di Raffaele Mosca
Autoctono, unico, territoriale. Questo è quello che, di questi tempi, gli appassionati chiedono in maniera quasi tassativa. Giustissima questa moda, sacrosanta l’idea di difendere il patrimonio genetico e culturale di ogni territorio, ma vale anche la pena di conoscere le enclavi “alloctone “ sparse nel territorio peninsulare. Questo perché, in molti casi, i tagli bordolesi italiani hanno una storia lunghissima alle spalle. Per esempio il Liburnio, vino prodotto a Roseto degli Abruzzi dagli anni 60’, è storico al pari dei Montepulciano di Valentini e Pepe, ma è sempre stato penalizzato dal fatto d’essere un “forestiero” in una terra dove le varietà internazionali non hanno mai attecchito.
Non fu per snobbismo o per moda, ma per i suoi legami con la Francia, dove visse per molti anni, che Corrado Orlandi Contucci, diplomatico di origini toscane che sposò la discendente di una famiglia nobile abruzzese, decise di piantare Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Sauvignon Blanc, Petit Verdot e Merlot a due passi dalla costa teramana. Erano i famigerati tempi in cui tutto il vino ricavato dagli autoctoni d’ Abruzzo veniva spedito in cisterne al Nord e lui, non avendo di bisogno di vendere mosto per sfamarsi, cercò una strada che gli permettesse di produrre qualcosa di qualitativamente rilevante. Ne trovò una “internazionale” , legata alle sue esperienze oltralpe e all’ intuizione che i suoli ghiaiosi delle tenute familiari assomigliavano a quelli del Medoc. Creò, producendo il Liburnio a partire dai tardi anni 60’, un filone parallelo all’esperienza bolgherese, che a quel tempo era agli albori, e forse meriterebbe di essere annoverato tra i padri del taglio bordolese italiano.
L’ azienda consta di un corpo unico di trenta ettari che si staglia nel mezzo di un territorio, quello di Roseto degli Abruzzi, ridente località balneare, dove la vite riveste un ruolo abbastanza marginale. Il mare dista circa una decina di chilometri – forse qualcosa di meno – ma gli elementi che definiscono il paesaggio sono il Gran Sasso e il colle sul quale svetta borgo di Montepagano, oggi divenuto albergo diffuso con ristorante stellato.
In origine tutta la produzione era incentrata sui vitigni internazionali, ma, per sopperire alla richiesta del mercato, sono stati impiantati nell’ultimo ventennio anche gli autoctoni Montepulciano, Trebbiano Abruzzese e Pecorino. La conduzione dei vigneti è convenzionale, ma, per evitare di trattare troppo, si ricorre al sovescio, alla coltivazione di fiori per la proliferazione degli impollinatori e all’utilizzo di stazioni meterologiche. “ In questo modo evitiamo di fare più di 6-8 trattamenti a stagione” spiega Roberto Di Benedetto, responsabile accoglienza della tenuta.
Il lavoro in cantina è supervisionato dall’enologo Francesco Polastri e da Marina Orlandi Contucci, erede di Corrado, che ha continuato a lavorare in azienda anche dopo la cessione alle Agricole Gussalli Beretta nel 2007. Francesco lo incontro in sala degustazione e ci chiacchiero un po’. Mi spiega che evita per quanto possibile l’ aggiunta di lieviti selezionati e limita il ricorso ai solfiti per ottenere vini “genuini e digeribili”.
I vini di Orlandi Contucci Ponno
Trebbiano d’ Abruzzo Superiore Colle della Corte 2018. 100% Trebbiano abruzzese affinato in parte in acciaio e in parte in botte non tostata d’acacia. È fresco di biancospino, rosa gialla, pesca noce e brezza iodata. Il sorso è piuttosto pieno, ma offre slancio, tensione, ritorni fruttati mai troppo maturi e un finale preciso e lineare su toni salini.
Ghiaiolo 2019. Sauvignon Blanc da fermentazione spontanea affinato sur lies fino a primavera. Sa di pompelmo, lemongrass ed erbe aromatiche e al palato offre un connubio piacevole di acidità tagliente e ritorni di passion fruit. Ottima beva.
Cerasuolo d’ Abruzzo Vermiglio 2018. Classico Rosato da salasso con colore carico e naso succoso di lampone, melagrana, peonia e pomodorino infornato. Il gusto è semplice, ma sfizioso. La spinta salina sostiene il frutto e sigla un finale leggermente ammandorlato. Solo 10.000 bottiglie che vanno letteralmente a ruba.
Montepulciano d’ Abruzzo Colline Teramane La Regia Specula 2017. Nome altisonante per un Montepulciano da uve raccolte tardivamente onde “ridimensionare la nota selvatica del vitigno”. Profuma di scrucchiata (la marmellata d’uva con la quale si riempiono i dolci tipici abruzzesi), cioccolato e macchia mediterranea. In bocca è possente, concentrato, vellutatissimo. Il tannino ben estratto smorza il frutto caldo, simil-Amarone e si eclissa in un finale balsamico e cioccolatoso.
Montepulciano d’ Abruzzo Colline Teramane 2013. 20 giorni sulle bucce, tre anni in botte grande e poi in bottiglia fino per altri due. Ne esce fuori denso al limite del viscoso e spara fuori sensazioni opulente di tabacco, prugna, cioccolato, chiodo di garofano, macchia mediterranea. In bocca è bombastico, poderoso. Il tannino “macho” sferza i rimandi fruttati e scandisce il finale su toni d’inchiostro e legno arso.
Liburnio 2013. Alla cieca, direi Bolgheri, e, in effetti, il colpo d’occhio dalla sala degustazione sarebbe simile se non ci fosse il Gran Sasso a fare da sfondo. Quel che ha d’abruzzese è la parte fruttata – visciola, prugna – che ricorda il Montepulciano, ma i toni di lavanda, ibisco, tabacco e caffè sono in tutto per tutto “bordo-bolgheresi”. La gustativa è fluida, scalpitante, più leggera della media dei bordolesi italiani, raffinatamente balsamica e, soprattutto, salata in chiusura come ci aspetta da un vino marittimo. E’ un taglio bordolese straordinario, a maggior ragione se si considera che viene meno di 40 euro. 93+
Orlando Contucci Ponno a Roseto degli Abruzzi
Loc. Piana degli Ulivi, 1
Tel. 085 894 4049
www.orlandocontucciponno.it
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