di Carmelo Corona
E’ senza dubbio uno dei più caratteristici quartieri popolari di Palermo, noto anche per il suo variopinto mercato giornaliero, uno dei tanti che ogni giorno è possibile visitare nella splendida città capoluogo della Trinacria. Tra i quartieri storici della città (assieme a Ballarò, Capo e Vuccirìa), Borgo Vecchio si sviluppa a ridosso del Teatro Politeama, estendendosi fino al porto. Originariamente abitato da pescatori e marinai, che su invito del Presidente del Regno di Sicilia, Don Carlo d’Aragona, si stabilirono nei pressi dell’antica chiesa di S. Lucia al Borgo, nel Seicento “il Borgo” (com’era allora denominato) assumeva la fisionomia che avrebbe mantenuto fino alla fine del XVIII secolo, mostrando una chiara connotazione commerciale. Oggi il quartiere ha assunto una diversa configurazione dettata dai nuovi stili di vita dell’universo giovanile per la presenza di numerosi luoghi di ritrovo, pub e taverne, che ne fanno un ulteriore polo di attrazione. Giunti alla fine della lunga e trafficata Via Roma, è già possibile notare sul lato destro le case vetuste dell’affascinante e storico quartiere.
Imbocco la via Domenico Scinà e dopo un centinaio di metri trovo sulla destra la caratteristica Piazzetta Mulino a Vento, dominata dalla Trattoria Piccolo Napoli. Sono le 12:45, forse è ancora presto, penso, ed entrando trovo infatti i titolari intenti a pranzare prima del giornaliero assalto degli avventori.
Vengo attirato subito dallo spettacolare ed assortito banco pesce a vista, posto sul lato sinistro dell’ingresso. Gamberoni e triglie, calamaretti ed aragoste, orate e spatola, tutto rigorosamente freschissimo ed in bella vista.
Non è difficile immaginare la cucina del locale. L’ambiente è abbastanza semplice, tipico delle trattorie di una volta, dai toni caldi ed accoglienti. La deformazione professionale mi spinge subito l’occhio sui tavoli.
Entrando in locali vecchio stampo come questi, ho sempre l’incubo di trovare a tavola i famigerati calici “acqua e vino”, della stessa inappuntabile foggia, con il calice per il vino di capacità minore rispetto a quello per l’acqua. Con sommo stupore (e piacere!) noto ai tavoli un normale tumbler basso per l’acqua ed un calice da vino di moderna concezione.
Qui si può mangiare ‘alla carta’ (che viene effettivamente mostrata solo ai turisti stranieri) ma la maggior parte dei clienti abituali (per non dire tutti) preferisce farsi consigliare dai patron, come si addice ad un classico locale a gestione familiare. I titolari, Pippo e Gianni Corona (scherzi del caso…), dai modi semplici, affabili e solari, mettono l’avventore subito a suo agio. Entrare da loro significa, senza ombra di dubbio, entrare nella storia della ristorazione panormita, e si ha l’impressione di sentirsi a casa propria, fin dalla prima volta.
L’antipasto proposto è la tipica insalatina di mare, a base di polipo e calamaro, condita con olio, pepe, prezzemolo ed aceto, da sempre la passione di qualunque siciliano.
Piatto semplice, caratterizzato da quella acidula e marinara succulenza che lo rende sempre una gradita entrée. Per quel che concerne il primo piatto scelgo, senza esitare, le trenette ai ricci di mare, una delle specialità della casa, un piatto da perdere la testa e che diventa sempre più raro poter gustare preparato ad arte.
Scelgo anche di assaggiare le margherite con le anciova (acciughe sott’olio) estratto di pomodoro, uvetta passa, pinoli e mollica tostata. Mentre attendo l’arrivo del primo piatto, vedo Pippo Corona avvicinarsi, con fare disinvolto, al banco pesce e con nonchalance prendere un calamaretto crudo e divorarlo!
Riaprendo gli occhi dopo averlo assaporato si accorge, nel voltarsi, che lo osservavo e senza nemmeno pensarci ne prende un altro e me lo offre su un piatto, invitandomi a fare altrettanto. Ora, pur essendo io un medio-vegetariano non estremista (con un innegabile passato da carnivoro-onnivoro) e pur non essendo mai stato un amante dei cibi animali crudi, mi rendo conto che non è proprio il caso di fare lo schizzinoso e, memore del mio glorioso passato e curioso esploratore del palato, richiamo a raccolta tutte le mie risorse interiori e rispondo prontamente all’amichevole invito, buttando in bocca il calamaretto senza pensarci più di tanto. Mentre avverto quella decisa ed intensa sensazione di scivolosità e mineralità con cui il freschissimo e sapido gasteropode impregna il mio palato noto una foto storica in seppiato, appesa ad una parete del locale, che ritrae il vecchio Orazio, padre degli attuali proprietari, e una data: 1951.
Che la dice lunga sulla tradizione familiare. Lo scorso anno la famiglia Corona ha infatti festeggiato i sessant’anni di ininterrotta, gloriosa attività. La scelta dei vini, ovviamente di sole etichette regionali, è limitata ma dignitosa.
Vista la categoria in cui si gioca, è giusto essere indulgenti. Del resto, in questo genere di locali, viene naturalmente posto l’accento sulla cucina e non sui vini, che fanno da “spalla”, da accompagnatori, niente di più. Ad ogni modo, si riesce ugualmente a trovare qualche “chicca” delle più note aziende vitivinicole siciliane. La mia scelta cade, in prima battuta, su un Leone d’Almerita, un catarratto di alta collina smussato con un po’ di chardonnay, strutturato, minerale, e di buona persistenza, quindi su un accattivante Etna bianco dell’emergente azienda agricola Graci. Oltre all’immancabile insalatina di mare, il buffet degli antipasti offre sempre qualcos’altro di buono e casareccio come le cime di cavolfiore scottate e condite, le coste bollite, la caponatina… e non mancano mai le olive della varietà Nocellara del Belìce in salamoia (qui da sempre conosciute come olive bianche di Castelvetrano… vero orgoglio del mio territorio).
Tra i secondi che mi vengono proposti, scelgo di assaggiare un misto ai ferri (in questo caso triglie e gamberoni) e la seppia in tegame con estratto di pomodoro e la cipolla (davvero interessante).
Le proposte della cucina variano ovviamente in base al pescato del giorno, con un’offerta di piatti davvero degna di un serio gourmet: Pasta con le sarde e finocchietto, linguine alla Luciana (ossia, con il sugo della seppia intera in tegame con pomodoro e cipolla), tagliolini alle vongole veraci o al ragù di pesce spada, linguine all’astice, spaghetti pomodorini e gamberetti, spatola in umido con le patate, calamaro panato ed arrosto, ruota di pesce spada al forno con la mentuccia, sarago all’acquapazza, fritto misto (calamari, gamberoni, triglie).
Gli amanti del crudo si butteranno a capofitto sui freschissimi gamberoni marinati, mentre per gli appassionati dei piatti rustici non a base di pesce vanno assolutamente ricordati i mitici “bucatini ‘cchi vruoccoli arriminati” (in tricolore: bucatini con i broccoli in tegame), leggendario primo piatto della più rinomata tradizione gastronomica panormita, a base di cavolfiore, acciughe, uvetta, pinoli e zafferano.
L’addition? Beh, diciamo che dai F.lli Corona, con 45-50 euro (vino incluso) si riesce tranquillamente ad alzarsi da tavola più che soddisfatti. Non male per un locale che ha sulle spalle 60 anni di storia e la cui cucina è improntata esclusivamente sul pesce fresco. Ci sarebbe spazio per una bella fetta di cassata (che qui è buonissima) ed un passito in finale ma rischio di perdere l’aereo e sono costretto a pagare il conto mentre mastico l’ultimo boccone. Vorrà dire che mi rifarò la prossima volta, perché dai fratelli Corona si ritorna sempre volentieri, certi di ritrovare quel calore e quell’accoglienza che solo una rinomata trattoria a gestione familiare può riservare…
Trattoria Piccolo Napoli
Piazzetta Mulino a vento, 4
Palermo
Tel 091 320431
Aperto a pranzo, giovedì, venerdì e sabato anche la sera
Chiuso Domenica
Ferie: 2 settimane in agosto dal 15 al 31
Carte credito: tutte
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