Piazzetta Milù
Corso Alcide de Gasperi, 23,
Castellammare di Stabia NA
Tel. 081 871 5779
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Una bottiglia che ha esattamente la mia età, l’idea di costruirci una cena di fine anno con le persone giuste e in un posto giusto. In genere queste cose vengono meglio a casa. Ma quando se ne occupano i professionisti giusti allora diventano perfette. In questo caso l’abilità del cuoco sta di riuscire a stare un passo indietro alla bottiglia mentre quella del sommelier di scegliere la sequenza ed evitare incidenti. C’era dunque questo vecchio Nuit St-George 1957 da condividere e la scelta non poteca che ricadere nel sommelier campano che più di ogni altro conosce la Francia in questo momento. Emanuele Izzo. Il secondo tassello è Luigi Salomone, che avevamo lasciato con Giuseppe Di Martino alla James Beard Foundation di New York e a cui pure avevamo affidato una splendida cena di fine 2016 centrata sul capretto.
Alè, va così. Con i vini portati qualche ora prima per dare modo a Emanuele di gestirli al meglio.
VIGNA DEL VULCANO BIANCO 2005 LACRYMA CHRISTI VILLA DORA
L’azienda vesuviana è stata sinora l’unica a credere coerentemente sui tempi lunghi del bianco ottenuto da Falanghina e Coda di Volpe. Sapevamo della sua capacità di invecchiamento grazie a numerosi stappi e ad una verticale che ha regalato belle soddisfazioni. Il risultato in bottiglia è stato semplicemente perfetto: freschezza, bocca larga, finale tonico, amarognolo, frutta candita, sbuffi minerali di idrocarburi ma anche di macchia mediterranea. Una meraviglia. Questa è stata l’introduzioen agli amuse bouche e ad un paio di piatti fulminanti come l’insalata russa di tonno.
L’inzuppo con il ragù è qualcosa di ancestrale per qualsiasi campano che abbia iniziato a provarlo quando la testa non arrivava alla pentola accesa sul fornello. Piccola grande idea che marca orgogliosamente le tradizioni insperabili della cucina partenopea.
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NUIT ST- GEORGE 1957 AOC MICHEL CABIGNET
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Ovviamente un regalo per il mio 60° compleanno. Temo sarà sempre più difficile trovarne di annata in annata in futuro a meno di non scivolare sui vecchi dolci siciliani e portoghesi. Ad ogni buon conto l’attesa per questa annata, di bassa resa a cusa di una gelata, non è andata delusa. Il Pinot Nero di questo domain si espresso nelle sue caratteristiche di sempre: sottile e persistente al naso, setoso ed elegante al palato. Impressionante la freschezza ancora integra che ha dettato la beva e la persistenza del vino sia dal punto di vista olfattivo che in bocca. Ecco la nota di Adele Elisabetta Granieri: “Naso e bocca ribaltano l’idea suggerita dalle nuances mattone. Note sanguigne, ferrose, di sottobosco umido e muschio, poi un tocco pungente e balsamico, come di ginepro e ancora il fumo di camino. Il sorso è esile, ma ancora vivace e succoso, dai richiami ematici. Un sessantenne che non ne vuole sapere di andare in pensione.”…ogni riferimento è puramente casuale:-)
Pensione a parte, dobbiamo dire che questa beva è stata appagante e ha confermato il carattere dei vecchi pinot, quello di essere un pugno di ferro in un guanto di velluto. Alla prima sensazione eterea, quasi sfuggente, subentra una bella tensione di beva e soprattutto una persistenza impressionante a cui si accompagna l’azione dei tannini, setosi, ficcanti, ma non asciuganti. Ne esce un vino di abbinamento capace di sostenere anche piatti molto diversi fra loro.
Con il coniglio esce perfetto, anche quello poechettato e speziato.
I tortelli di minestra maritata, aiutati da un pizzico di salsa di soia che allunga il sapore con la nota fumè escono perfetti.
Incredibile, anche se può apparire snob, l’abbinamento con la pasta e patate, con le bucce abbrustolite sotto la cenere e sfumate con il vino bianco ed erbette.
Forse scontato ma ugualmente centrato con l’anatra.
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BASILISCO 1992 VINO DA TAVOLA
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Il fondo bruno del volatile apre però le porte al mondo dell’aglianico. Un mondo che all’epoca era confuso: si tratta di una bottiglia vinificata in Piemonte con stile tradizionale e, saltata la battuta dell’unico caso di Aglianico che finito nelle Langhe continua ad essere chiamato Aglianico (un po’ come succede per il tartufo oggi), conferma l’impressionante longevità di questo vitigno a cui alcune lavorazioni eccessive del Vulture (surmaturazioni spinte, legni troppo speziati) ci aveva disabituato. Vigoroso, tonico, freschissimo, questa bottiglia esce dalla mia cantina dove riposava da una decina di anni e completa in crescendo la bevuta. Bravissimo Emanuele a metterlo dopo, e non prima, il Pinot Nero nonostante la differenza di età. Ma di questo vino parleremo diffusamente in un post a parte domani mattina.
Obbligato l’agnello, di una scioglievolezza incredibile.
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TOKAIJ 2001 SIMKO’
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Altra chicca, di una piccola azienda ungherese. La giovane vignaiola di famiglia ha fatto uno stage alle Vigne di Raito di Patrizia Malanga ed è qui che la becco. Gradito regalo estivo che non potevo non spendere in questa occasione. Vino dolce ma non stuccevole, ancora molto giovane, con note di frutta in evidenza in un sottofondo erbaceo gradevole e spunti balsamici. Perfetta per i due dolci.
CONCLUSIONI
Diamo conto di questa cena perfetta, la infiliamo nelle quattro bottiglie bevute e la mettiamo nel mare di internet affinché un domani qualcuno riesca ad averne contezza. Con la morale facile da capire: per bere bene basta un po’ di curiosità e non essere omologati mentalmente,
Buon anno a tutti!
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