Saturne a Parigi
17, rue Notre Dame des Victoires
Tel.+33 (0)1 42603190
saturne-paris.fr
saturnetablecave@gmail.com
Il tempo passa, sembra ieri e invece era dal dicembre 2011 che non si riprovava la cucina di Sven Chartier, uno dei Passard boy più talentuosi e di tendenza.
E ci arriviamo dopo la prima stella Michelin, che in Francia come ovunque, fa la differenza: pieno come un uovo, effervescente, con il personale allegro, veloce e competente. Una tappa obbligata per capire dove sta andando la gastronomia.
C’è poco da fare: è necessario viaggiare, muoversi, vedere. Qui un locale di successo ha tutto quello che la maggioranza degli italiani detesta, ossia spazio affogato, menu “a carta libera” dove gli unici paletti che pui mettere sono le tue presunte intolleranze e dunque la impossibilità di scegliere, piatti austeri, misurati nella presentazione, non piacioni ma che tengono conto del classico percorso del pasto francese ove si parte dalla freschezza assoluta e fredda del mare per arrivare al cioccolato spudorato e sensuale.
Di giorno c’è la possibilità di mangiare a 45 euro, la sera il percorso di sei portate costa 75. Prezzi contenuti per essere nel cuore di Parigi a pochi metri dalla Borsa. L’appassionato di vini può intuire la cucina dalla carta: rigorosamente piegata sul naturale e il biologico, con una attenzione equanime a tutta la Francia nella quale la Borgogna è una delle espressioni, la più costosa ma non regina, con gite in Grecia, Italia, Germania, Spagna e Portogallo. Ricarichi misurati anche per i premier cru.
Dunque ci aspetteremo una cucina non caciarona, senza occhiolini, ma assolutamente tecnica, precisa, abile negli accostamento di carne e pesce al vegetale.
Il pane, lo abbiamo detto più volte, a Parigi è una gran bella cosa e chi viene da Napoli, abituato anche ad una certa sapidità e consistenza, si sente davvero a proprio agio. Da Saturne a Parigi è un must esaltato dallo stesso ispettore della Michelin che notoriamente vive di pane e acqua.
Viene da chiedersi come nascono i locali di tendenza come questo. Probabilmente dalla assoluta padronanza della tecnica che viene appresa da una grande bottega senza saltellare a destra e a manca come molti fanno con i master post universitariche fanno titolo in un paese estetico e burocratico come l’Italia ma che poi non servono a un cazzo perché non si impara nulla di concreto.
Poi serve la memoria di certi sapori, la conoscenza di quello che circola in giro.
Insomma, benevenuto nel regno della freschezza assoluta, dell’amaro e del low profile a tavola.
La partenza con l’ostrica è semplicemente folgorante.
A Saturne a Parigi succede che mangi un piatto di materia assoluta che si richiama al Mediterraneo come non lo hai mai maniato dalle tue parti dove vige il mantra “quando la materia è così buona non va toccata”, come dire che si può fare sesso sfrenato solo con le cozze.
Invece io la penso al contrario. L’abilità del cuoco è esaltare la qualità della materia prima come uno stilista deve fare con la bellezza.
Qui c’è gioco di consistenza, di cotto crudo, di sapori ancestrali nei quali l’origano è il benchmarcpalatale del piatto senza però sovrastarlo, ma accompagnandolo.
I due main courses sono poesia pura: tonno perfettamente cotto con taratufi, funghi e crema agrumata. La foto non rende la capacità di questo piatto piacere.
Nel piccione c’è l’asso della manica di Sven: l’uso del vegetale. Perché in realtà il protagonista del piatto è proprio l’aglio, dolce, saporito e delicato, che si accosta alla carne in modo perfetto.
Siamo da Saturne e il prosciutto spagnolo va preso assolutamente e a prescindere.
Capitolo dolci: il pre dessert è crema di formaggio di capra con pera e noci. Potrebbe chiudere così.
Ma la cucina che si tiene lontana dagli eccessi non può che chiudere con un eccesso di cioccolata.
CONCLUSIONI
La cucina di Saturne a Parigi ha un equilibrio e poggia su dei capisaldi che le consentono di aggiornarsi in automatico. I toni freschi, amari e bruciati non sono un obbligo, ma un riferimento costante che esaltano e allungano i sapori della materia prima di grande qualità e sempre ben accostata.
Uno chef così giovane credo abbia ancora molto da dire nei prossimi dieci anni e diventare uno dei protagonisti della nuova cucina mondiale. Cmq al direttore Vizzari ho proposto 18 :-)
Grandissimo bianco, cremoso ma non stucchevole, minerale, ancora ben fruttato, lungo con una chiusura precisa e pulita. Uno Chardonnay elegante e di gran classe.
Per la serie famolo strano, siamo poi passato a questo vino naturale che a me ha ricordato la cotognata che si distribuiva nelle scuole negli anni ’60. Etereo, quasi un bianco, fresco. Decisamente opposto all’idea di opulenza che l’Alsazia regala ai suoi appassionati. Un club dal quale io mi tengo ben lontano:-)
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