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E’ vero: il panettone di Pasquale Marigliano è buono, ma veramente buono da stupire per la sua odorosa essenza e per la sua morbida, sontuosa, leggera quasi evanescente sostanza. Nasce nella maniera più semplice: dal primo impasto con il lievito madre naturale, antico di oltre 120 anni, lasciato crescere e ricrescere a più riprese, ben sei in poco più di due giornate, sotto lo sguardo vigile e attento del pasticcere. E nasce con le materie più umili, eppure le più nobili, che la pasticceria possa accogliere: la farina, le uova, il burro, l’uva passa, le mandorle e i baccelli di vaniglia. Tutte scelte a una a una senza tralasciare i particolari. Gli acini di uva appassita, ad esempio, sono quelli che non hanno bisogno di essere rinvenuti perché racchiudono ancora gli umori del frutto fresco. E i baccelli di vaniglia giungono direttamente da Tahiti, teneri, umidi, sigillati sottovuoto in un una scatola di latta dal colore giallo, che Pasquale Marigliano tiene tra le mani, apre e mostra orgoglioso, come se racchiudesse i gioielli di famiglia. Proprio, così, sono dei veri e propri gioielli di bontà questi ingredienti, che costituiscono il panettone sfornato ogni giorno alle pendici del Vesuvio nelle settimane, che avvicinano al Natale. Nel laboratorio retrobottega di questo maestro artigiano dei dolci, nato nella terra resa fertile dalla lava delle eruzioni passate, è un tripudio di gioia. Si lavora con allegria, ma con rigore e puntualità agli ordini severi del capo. Pasquale Marigliano queste cose le ha imparate giovanissimo, quando a Parigi si addestrava alla corte del grande Hermé Pierre e la sua fantasia spiccava il volo. Non potrebbero spiegarsi, altrimenti, i colori e i profumi di un dolce così perfetto nella forma tradizionale raccolta nel pirottino, nella pezzatura da uno come in quella da sette chili. Bruna è la crosta e brune sono le mandorle, che la glassano. Giallo intenso come oro è l’interno per la quantità e la qualità dei tuorli d’uovo e non certo per i coloranti. Nessuna fetta è uguale all’altra: ognuna ha occhiature diverse per forma e dimensione, mentre l’uva passa si dispone casualmente e si sprigionano i sentori intensi di vaniglia e di fruttato del vino. Quando lo mangi è leggero, morbido, setoso, si sfoglia, fa il filo, ha untuosità naturale e sottile. Come è distante questo panettone da quello che industria e sedicenti artigiani ci hanno abituati a gustare.
Vale la pena di assaggiarlo per provare sensazioni ed emozioni nuove, insolite. Così pure vale la pena di giungere fin qua e scegliere nel banco fra i dolci e le forme del cioccolato, che l’estro del pasticcere ha prodotto e quotidianamente rinnova. Come gli Stresul, un tondo biscottino di farina di mandorle pelate ricoperto di cioccolata. Come le praline di nocciola avellana e di anacardi.
Come i cioccolatini cremosi al rhum o il Vesuvio Buono, che ti scoppia ed erompe tra lingua e palato. Come Mosaic: un prezioso gioiello di alta pasticceria; un morbido voluttuoso composto di albicocca vesuviana, raccolta nel giardino di mamma, o di ricotta o di gianduia adagiato su un disco di raffinata pasta sablé. Nulla manca a questo boccone per dirlo divino. Mosaic, praline, cioccolata e Stresul vengono proposti in confezioni da più pezzi, dal costo variabile, in un elegante astuccio firmato.
Tommaso Esposito
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