OSTERIA DA VALENTINO
via Stradelli Guelfi 1246 a Castel San Pietro Terme (BO)
Tel. +39 051 949042
Aperto: a pranzo sempre, a cena solo venerdi e sabato.
Chiuso: martedì.
Conto medio sui 40 euro.
osteriadavalentino.com
di Virginia Di Falco
La sua osteria Valentino Gaino l’ha aperta nel 1989. Ma entrandoci oggi, a guardare i tavoli apparecchiati con i bicchieri ‘acqua & vino’ bombati piccoli e bassi, i grissini san carlo nel cestino del pane e la formaggiera in metallo d’antan, sembra di tuffarsi in un ristorante degli anni Settanta. Sarà che è domenica a pranzo, ma anche il vociare gaudente delle famiglie che si passano i piatti per provare di tutto un po’, allontana di qualche anno luce l’immagine di genitori e figli che a tavola al massimo condividono due foto con lo smartphone.
Siamo a Castel San Pietro Terme, a metà strada tra Imola e Bologna, antiche rivali dai tempi dei ghibellini e dei guelfi. La rivalità, almeno quella culinaria, Valentino l’ha risolta guardando decisamente alla tradizione emiliana.
Qui trovate infatti una sfoglia davvero degna di nota, e tortellini da dieci e lode.
Oste vero, tondo e burbero ma sempre sorridente, Valentino prende la comanda con penna e carta (copiativa!) e, se c’è posto al tavolo, si siede accanto a voi per recitare a voce tutto il menu, a memoria. In sala lo aiutano le due figlie, Gisella e Graziana, mentre in cucina la regia è della consorte Luciana, che proprio come la moglie del tenente Colombo, c’è ma non la si vede.
La carta è un abbecedario della cucina emiliana, con qualche incursione romagnola: tortellini in brodo, tagliatelle al ragù, lasagne (ma meglio prenotarle, finiscono subito) e poi, in stagione, le crepes ai funghi oppure le pappardelle ai porciini. Il ripieno dei tortellini è perfetto, la sfoglia di tagliatelle e pappardelle rugosa, sottile eppure tenace.
Tra i secondi, immancabile il castrato (Castel San Pietro è terra di pecora, non solo di maiale, mi ricordano gli amici di tavolo) servito ai ferri con il contorno di pomodori arrostiti oppure con patate al forno; una trippa ben eseguita, anche se con un pizzico di sale di troppo; fegato con rete e alloro, morbido e carnoso, faraona imbottita.
Da non perdere, tra i contorni, le cipolle al forno: sono quelle di Medicina, eccellenza del territorio, tutelata dal Consorzio. Oppure la crema fritta, a correggere quasi d’imperio la sapidità della cucina bolognese.
La chiusura dolce è dettata dalla tradizione, con rispetto filologico: torta di riso, zuppa inglese e fior di latte.
Un’esperienza segnata dalla gioia di stare a tavola, davvero. Con piatti tutti belli tosti, veraci, ghiotti.
Un oste vero, appassionato. E’ lui, e solo lui, che si occupa delle comande, che consiglia il vino da una piccola lista di etichette regionali, che fa la spesa, che dirige il traffico delle due grandi sale (i coperti sono un centinaio) con la memoria di chi ha mestiere.
Si esce contenti e soddisfatti mettendo in tasca il bigliettino da visita dell’Osteria, alla vecchia maniera. Ovviamente in rete c’è tutto, anche un sito web ben fatto, ma quel cartoncino è come un patto scritto a tornare. Prima di presto.
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