L’occasione era di quelle ghiotte: eravamo a Caserta alla presentazione del libro del Pigna “Le ricette napoletane”, a quattro passi (nemmeno ¼ di bombola di ossigeno irpino) da Caiazzo, la patria di Franco Pepe, unico maestro pizzaiolo campano che la guida delle pizzerie del Gambero Rosso s’è filato nell’ ultima edizione. E allora non riesco a trattenermi ai pressanti inviti di altri due grandi maestri della gastronomia campana, Manuel Lombardi e Stefano Pagliuca, per quei pochi che ancora non lo sapessero, rispettivamente re del Conciato Romano e imperatore del Pane a Canestrella.
E poi, Caiazzo è molto più vicino di quanto non si immagini a Benevento, a quanto sembra (speriamo di no) il mio futuro capoluogo di provincia, indi per cui incominciando a percepire folate di aria beneventana (piano piano, a piccole dosi…mi raccomando) dovrò pure abituarmici a quell’aria meno rarefatta (più greve) delle nostre montagne irpine!!! ;-)) Per la verità avevo già conosciuto Franco in occasione della verticale di Minutolo di Lino Carparelli a Cantine Babbo, e già da allora nel fitto dialogare con lui per circa una mezz’ora di prodotti e territori, avevo percepito, prima che del maestro pizzaiolo, la “grandeur” dell’uomo…Gran bella persona!!! Che cosa mi piace di più in lui?
La dote più grande, che anche il più “bravissimo”, in qualsiasi campo e/o disciplina, dovrebbe avere… l’umiltà!!! E Franco Pepe di umiltà ne ha da vendere…Sempre schivo, sempre “al di sotto delle righe”, sembra quasi abbia vergogna di essere così bravo. Perchè bravo lo è davvero e lo ha dimostrato ancora una volta, ovemai bisogno ce ne fosse stato, nella lunga carellata di pizze con cui, l’altra sera, ci ha deliziato.
Si parte con la Marinara (pomodoro, origano, aglio e olio), la più semplice, ma che molto spesso è tra le più gustose, dice il Pigna!!! E così è stato anche in questa occasione. Da notore l’alveolatura dell’impasto, a lievitazione pressocchè perfetta. …per favore, domandatemi, ma a che serve la lievitazione? Può sembrare banale, ma molti non lo sanno…serve a rendere la pizza più digeribile, e quindi a non soffrire quella pesantezza di stomaco che avvertiamo quando consumiamo una pizza che non ha lievitato sufficientemente, oppure quando…dobbiamo cambiare capoluogo di provincia…si si, ridete voi ;-))
Da premettere che la “pizziata”, uso un termine coniato dal maestroTommaso Esposito (provvederò quanto prima a versargli i relativi diritti) prevedeva due pizze per tipo, con dei giri di spicchi (quattro per pizza) in ragione di uno ogni commensale (eravamo in sette, quindi ogni giro c’era il fortunato di turno che ne ingollava due).
Archiviata la marinara nei capienti stomaci (scusa Barbara, parlo per noi maschietti), si passa alla “Margherita” (pomodoro italiano, fiordilatte del Casolare, olio extravergine di oliva e basilico) quella che per Michele D’Argenio, altro commensale, è “LA PIZZA”, non so se perchè in un’altra vita era parente alla regina o perchè il basilico di Franco per lui aveva un sapore mai sentito prima.
E sono quattro, non perdete il conto!!! Procediamo con ” Il sole nel piatto” (mozzarella di bufala Dop, pomodorino del piennolo Dop, olive caiazzane, acciughe e basilico chetantopiaceamicheledargenio)
Ebbè, il sole nel piatto si trasferisce in un battibaleno…in bocca e lasciando una scia pazzesca di retronasale, si trasferisce nello stomaco!!! Al netto delle acciughe e delle olive, avrebbe lo stesso genere di prodotti della margherita, ma…signori, perchè dovrebbe costare il doppio(da 3 a 6 euro)? Perchè, intendiamoci, la qualità costa e quindi si paga!!!
Incominciamo dal pomodoro: il pomodorino del piennolo, secondo solo a quello di Montecalvo ;-)) , vi dà la stessa sensazione gustolfattiva delle pacchetelle furtivamente assaggiate e che ognuno di noi ultracinquantenni ben ricorda per averne introdotte nei colli di bottiglia, a migliaia e migliaia, quando in tenera età i nostri genitori ci obbligavano a farlo (a quei tempi di telefono azzurro…manco a parlarne) puntualmente verso la fine di ogni Agosto. Per non parlare poi della fantastica mozzarella di bufala dop di Mimmuccio “il Casolare”, una goduria incommensurabile, sia cruda che cotta…E l’olio novello di olive caiazzane dell’Azienda Olivicola Petrazzuoli di Ruviano (Ce)? Ne vogliamo parlare?
L’ho fatto notare a Stefano Pagliuca, mio vicino “di banco”, una piccantezza e un’aromaticità tali, lo devo riconoscere, da poter reggere perfino il confronto con la Ravece dell’ ex-irpinia!!! E veniamo alla pizza ai “sapori del Cilento”.
E siamo già a quota 8, ricordatemelo. E per la gioia dei cilentani Barbara Guerra e Albert Sapere (altri due commensali, curatori della kermesse “le strade della mozzarella”), Franco ci prepara la pizza “sapori del Cilento”( mozzarella e ricotta di bufala, e carciofini…tutti pestani, e confettura di fichi bianchi, ovviamente del Cilento).
“La ricotta sovrasta su tutto!!! “, sentenzia il Pigna. “La confettura di fichi è eccessivamente dolce!!!”, contrattacca Albert. Intanto noi, Manuel, Stefano, Michele ed io, imperterriti del processo in corso al Cilento, continuiamo a degustarne i suoi “sapori” e segnatamente quella spettacolare ricotta di bufala, che ha come unico torto…quello di essere troppo buona!!! Alla fine si mettono d’accordo Albert ed il Pigna e stabiliscono per decreto che la pizza “i sapori del cilento”, onde evitare “la stanchezza” del gusto, determinata dal sapore predominante della ricotta e dal dolce-dolcissimo della confettura di fichi, va corretta con una macinata di pepe, al momento!!!
Del chè è verbale…immediatamente notificato a Franco che nel contempo procedeva a sincerarsi sull’indice di gradimento della propria opera. E finalmente arriva l’ora della “Pinsa conciata del ‘500 o Mastunicola”(sugna di nero casertano, origano, basilico e Conciato Romano Le campestre). Mamma che bomba di sapore!!!
Il conciato di Manuel, per Albert Sapere ed io concordo con lui, non è un formaggio da consumare normalmente come si fa con altri prodotti simili, ma è un concentrato di aromi e spezie, che come tale va usato, con parsimonia, per la sua funzione di esaltatore e caratterizzatore del gusto. Ed è proprio lungo questa linea che si muove la concezione di Franco Pepe rispetto a questo prodotto. La botta finale? “Il calzone con la scarola”(scarola riccia, acciughe di Cetara e olive caiazzane).
Qui si sente in bocca la freschezza della verdura ed anche il gioco di consistenze tra la dolce croccantezza della scarola con la sapidità e l’aromaticità delle acciughe e dei capperi. Stupendo anche questo…Allora, rifacciamo i conti. Eravamo a quota 8 , sapori del cilento inclusi, aggiungiamoci le ultime 4, calzoni compresi e approdiamo a 12, diviso 7 commensali, risultato una pizza virgola sette a persona, tenendo presente che Barbarella non ha fatto bis di spicchio alcuno, possiamo dire ci siamo ingollati 2 pizze a testa.
Beh devo osservare che almeno questa volta, non abbiamo proprio esagerato. E allora resta lo spazio per una fetta di torta che immancabilmente arriva sul tavolo come se ci avessero letto nel pensiero…Di abbinamenti non ne parlo, confesso, di birra ne capisco poco. Qualcuno potrebbe obbiettare …perchè di vino ne capisci?
Un po’ di più della birra…sicuramente, e vi dirò fosse stato per me avrei bevuto Fiano di Avellino a tuttopasto!!! Si si, avete capito bene, quel famoso vino che si produce in in Irpinia, provincia di Benevento!!!
Contento Luciano? ;-))
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