di Alessandra Baldini
NEW YORK «Cuciniamo ciò che vendiamo e vendiamo ciò che cuciniamo». Eataly New York oggi è ai blocchi di partenza. Il sindaco Michael Bloomberg, presente il gotha dell’imprenditoria enogastronomica italiana, ha tagliato un nastro simbolicamente realizzato in pasta per inaugurare lo sterminato megastore del gusto «tricolore» ideato da Oscar Farinetti nel cuore della Grande Mela.
6.000 metri quadrati di pizze e paste cucinate alla perfezione, carni trattate come se fossero sushi, ostriche e verdure fritte, una birreria di 650 metri quadrati sul tetto del Toy Building, un palazzo fine Ottocento di fronte all’iconico grattacielo Flatiron: Eataly, all’angolo tra Quinta e 23esima, è un gioco di parole tra Italy e eat (mangiare) ma soprattutto è una enorme sfida: «È l’american dream che sposa i sogni italiani», ha detto lo chef Mario Batali, uno dei partner americani di Farinetti con i soci Joe e Lidia Bastianich.
«Un sogno reso possibile anche da una task force del comune di New York», ha detto Bloomberg: la New Business Acceleration Team ha aiutato gli italiani a navigare negli incubi della burocrazia municipale accelerando di 15 settimane il momento del taglio del nastro.
Non è da oggi che Manhattan adora mangiare italiano: negli anni ’80 e ’90 San Domenico di Tony May, i vari Cipriani e Le Cirque di Sirio Maccioni hanno portato i newyorchesi ad apprezzare piatti oltre gli «spaghetti and meatballs» delle mense degli emigranti del Novecento. Oggi però il palato raffinato della capitale del melting pot globale ha bisogno di qualcosa che offra una marcia in più.
Ed ecco dunque l’iniziativa da 25 milioni di dollari che Farinetti, sulla scia di esperienze analoghe a Torino e in Giappone, ha lanciato accompagnato dal fondatore di Slow Food Carlo Pedrini, cinque sindaci del Piemonte (Torino, Alba, Barolo, Bra e Novello), il presidente della Liguria Claudio Burlando e il presidente della Commissione Ambiente del Senato Antonio D’Alì.
Il taglio del nastro simbolico di pasta nei colori delle bandiere italiana e americana è stato benedetto dall’arcivescovo di New York Timothy Dolan e innaffiato da magnum di Asti Spumante e Ferrari Brut. L’idea di Eataly è quella di un department store di lusso che illustra e vende le eccellenze italiane e locali in fatto di cucina con orari di apertura dalle sei di mattina per il caffè (il primo Lavazza Cafè nel mondo) alle due di notte per la birreria sul tetto.
Tutti i prodotti freschi sono locali, scelti all’insegna del meglio: come la carne di razza piemontese portata dal veterinario della Granda Carne Sergio Capaldo nel Montana con l’inseminazione artificiale, o la mozzarella prodotta ogni giorno con latti locali davanti ai clienti.
I dipendenti sono 400 di cui 300 assunti in loco, molti da aziende di Wall Street in crisi e però pronti a cambiare lavoro, come ha spiegato Adam Saper, chief financial officer e general manager di Eataly.
«Creare posti di lavoro a New York è senz’altro un modo molto efficace per promuovere il sistema Italia negli USA», ha dichiarato l’ambasciatore italiano negli Stati Uniti Giulio Terzi secondo cui Eataly rappresenta una «vetrina unica nel cuore del paese che rappresenta il terzo mercato per il nostro export».
Completano il panorama del sistema Italia un bancomat Unicredit, il corner Rizzoli per libri di cucina, lo stand per il design Alessi e Bialetti e un angolo per la lettura dei giornali, anzi del giornale: La Stampa attraverso alcuni iPad messi a disposizione dei clienti.
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