di Titti Casiello
Che gusto ha un cibo? Su questa domanda Roberto Rubino, per anni al vertice del Crea di Bella in provincia di Potenza e oggi presidente di Anfosc (Associazione nazionale formaggi sotto il cielo), ha speso la sua intera carriera.
Secondo Rubino dovremmo riappropriarci delle nostre papille gustative. Cibi scientemente dosati dal mercato, per consentire l’assoluta omologazione alimentare, si sono insinuati nelle nostre menti fino al punto di essere considerati e riconosciuti dal palato come autentici.
Ma lui, con il suo metodo basato sul confronto di uno stesso alimento, dal più scadente a quello considerato qualitativamente migliore, si propone di restituirci i reali recettori gustativi, riedificando quelle competenze individuali frantumate da alcune industrie agroalimentari.
Così, nell’ambito dei progetti finanziati dal Gal Irpinia Sannio Cilsi, si è tenuta a Napoli – al Drugstore di Mario Avallone in via Costantinopoli – una degustazione alla cieca tra differenti tipi di alimenti. Una sorta di abecedario gustativo per combattere l’estinzione dei sapori, come meglio spiegato nel suo libro “Il cibo ci parla. Istruzioni per capirne le peculiarità” (edito da Infiniti Mondi).
Ne è venuto fuori che i canoni estetici in tema alimentare sarebbero tutti da riscrivere.
Con il giallo tenue di una mozzarella dal sapore tanto più deciso e persistente da rendere quasi vano il confronto con il gusto dell’altra di un bianco brillante a stampo industriale. “E’ prodotta nel comune di Volturara Irpina, da animali che pascolano nell’ampia distesa della Piana del Dragone. Quel giallo tenue, a differenza del perfettamente candido, è sinonimo di una migliore alimentazione dell’animale perché il colore più intenso è dovuto, principalmente, alla presenza dei carotenoidi contenuta nell’erba mangiata dai bovini”. E sembra allora che la stigmate finora attribuita al giallo, spesso sinonimo di formaggio fresco andato a male, si trasformi, invece, con il “metodo Rubino”, in un nuovo parametro di qualità per valutare i latticini.
Stessa sorte si verifica anche nel mondo vegetale dove tra le quattro patate a pasta gialla in degustazione, il colore citrino dell’una quasi stona con l’anemia delle altre. “Rappresenta l’indice di un allevamento non intensivo”. E se nel mentre la persistenza gustativa non cessa neanche dopo la sua deglutizione la risposta sembra arrivare dai recenti studi di Anfosc ( in attesa di pubblicazione) “ che ci stanno portando alla convinzione che le papille sensoriali vengano stimolate, più o meno a lungo, in base alla massa e al numero dei metaboliti, cioè le molecole responsabili quando si parla di gusto e della sua persistenza”.
Suoli fertili e rese basse gli indici per valutare, poi, la qualità di un grano. Tra due pani prodotti con cereali coltivati rispettivamente al di sotto dei venti e dei quaranta quintali per ettaro, il primo sembra, infatti, portare con sé una carica maggiore di questi metaboliti non fosse altro per il lento rilascio del suo sapore “vedete le rese basse favoriscono la salubrità dei terreni e a rese minori aumenta anche il numero e la massa dei metaboliti”.
Un gioco a catena alla ricerca del gusto allora, ed ecco che la resistenza estetica unita a un’artigianalità alimentare, diventano, secondo Rubino, le coordinate per iniziare a riconoscere di nuovo il bello e il buono di un cibo.
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