Il panettone di Gennaro Esposito chef bistellato al supermercato Sole 365 sta facendo discutere siti e social. Nessuno coglie, mi sembra, però un dato che è la cornice nella quale si inserisce questa discussione: la crisi sanitaria sta accelerando il processo di trasformazione nella Grande Distribuzione che oggi non è solo prezzo al ribasso e qualità scadente. Anzi. E’ un discorso che noi abbiamo già fatto per la viticultura, dove è stato un argomento tabù fino al lookdown al punto che lo stesso vino veniva, e viene ancora, venduto con due nomi diversi nel settore Horeca e nella Gdo.
La crisi del Covid ha accelerato il processo e si moltiplicano i banchi di eccellenze anche all’interno della Grande Distribuzione. E in questo non c’è nulla di male, e non è neanche in contraddizione con i negozi al piccolo dettaglio che se scelgono di specializzarsi veramente hanno più di un motivo per sopravvivere e prosperare, ma che se si mettono a lottare sui margini con la Gdo hanno la sorte segnata.
Il tema, la lezione, è che anche l’artigianato enogastronomico non può prescindere più dalla grande distribuzione e dall’e-commerce e che si tratta di trovare un punto di equilibrio.
Tornando al Sole 365, io stesso sono testimone di presenza di frutta, verdura, legumi anche di piccole produzioni locali inserite finchè ci sono, ovviamente a prezzi più alti, sicchè il consumatore può scegliere tra i due euro dei fagioli argentini e i cinque di quelli di Controne.
Così sarà per i vini, per non parlare dell’e-commerce.
Purtroppo non serve nulla rimpiangere il passato, si tratta di saper governare i processi che regolano il presente e ci portano al futuro.
Un altro elemento spartiacque nel giudizio deve essere questo. Una cosa è il prodotto firmato dallo chef di grido, esempio le patatine di Cracco, che non incide più di tanto sulla qualità, altra è il prodotto dello chef che viene distribuito. Fa una grande differenza la marmellata di Stringhetto e quella firmata da Ernt Khnam per un grande marchio. Basta vedere la percentuale dello zucchero, tanto per usare un parametro. Insomma, una cosa è firmare un prodotto per dargli prestigio, altra è produrlo in proprio.
In questo caso cosa abbiamo? Un prodotto di Gennaro Esposito, che per chi non lo sapesse ha mosso i suoi primi passi proprio in pasticceria, dallo zio, e un grande chef pasticciere riconosciuto da tutti per la sua bravura, Carmine Di Donna, che producono e perciò firmano un panettone. Si tratta di qualcosa di completamente diverso, converrete.
Nella presentazione si legge: “Un panettone dal sapore speciale per la ricercatezza e la qualità delle materie prime che vengono utilizzate, come le farine del Mulino Caputo di Napoli, ma anche perché frutto della passione per la pasticceria di Gennaro Esposito e dal Maestro AMPI e pastry chef della Torre del Saracino, Carmine Di Donna. Un modo tradizionale ma nel contempo nuovo di appagare il desiderio del classico dolce natalizio. Un panettone artigianale, in diverse versioni, espressione di una lievitazione di 36 ore – senza alcuna forzatura – che rende “porosa” la pasta e che non prevede l’uso di nessun conservante”.
Per inciso, è regola giornalistica base, anche per evitare querele e citazioni per danni, confutare con fatti le cose e sostenere con prove le proprie tesi in un ambito così delicato qual è la salute delle persone. Se viene scritto “nessun conservante” da chi lo produce o bisogna trovarlo portandolo ad analizzare o non si può far entrare il dubbio solo per relata refero. Ci dichiara Gennaro Esposito da noi interpellato: “Quando Carmine mi ha detto che il nostro panettone è buono anche a febbraio non avevo motivo di contraddirlo, lo facciamo gia da qualche anno e anche perchè sappiamo benissimo che viene consumato a Natale. La scadenza non è stato proprio un argomento quando abbiamo incontrato i proprietari del 365. L’unica cosa di cui abbiamo discusso è stato il prezzo, io ho chiesto che non si scendesse sotto i 45, proprio come lo vendiamo noi o come lo può comprare chi viene al ristorante. In questo modo io mi sono liberato della distribuzione, abbastanza complicata in una fase come questa di crisi sanitaria per una piccola azienda, e il mio prodotto viaggia. Perchè non avrei dovuto farlo? A chi do fastidio? Anzi, tengo la gente al lavoro anche con il ristorante chiuso invece di mantenerli a carico dello Stato”.
Detto questo, uno è libero o meno di comprarlo. Può essere più o meno buono. Decide il mercato. Se lo scaffale si svuota, l’operazione ha un senso. Altrimenti no. Non ci sono altri parametri di giudizio.
Altra questione, molti dicono non paghiamo il panettone ma il nome. Beh, a parte che il nome non si forma per caso, ma con anni e anni di sacrifici, rinunce, lavoro duro, studi, viaggi, investimenti. Non si arriva ad avere due stelle se non hai fatto tutto questo. Quindi si, oltre la materia prima di alta qualità, paghi anche questo esattamente come la parcella di un avvocato o di un ingegnere affermati non è la stessa di quella di un neolaureato. La storia, il tempo, l’esperienza hanno un valore anche se i social sembrano annullare questa verità che alla fine rientra nella vita di ogni nerd.
Ma il tema non è neanche questo. Il tema, appunto, è che se si vede un grande prodotto in un supermercato, invece di mettere in dubbio il prodotto e cavalcare il populismo gastronomico del piccolo è bello, grande è cattivo, se si ha una mente curiosa e aperta come dovrebbe essere quella di un giornalista, bisogna forse interrogarsi sul mondo che sta cambiando a prescindere da quello che pensiamo e vogliamo noi. E certo non giocare con la vita e il lavoro delle persone senza conoscere nulla e senza fare verifiche per fare qualche like e lettura in più.
E il lavoro del giornalista è raccontare, non giudicare. Quello lo deve fare il lettore-cliente.
Come se uno avesse detto tanti decenni fa: quella carrozza cammina senza cavalli, c’è qualcosa di strano.
No, era semplicemente la prima auto.
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