di Virginia Di Falco
Onyx è un ristorante nato a Budapest nel 2007 da genitori importanti. Chiunque sia stato almeno una volta nella capitale ungherese sa di cosa parliamo quando diciamo Gerbeaud. E’ il caffè pasticceria più famoso del Paese, in piazza Vörösmarty dal 1858.
Dieci anni fa la proprietà, dopo aver ristrutturato l’intero edificio, ha deciso di investire anche in un ristorante che potesse ambire alla stella Michelin. Che infatti è arrivata, con lo chef Ádám Mészáros che continua a lavorarci in collaborazione con Ágnes Tóth, la chef a capo delle cucine del Gerbeaud.
L’ingresso è sulla strada laterale che dà sulla piazza, il che lo fa sembrare un po’ più dimesso e severo se comparato con l’immagine luminosa e chiassosa, nelle belle mattine d’estate, che offrono la brasserie e la caffetteria in stile viennese, con i loro tavolini all’aperto perennemente pieni.
L’arredamento è molto moderno, anche se i marmi gialli del banco centrale e del camino, le sedute di design in tessuto, i parati con decorazioni classiche e gli imponenti lampadari di cristallo rimandano in qualche modo ai ricchi decori della casa madre. Per contrasto i tavoli brillano di bianco e semplicità e sono tutti ben illuminati.
A pranzo c’è la possibilità di scegliere il menu da tre, quattro e sei portate. Optiamo per quest’ultimo anche perché contempla diversi piatti compresi nel «Hungarian Evolution Menu» serale al quale lo chef tiene molto, insistendo in maniera particolare sui temi dei prodotti autoctoni e stagionali e sul recupero della tradizione.
L’amuse bouche si presenta quasi in sordina, dedicata com’è completamente alla patata: in un micro involtino di chips di patata viola, in crema nella tartelletta e in mini tortilla. Sfizioso ma non incisivo.
Più convincente lo starter, e non solo per la brillantezza dei colori. Completamente vegetale, con la componente terragna della barbabietola rossa vivacizzata dalla crema al prezzemolo e da gradevoli toni agrumati. Insomma, il giusto solletico al palato che ci si aspetta da un inizio.
I diversi piccoli pani sono buonissimi, ma qui davvero c’è un forno di esperienza plurisecolare alle spalle. E il burro è delizioso.
Nella portata successiva, bella (e molto buona) l’idea della panna cotta all’aglio per accompagnare la tartare di bufalo d’acqua (ungherese, come tiene a sottolineare il maitre), purtroppo rovinata da un eccesso di sapidità e anche un po’ banalizzata dalle chips di riso, francamente.
Delicata e profumata di zafferano la trota, pesce d’acqua dolce che trovate nel 90 per cento dei menu in città, qui servita su crema di pastinaca e con un utile aiuto dal mare, appena accennato, grazie alla presenza di cozze e vongole.
La portata più efficace del lunch menu è senza dubbio il consommé di coda. Un raviolo (dim sum, per la precisione, non di semola di grano duro) farcito con fegato d’oca, servito in un brodo squisito, concentrato al punto giusto, con carote e ovetto di quaglia. Il conforto ineguagliabile di una zuppa ben riuscita.
Piuttosto deludente invece il main course, una terrina di agnello con spinaci, patate e crema di carciofi. La parte di agnello che raccoglie la terrina suggerisce carne di qualità, ma l’interno è eccessivamente sapido e gli spinaci e le patate non riescono a gettare acqua sul fuoco. Oltretutto il carciofo (in gocce di crema) non è pervenuto.
A prova di golosità la chiusura, con la riproposizione di un classico della pasticceria ungherese, la torta Somló, molto simile nell’aspetto al tiramisù, ma fatta con il pan di spagna e la crema alle noci. Qui la versione “XXI secolo” proposta dallo chef è una stratificazione, in bicchiere, dei diversi ingredienti.
Nel complesso dunque un’esperienza piacevole, molto rilassante e slow (nel loro protocollo pubblicato on line sottolineano che un pasto «deve» durare dalle due alle quattro ore), nonostante qualche evidente errore, come l’eccesso di sapidità. La sala forse dovrebbe avere una verve più decisa e coinvolgente. Salviamo invece il sommelier, un giovane professionista pimpante e molto bravo a promuovere sia l’abbinamento vino cibo, sia una carta che insiste principalmente sui vini ungheresi. La cucina si muove correttamente tra tecnica e rispetto della materia prima, ma con uno sguardo alla tradizione che sembra più l’esecuzione di un compito assegnato dall’alto che lo sguardo partecipato di chi sa raccontare la propria memoria.
ONYX Restaurant
Vörösmarty tér 7
Tel. (30) 508 0622
Aperto a pranzo e a cena (dalle 18:30)
Chiuso: domenica e lunedì
www.honixrestaurant.hu
Conto medio sui 150 euro.
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