106 Rue Nollet
Tel. 01 42 26 01 02
www.bigarrade.fr
Beh, la prima notizia è che Christophe Pelé non è più in cucina, preferisce fare il patròn, discutere dei piatti con Kanayama e godersi gli utili. La seconda notizia è che se al primo amuse bouche lasci la posata sul piatto te la ritrovi senza colpo ferire per la seconda portata. No, non che non cambino le posate, avviene di tanto in tanto. La terza notizia è che ha guadagnato come un fulmine la seconda stella Michelin, e la quarta è che per il sito di critica nordicocentrica questo posto vale 18, ossia più di Gennaro Esposito, Iaccarino, Taverna del Capitano, etc etc etc.
Ora, eliminando da parte il provincialismo padano che esprime subalternità anche nel 2.0, resta la voragine politica aperta dal comportamento della Michelin, ossia la guida che dovrebbe omologare il mondo con il suo simboletto. Ma questo posto vale davvero più di Lopriore e del 100 per cento degli unostellato italiani? Ed ha le stesse stelle di Taillevent a cui ne è stata tolta una proprio nel momento in cui si mangia meglio? No, non credo proprio. E non è il fatto della posata tolta dal piatto e poggiata sulla tovaglia per il riuso, nella mia vita mi sono adattato a mangiare ovunque e ogni cosa, dalla Cina allo Yemen, senza formalizzarmi e guadagnandone in immunità batterica. Ma è che l’ambiente è davvero molto essenziale, il servizio cortese ma in automatico, la carta dei vini di poco conto.
Allora il modo migliore per venire qua è entrare con l’idea fare una esperienza di cucina nippo francese, in cui la portata principale di fatto scompare, i piatti come i grani messi in fila per il rosario, senza un nadir o vuoti d’aria. Una cucina sicuramente alleggerita rispetto a quella ancora imperante in città, come dimostra tra l’altro l’olio d’oliva sannita con cui si è accolti (forse è questo il motivo delle due stelle:-)
Resettando il medagliere, insomma, resta il piacere della scoperta di una cucina giovane e a buon costo, quasi a ridosso della Peripherique, una sorta di Raccordo Anulare che gira intorno al centro della città. 35 o 55 euro a pranzo, 85 a cena, a cui aggiungerete dai 50 ai 100 euro prendendo vino al bicchiere che in Francia sono carissimi. Praticamente con il primo il gestore di ripaga la bottiglia e con gli altri otto ci fa reddito.
Insomma, vogliamo finalmente dire che la cucina ci è piaciuta, ben eseguita, e persino l’atmosfera informale del pranzo è piacevole. Mangiare è un’altra cosa. Un insieme di fattori che in Italia porterebbe al massimo ad una Stella, se penso alle emozioni di Pipero al Rex o da Marianna Vitale a Sud. Già, perché loro, se questo è il parametro, dovrebbero averne quattro di stelle.
Gli amuse bouche sono ben pensati e centrati. Ottima la cozza, un po’ meno la seppia salvata dalla croccantezza del mais grigliato che regala anche il rimando fumè.
Allora questo è un locale che consiglio come seduta defalcante se siete in giro per ristoranti. O comunque per capire le tendenze a cui guarda una cerca corrente di pensiero. Se siete poi fanatici di Inaki, qui troverete la vostra dolce metà.
Qui è molto forte l’influenza orientale e chi è abituato allo stile marino tirrenico resta spiazzato perché l’idea non è quella di salvare l’integrità del prodotto, ma in qualche modo di coprirne la mancanza di sapore. Operazione che riesce perfettamente, ma a questo punto poteva esserci qualsiasi cosa.
Buonissima invece la faraona, fresca, saporita, cotta perfettamente.
In questo caso il vitello esaltato dalla bottarga di tonno ci è piaciuto molto. Ho sempre sostenuto che alcuni prodotti del mare funzionano alla grande come esaltatori di sapore, penso anche alla colatura di alici per esempio.
Decisamente buoni e moderni anche i dolci. Il primo rinfrescante, il secondo amaro. Una chiusura splendida e leggera.
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