Patrimo, ossia letteralmente “mio padre”(in dialetto napoletano il pronome possessivo è attaccato al sostantivo: frateme, sorema etc) , nasce dalle vigne che circondano l’azienda dei Feudi di San Gregorio, oltre 500 metri che fanno ancora i conti con il freddo. Certo non le epiche gelate del secolo scorso, ma in Inverno qui non si scherza. E come si dice, il global warming fa bene a questa viticultura e al merlot di montagna perchp consente una piena maturazione delle uve e dunque una getsione più facile in cantina.
Nasce da una idea di Enzo Ercolino alla fine degli anni ’90: lui non ha mai creduto effettivamente sulla possibilità dell’Aglianico di emergere al pari dei grandi vini internazionali e dunque pensò che valorizzare il merlot avrebbe consentito di usare una stessa grammatica con gli importatori americani senza perdere tempo in tante spiegazioni. Era l’epoca del successo del Masseto e del Falesco, tanto pe citare due tra i più illustri merlot d’Italia.
Una scelta molto criticata proprio perchè andava nella direzione opposto in cui stava andando la viticultura campana ma che si innestava di fatto sulla scia del successo del Montevetrano (Cabernet e Merlot sostanzialmente) diventato un vino cult grazie a Parker.
Il Patrimo fu lanciato a centomila lire manifestando subito le sue ambizioni di parlare alla fascia alta dei consumatori in un momento in cui se costavi di meno eri uno sfigato. Un’altra epoca, insomma, oggi quasi inimmaginabile, fu una sorta di corsa all’oro. Un po’ come p stato per la pizza fino al lockdown.
Gli anni passano e noi abbiamo fattoben due verticali di questo vino.
La prima in azienda nel 2014 con Pierpaolo Sirch, quando il 2014 era abbena entrato in commercio
La seconda a Roma proprio quest’anno a Beviamoci Sud con Antonio Capaldo
Nella prima, molto didattica con il gruppo di assaggio di Slow Wine, si sono distinte tre fasi storiche della vita del Patrimo, la prima con Riccardo Cotarella sino al 2007. La seconda, dopo la rottur fra l’azienda e Cotarella nasce in collaborazione con l’enologo Paully George tra il 2008 e il 2012, poi, la terza, è quella di Denis Dubourdieu con l’idea di passare dalla opulenza alla eleganza, alla freschezza.
In questo contesto si inserisce appunto la 2014 che abbiamo aperto a Capodanno su un timballo borbonico di Tagliolini. Forse un po’ eccessivo, ma considerando il piatto delicato ma ben strutturato, e il vino, strutturato ma delicato grazie ai tannini setosi ed eleganti, tutto è andato bene.
A distanza di sei anni il vino si presenta ancora in tono vibrante, tonico, fresco, con frutta al naso che diventa croccante. Cercavamo insimma un classicone elegante e lo abbiamo riscontrato perfettamente anche se figlio di una annata non facile.
Il passare degli anni aiuta a storicizzare le cose, regala quel distacco necessario per delle valutazioni. Si capisce che il mondo non è o bianco o nero, o buoni o cattivi come in un film western, ma una enorme zona grigia dove solo con l’esperienza si può navigare senza paraocchi.
Possiamo oggi serenamente dire che se la Campania avesse imboccato la via dei vitigni internazionali non avrebbe la simpatia e l’interesse, sia pure di nicchia, di cui gode oggi. Ma è anche vero che con vitigni internazionali è possibile fare qui come altrove grandi vini.
E non si può che concludere proprio così: il Patrimo è un grande vino che ha avuto, tra l’altro, il grande merito di mantenere il prezzo nel corso di questi vent’anni: sul sito aziendale è venduto a 85 euro. E, non me ne vogliano gli amici dei Feudi, resta ancora il miglior rosso che questa azienda abbia mai fatto. Non il 2014, intendo proprio il Patrimo dei Feudi di San Gregorio
www.feudi.it
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