla togliere alle versioni bianche, che nei migliori casi hanno affinità con gli Champagne Blanc de Noirs, è proprio questa vinificazione in rosa a dare una marcia in più ai vini sul fronte della territorialità. Tutt’altro discorso quello relativo al Pinot Nero tranquillo: in questo caso non esiste una tradizione secolare. E, in assenza di una cifra stilistica comune dettata dalla storia, i produttori sperimentano e spaziano dalle versioni giovani in acciaio o cemento da bere fresche con piatti leggeri – che forse sono le più centrate in questo momento – a riserve prodotte da singoli vigneti “a a la mode bourguignonne”.
Generalmente parlando, la qualità in questa categoria è più altalenante, ma mi sento di spezzare una lancia in favore di chi sta facendo di tutto per travalicare lo stereotipo del Pinot Nero italiano rustico, cicciotto e monocorde. Il primo esempio che mi viene in mente é proprio quello di Conti Vistarino: negli ultimi anni Ottavia ha investito molto sulla produzione di vino rosso, selezionando parcelle specifiche da cui ricava quattro Cru che, nelle migliori annate, hanno una trama di finezza quasi borgognona. Altro esempio virtuoso è quello di Cordero San Giorgio, boutique winery rilevata nel 2019 da una storica famiglia di Castiglione Falletto, baricentro del Barolo, che sta puntando molto sul Pinot Nero tranquillo, con studi specifici cloni e suoli. I tre fratelli che conducono l’azienda si sono formati in Borgogna e Nuova Zelanda e hanno importato il know how di quei territori per produrre vini che, già al loro esordio, convincono per eleganza, equilibrio e soavità.
Tutti gli spumanti di Oltrepò Pavese Terra di Pinot Nero
Quaquarini
Pinot Nero 2014
Pompelmo e ribes, timo e salvia, polvere da sparo, confetto e fragolina sul fondo. La polpa è quella giusta e la bolla è molto fine. Il finale su toni di agrume rosso e nocciola rende un senso di pulizia e precisione. Valido. Cruasè 2014 Garbatamente ossidativo: gelatina di fragole e bacca di goji, cumino e timo, cannella, tracce di tostatura. E’ robusto, cremoso, avvolgente, non troppo slanciato, ma ricco, gourmand e di ottima persistenza su toni di cioccolato e mandorle tostate. Lo vedrei bene con una costoletta d’agnello impanata.
Tenuta Mazzolino
Cruasè 2013
Ribes rosso e tarocco siciliano, erbe aromatiche, qualche traccia ferruginosa. Spiccano l’acidità e lo sprint sapido, inseguiti da rimandi speziati che rendono la dinamica molto vivace. Il frutto è fragrante, goloso, la chiusura lunga e sorprendentemente rocciosa. Molto buono.
Travaglino
259
Pan brioche, miele, note chiare di frutta a guscio (forse) date dal 10% di Chardonnay, qualche idea di panificazione. E’ avvolgente e rassicurante, soffice, classico e di buona finezza, con un finale di media persistenza su toni salini e tostati. Da cruditè.
Gran Cuveè
Miele e amaretto, limone candito e una bella spinta minerale. Cremoso, accomodante in apertura; poi esce la spinta sapida che dà nerbo a un finale pieno e di discreta durata. Vino storico prodotto dagli anni 80’, in questa edizione offre un bell’equilibrio tra massa e tensione. Rose Monteceresino 2014 Una traccia affumicata incornicia aromi di ribes rosso e peonia, pomodorino confit e nocciola. Il sorso è snello e sferzante in apertura, poi più fruttato e voluminoso, ma sempre scattante, brioso, con un finale lungo su toni di mandorla tostata e nocciola. Già 17esimo per 50 Top Rosè 2021, si conferma particolarmente buono.
Riserva del Fondatore 2011
Cannella, tostature e frutta secca da lunga maturazione in prima battuta, ma non ha perso una certa freschezza floreale e vegetale di fondo. C’è tutta la polpa, l’equilibrio derivante dal lungo affinamento, ma anche la giusta spinta acido-sapida che dà supporto a una progressione profonda, stratificata, che insiste in chiusura su note di miele e crema pasticcera. Ottimo.
Alessio Brandolini
Dosaggio Zero 2017
Mandorla e melone estivo, lime, fiori bianchi, qualche lampo di pasticceria e pietra focaia. E’ longilineo e diretto, scorrevole, ma con la giusta struttura e una chiusura tonica, asciutta come da canone per il brut nature. Semplice, contemporaneo e abbastanza versatile. Rosè 2017 Sempre giocato in delicatezza: peonia, rosa, spezie chiara e un’idea di roccia sfregata. Agile e schietto, trainato dalla sapidità che sostiene il frutto delicato, croccante e dà grinta al finale di buona persistenza. Discreto.
Monsupello
Nature
Etichetta classica, ampiamente diffusa sul mercato italiano, che esprime aromi tipici da Blanc de Noirs di mela matura e yogurt alle fragoline, erbe aromatiche, un accenno di pasticceria. E’ voluminoso, vellutato in apertura e poi più asciutto e grintoso, con un tocco vegetale a rafforzare l’idea di freschezza e un finale salino e lievemente ammandorlato. Classico. Rose Millesimato 2015 Pain grillè, crema di caffè, mandorla tostata, note scure che rasentano il sottobosco e una punta di pepe. Offre polpa e cremosità godereccia, acidità ben dosata sul fondo, rintocchi salini che bilanciano un sorso comunque grasso e piacione, disteso e confortante, da gricia o da pizza con la mortadella.
Giorgi 1879
Gran Cuveè Storica 2017
Vegetale e lime, erbette, mela limoncella. Sorso ricco e avvolgente, un po’ monocorde sulle morbidezze nella chiusura di buona durata.
Gianfranco Giorgi Classico Brut
Nota di testa di pietra focaia e poi mandorla tostata, crosta di pane, ribes acidulo. E’ composto ed equilibrato, piacevole e disteso, agrumato e ammandorlato nel finale discreto. Top Zero Nature Mandorle tostate e idromele, qualche refolo balsamico e di spezie dolci. Parte ricco, avvolgente, ma poi si assottiglia; è più garbato, meno sferzante di tanti altri Brut Nature, ma un po’ frenato nell’abbrivio.
Conte Vistarino
Saignee della Rocca
Da salasso e non da macerazione, il che significa che ha un colore più chiaro della media e un naso delicato, improntato su sensazioni di rosellina e confetto, pasticcino alla fragola e spezie dolci. E’ snello e delicato, incentrato sul frutto fresco, fragrante, immaturo, che sfuma in un finale delicato su toni di nocciola e mirtilli rossi. Più finezza che struttura, ma scende giù alla grande.
1865 2014
Miele d’acacia e cannella, pan di spagna, erbe disidratate su fondo di roccia e pietra focaia. E’ avvolgente e dritto allo stesso tempo, raffinato e seducente tra rimandi marini, rintocchi di pasticceria e una nota affumicata che allunga la chiosa. Ottimo.
Castello di Cigognola
Moratti Cigognola Cuveè More Pas Dose S.A.
Lavanda ed erba falciata, pera e mela golden, lieviti in lisi e un soffio di polvere pirica. E’ appena rustico, ma fluido e scattante, salino nel finale molto tonico e pimpante. Beverino. Moratti Cicognola Cuveè More Brut Pesca e melone estivo, biancospino, pan brioche e focaccia. Dritto e vivace come il precedente, ma con un’effervescenza più fine e una struttura più morbida e cremosa. Rimane comunque abbastanza equilibrato, non troppo profondo, ma sfizioso e facilmente abbinabile alla cucina di mare. Discreto.
R.d.m. 2014 Pas dosè
Nato per errore, lascia emergere aromi prorompenti di burro e miele d’acacia derivanti dalla malolattica spontanea in bottiglia uniti a tratti di erbe aromatiche e pietra focaia. E’ robusto, burroso, accomodante, come un bianco che ha fatto legno, ma con la mousse a dare discreto brio a uno sviluppo di buona lunghezza. Bizzarro e indubbiamente intrigante. Cuveè dell’Angelo 2013 Acciuga e polvere da sparo, conserva di pomodoro, nocciola tostata e gelatina di ribes, miele e burro sul fondo. E’ più dritto e verticale della maggior parte degli spumanti lungamente affinati, ma anche raffinato e cremoso, ampio nei rimandi fragranti e tostati che allungano la chiusura . Molto buono.
Calatroni
Pinot64 2017
Mela golden, tostature, cenni di fragole, mirtilli e acciuga sotto sale in pieno stile Blanc de Noirs champenoise. E’ robusto e goloso, cremoso e di nuovo tostato. La spinta acida e l’effervescenza ben dosata danno sprint a un sorso ricco, rotondo, più largo che dinamico, ma coerente. Goloso. Poggio dei Duca 2016 Ribes rosso, fragolina e peonia su fondo tostato. Simile al precedente in termini di ampiezza e cremosità, ma appena più snello e più minerale in chiusura.
Rose Extra Brut 2018
Acciuga ed erbe aromatiche, ribes acidulo. E’ dritto, dinamico, verticale, con un finale appena ammandorlato. Essenziale.
Bruno Verdi
Dosaggio Zero Vergomberra 2017
Melagrana e gelatina d’ anguria, cioccolato amaro e talco, fieno e fiori secchi. E’ insolito e caratterizzante, appena rustico, ma reattivo e sferzante, salino e leggermente vegetale nella chiusura dritta, rinfrescante. Contiene percentuali minoritarie di Pinot Meunier. Intrigante.
Dosaggio Zero Vergomberra 2016
Più complesso del 2017: profuma di crema chantilly e yogurt alla fragola, mela golden e nocciola tostata. Ha sempre una dinamica accattivante, diretta, con un perlage più fine del ‘17 e una chiusura sempre tonica, rocciosa, saporita. Splendido! Cruasè Pomodorino confit e mirtilli rossi, cannella e frutta secca a volontà. Offre scorrevolezza e contestuale polpa, rintocchi agrumati che danno slancio ad un finale non lunghissimo, ma coerente e piacevole. Solido.
La Piotta
Talento Brut 2018
Erbe officinali e roccia, limone, mandorla bianca. E’ ossuto e scorrevole, agile e contemporaneo, non particolarmente sfaccettato, ma centrato. Nature 2017 Fumè e ribes rosso, erbe aromatiche, qualche lampo speziato. Sempre slanciato, sferzante, beverino, con un finale di media lunghezza su toni di agrume e fruttini rossi. Suspir 2018 Anguria e ribes rosso, fiori appassiti su di un fondo gessoso da Champagne. Segue la linea aziendale e si distingue per tensione e verticalità, con qualche ritorno fruttato a rimpolpare un finale sapido e affumicato di buona presa.
Disinvolto. 89-90 2013
Funghi ed erbe officinali, miele d’acacia, tocco vegetale e un’idea di pasticceria alla crema. Sorprende l’equilibrio tra la parte verde e la grassezza mielata di un sorso più strutturato rispetto ai precedenti. Buono.
La Travaglina
Martinburgo 2015
Mela golden e crema chantilly, polvere pirica e pietra focaia. Sorso ricco, avvolgente, ma con bella vena minerale a contrasto, che si assottiglia in chiusura e tira fuori spunti affumicati. Interessante. Julillae Cruasè 2011 Caffè a tutto spiano e curcuma, mela rossa, mirtilli in composta, liquirizia e rose appassite. Si contraddice al sorso, offrendo più slancio e tensione del previsto, sapidità arrembante, cremosità e leggera ossidazione sul fondo a prolungare una progressione completa, armoniosa. Eccezionale! Metodo Classico 2010 Cannella e cioccolato bianco, biscotti scozzesi e un cenno di salvia e timo. Sviluppo cremoso e allo stesso tempo nervoso, con finale profondo su toni di burro e affumicatura. Appena più bidimensionale del precedente, ma sempre molto buono.
Manuelina
Dosaggio Zero 2017
Fragola e ribes bianco,un tocco fumé e di gomma pane. E’ pulsante, minerale, rinfrescante, anche se la bolla e un po’ rustica e c’è qualche ritocco ammandorlato nella chiusura di media durata. Rosè 145 2016 Fragolina e pera, qualche tratto balsamico e un’idea di acqua di rose. Più robusto del precedente, con un tocco di tannino che dà sostegno alla beva e un finale fruttato e salino di buona lunghezza. Discreto.
Scuropasso
Roccapietra Dosaggio Zero 2015
Mora e gelso, fragola matura, cannella, crema di caffè, pasticceria alla vaniglia e una traccia di sottobosco. Bella complessità anche in bocca, dove un tocco vegetale smorza i ritorni di crema e tostatura che s’infrangono in un finale dritto, roccioso, mordente. Ottimo.
Brut Principalmente 2015
Ananas, mela cotogna e pan di spagna su fondo minerale. E’ morbido, rassicurante, setoso, non troppo incisivo, ma equilibrato e scorrevole. Rosè 2015 Caffè e tocchi affumicati, mirtilli rossi maturi, peonia e rosa canina. Gioca sempre sull’equilibrio e sulla scorrevolezza, senza picchi di complessità, ma con garbo e grande piacevolezza.
Fiamberti
Brut 2016
Ribes acidulo e fragolina di bosco, spunti di pan brioche e il classico minerale di sottofondo. Il perlage è leggermente aggressivo in apertura, ma i ritorni di fragolina e di mela danno struttura e rotondità a un sorso classico e rassicurante. Discreto.
Rose 2017 Confetto alla rosa, pane grigliato, erbe aromatiche. Sferzante e allo stesso tempo polposo, con acidità tonica e un finale minerale e di frutto rosso acido, immaturo. Molto scorrevole, ma un filino rustico.
La Versa
Testarossa 2016
Ribes bianco e tratti vegetali, melone e mela renetta, erbe aromatiche su fondo minerale. L’effervescenza è leggermente rustica, ma il sorso scorre con disinvoltura e chiude citrino e ammandorlato. Semplice, da tapas. Collezione 2007 Propoli e crema pasticcera, qualche idea ancora fresca di erba falciata e anice. Il lungo affinamento sur lie ha smussato gli spigoli, ma la gustativa rimane comunque dritta e dinamica, relativamente sottile, con un finale piacevole su toni salini e fumè. Più che onesto a rapporto qualità-prezzo.
Ballabio Extra Brut
Fiori bianchi e pan brioche, pompelmo, pera a profilare un quadro chiaro e delicato. E’ dritto, senza orpelli, salino e nerboruto, intensamente agrumato nel finale senza compromessi. Dinamico.
Zero
Pietra focaia e crema di caffè, erbe aromatiche, vaniglia e pasticcino alla fragola. E’ più voluminoso e profondo del precedente, ma ancor più nervoso. L’acidità travolgente fa da contaltare ai rimandi speziati e tostati e conduce il sorso fino alla chiusura non lunghissima, ma pulita e molto equilibrata. Ottimo.
Rosè
Melagrana e pompelmo, confetto alla rosa, spunti minerali e di agrume rosso. Sempre tonico e sferzante, ma carico di frutto sia rosso che giallo che rimpolpa la beva. E’ il più lungo dei tre, con ritorni piccanti e salinità salivante nella chiusura incisiva. Ottimo al quadrato.
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