E’ spesso nella sua diseconomia il miracolo del vino, ossia quando si decide di farlo per ribadire la propria identità piuttosto che fare reddito, al massimo con l’obiettivo di non rimetterci. Questa motivazione, paradossale di questi tempi, è alla base di quanto sta succedendo negli Alburni, la catena montuosa che appare di fronte a Eboli quando si scivola lungo il tratto iniziale della Salerno-Reggio. Qui, lungo il corso del fiume Auso, lungo l’antica via lucana del sale e del grano sulla quale i traffici di Paestum si incrociavano con quelli delle zone interne, ben lontani nel cuore del Parco nazionale del Cilento, un piccolo miracolo avviene nel comune di Sant’Angelo a Fasanella. Il miracolo del Fiano che si è arrampicato sino a quota 300 metri, dove la natura si è ripresa tutto impegnando a cercare le tracce del passato nelle grotte carsiche usate come cimitero e come chiese, sulle rocce dove sono scolpiti guerrieri come Antece, nelle rovine sparse qua e là vicino i letti dei fiumi. Al nobile vitigno bianco meridionale sono dedicati in località Visciglina due ettari e mezzo dei nove complessivi che appartengono ai 41 soci di Tenute del Fasanella: ciascuno di loro fa altro nella vita, ma insieme hanno deciso di recuperare materia storica al territorio attraverso il vino, affidando alle etichette l’amore per la propria origine. In attesa dell’Aglianico, quest’anno sono in circolazione un Primitivo, fresco e di pronta beva, e il Fiano Phasis creati dal giovane enologo Sergio Pappalardo, sempre molto attento ai temi dell’agricoltura ecocompatibile, appagata la sua voglia di sperimentare tra questi poggi e le valli. Il Phasis ha avuto il suo battesimo del fuoco nella degustazione Looking for White a Paestum, durante il Salone della Mozzarella, quando ha gareggiato come abbinamento insieme ad altri dodici Fiano provenienti, oltre che dall’Irpinia ovviamente, anche da Sannio, Cilento, Basilicata, Puglia e Sicilia. E ha fatto la sua bella figura, quarto, preferito ad occhi bendati dai presenti impegnati a votare. Secondo noi è un grande bianco, bel corpo, ottima acidità, vinificazione solo in acciaio con affinamento sulle fecce fini, una espressione compiuta del terreno calcareo e argilloso e della bassa resa per ettaro, appena 55 quintali. Lo proverete su tutti i piatti ben strutturati e ricchi, di mare come di terra, purché non eccessivamente pomodorosi. E i più bravi lo conserveranno per goderne i terziari fra quattro, cinque anni.