di Virginia Di Falco
«Palermo è una cipolla. E’ fatta a strati. Ogni volta che ne sbucci uno ne resta un altro da sbucciare». Racconta anche così la Città Roberto Alajmo, mio amico di Facebook e mio narratore preferito della Sicilia contemporanea. E sbucciare gli strati vuole dire non arrenderti ai luoghi comuni. Ma anche non snobbarli: hanno sempre un loro perchè storico. E culturale.
E dunque, alla ricerca di un ristorante per cena, una volta sbucciata qualche trattoria nota e meno nota, turistica o veramente verace, ho prenotato all’Osteria dei Vespri, che vanta in città il primato gourmet (categoria che forse fa rabbrividire Roberto. Anzi. Senza forse.)
Categorie concettuali a parte, Alberto e Andrea Rizzo, il primo in cucina, il fratello in sala, hanno rilevato questa osteria qualche anno fa, nel centro storico di Palermo. Oggi nella splendida cornice di Palazzo Gangi (si, proprio quello del gran ballo del Gattopardo di Visconti), su una piazza suggestiva e un po’ malinconica, nella bella stagione ci sono i tavoli apparecchiati con gusto ed eleganza di questo piccolo e accogliente locale. Anche le salette interne sono molto curate e da subito se ne ricava l’impressione di un’oasi di pace e silenzio.
Le ragazze in grembiule nero servono l’acqua e le carte del cibo e del vino con grande cortesia, anche se è una sola di loro, come l’ape regina, a conoscere tutto, di cibo e di vino e a rispondere alle nostre domande curiose. Su questo ci permettiamo sommessamente un suggerimento. In un posto dove tutti i piatti sono elaborati, raccontano un particolare percorso del gusto, un territorio e i suoi prodotti, e per i quali si chiede un compenso che si ritiene adeguato (antipasti da 18 a 32 euro, primi a 24 e secondi a 26), si dovrebbe chiedere al personale di servizio se non la compartecipazione affettiva nell’offerta (non contemplata ovviamente da nessun contratto) almeno di informarsi sul tipo di pane servito, sugli ingredienti dei piatti e … sul nome dello chef patron!
Ad ogni modo, una volta individuata la persona giusta, avrete tutte le notizie sull’origine e le parti pregiate del pesce, sulle infinite dispense alimentari di questa meravigliosa regione e sui tanti presidi Slow Food utilizzati in cucina. E, soprattutto, godrete della grande competenza nella scelta dei vini di territorio.
Un benevenuto che, da subito, suggerisce la cifra del percorso creativo dello chef: un pacchero ripieno di ragù di tonno su crema di fagioli, mini arancina e spuma di tonno in bicchiere. Bene. Un po’ di tecnica non guasta mai (apprendiamo solo a fine serata che Alberto è un autodidatta che impara soprattutto nei suoi tanti viaggi alla ricerca del buon cibo) e soprattutto si omaggiano due incrollabili pilastri della cucina di tradizione: il ragù di tonno e la mitica arancina.
Come antipasto io e la mia compagna di tavolo scegliamo due diverse strade: quella del pesce e quella terragna. Il mare è quello che piace a me. Hard. Tosto. Senza mezze misure: lattume di ricciola cotto al vapore in brodo aromatico al tonno secco e salsa di soia, bianco d’uovo, profumo di noce moscata ed asparagi. Attirata dall’idea del brodo e, soprattutto del lattume (le gonadi del pesce). Un piatto deciso, gustoso, solo leggermente addomesticato dagli asparagi e dall’albume dell’uovo che si rapprende nel piatto un po’ alla volta, sorso dopo sorso.
Buono ma meno sorprendente e riuscito il coniglio, anche perchè la riduzione del balsamico vince troppo facilmente sul pistacchio e persino sul lardo.
Proseguendo, anche nel primo piatto a me va molto meglio che alla mia amica (eh! eh!).
Le mezze candele con patate affumicate, guanciale di suino nero dei Nebrodi (presidio Slow Food), cipollotto e taccole sono un abbinamento da calcio di rigore — come direbbe Pignataro. Fatto sta che sono davvero buone, il piatto è goloso ed equilibrato e nessuno degli ingredienti fa torto all’altro: i sapori sono tutti ben definiti.
Un po’ di confusione regna invece nell’altro primo piatto: i fagottini di finocchio e gambero rosso di Mazara, salsa di burrata e riduzione di vitello al rosmarino. Il sapore del gambero si perde e alla fine ci si chiede: dov’è finita la Sicilia?
Chiudiamo con un fantastico caprino da latte di capra girgentana (anche questo presidio Slow Food) ed uno strepitoso miele delle Madonie. E con la cortesia finale della piccola pasticceria.
Insomma, nel complesso dei piatti provati l’impressione è che l’entusiamo e l’esuberanza in cucina facciano perdere di vista la strada maestra (quella che viene promessa ad inizio cena). Ed è un peccato. Perchè sono evidenti l’ottima conoscenza dei prodotti del territorio, l’inventiva e la curiosità nel proporli, il piacere di condividerli con gli ospiti.
Ci avviamo lentamente verso casa. Un’aria frizzantina e un buon Etna Rosso di Benanti non hanno smesso di farci compagnia.
www.osteriadeivespri.it
Piazza Croce dei Vespri, 6
tel. 091.6171631
Aperto a pranzo e a cena
Chiuso la domenica
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