A noi non piace criminalizzare i grassi, e in particolare, nessun grasso, se prodotto bene e consumato con attenzione, è dannoso al nostro organismo.
Ma su una cosa non possono esserci dubbi: l’olio extravergine d’oliva ha una marcia in più.
L’olio d’oliva è un alimento dall’alto valore biologico, indispensabile non solo nella gastronomia ma anche insostituibile perché alleato della salute, dell’energia e del metabolismo grazie alle sue capacità anti-infiammatorie, ipo-colesterolemizzanti e protettive delle membrane cellulari.
Come sappiamo, esistono tanti tipi di olio che differiscono non tanto per il contenuto calorico (circa nove per grammo) ma soprattutto per la loro composizione in acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi.
L’olio di oliva, toccasana per le malattie cardiache, si caratterizza per il contenuto ben equilibrato di acidi grassi saturi ed insaturi risultando più facilmente digeribile rispetto agli altri olii vegetali e contribuendo anche ad una maggiore regolarità intestinale.
Tra tutti gli olii e grassi da condimento, non c’è dubbio che il migliore sia l’olio extravergine di oliva (evo), ricco di vitamine ed antiossidanti (polifenoli, fitosteroli, clorofilla, carotenoidi).
Potremmo non finire mai l’elenco delle conosciute proprietà benefiche dell’olio di oliva ma risulta molto interessante porsi una domanda: quali sono le alterazioni che subisce l’olio sottoposto a temperature elevate? Quale è preferibile usare in cottura?
È bene ricordare che esporre gli olii alle alte temperature comporta un’accelerazione delle reazioni di ossidazione responsabili della loro degradazione con conseguente perdita del valore nutrizionale e delle caratteristiche organolettiche. Purtroppo gli effetti negativi non finiscono qui: infatti i grassi vegetali esposti per lungo tempo alle alte temperature modificano la loro composizione chimica diventando potenzialmente tossici.
Le alterazioni dipendono da diversi fattori quali la composizione in acidi grassi del prodotto di partenza, il tempo di cottura e soprattutto il livello della temperatura. Ciascun grasso, infatti, possiede un livello termico, definito punto di fumo, oltre il quale ha inizio la sua degradazione con liberazione di sostanze volatili irritanti e tossiche per il fegato.
Altra caratteristica responsabile della resistenza all’ossidazione è la percentuale di antiossidanti presenti nel grasso considerato. L’olio extravergine di oliva, non essendo sottoposto a processi di raffinazione e quindi di trasformazioni chimiche come la maggior parte degli olii (di semi, di palma, di soia) ma a processi meccanici di estrazione a freddo, è soggetto ad una minore perdita di antiossidanti.
Inoltre, gli olii raffinati possono presentare una percentuale di acidi grassi trans nocivi per la salute. In sintesi, l’olio di oliva, grazie alla presenza di agenti antiossidanti ed acido oleico e all’elevato punto di fumo (210°), risulta il più stabile e quindi quello che si deteriora più difficilmente.
Insomma direi di non demonizzare la cottura ma piuttosto di stare attenti alla scelta dell’olio ed ai tempi di cottura cercando di mantenere la temperatura al di sotto dei 180° e di non aggiungere olio fresco a quello già cotto.
*biologa nutrizionista
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