Nuove note di cucina salernitana di Alfonso Sarno

Pubblicato in: I libri da mangiare
Nuove note di cucina salernitana di Alfonso Sarno

di Erminia Pellecchia

La sua ricetta del cuore è la pizza di gallette, quella con i biscotti del tipo Oro Saiwa e la crema gialla – uova, zucchero latte e una buccia di limone – che, da bambino, gli preparava Filetta, «amatissima nonna d’elezione venuta in Italia dalla Dalmazia« Alfonso Sarno, giornalista gastronomico e scrittore, l’ha pubblicata su Facebook come «assaggio» del suo libro «Nuove note di cucina salernitana», (D&P) e la rete è impazzita. Il volume (144 pagine, 15 euro) è la riedizione di quello del 2017, ampliato con trenta ricette che si aggiungono alle oltre cento lì contenute. «Non è un aggiornamento – precisano Gaetano e Mario Provitera della casa editrice di Bracigliano – ma un arricchimento del nostro patrimonio culinario e culturale. L’autore ci invita a riscoprire e rivivere quei momenti di pausa, quelle tregue degli affanni quotidiani che il cibo sapeva e sa ancora regalare.
Siamo certi che questo manuale goloso sarà un prezioso compagno nelle cucine di chi, come noi, ama esplorare e mantenere viva la tradizione culinaria campana». Sarno ci regala ora un’altra felice escursione tra piatti dimenticati che ha rispolverato da ricettari di famiglia, raccolto nei suoi tour dell’anima in borghi antichi e vecchie trattorie o ascoltati dalla viva voce di chef appassionati come Mafalda Amabile, Enzo Crivella, Enzo Cerruti, Gaetano Morese, Raffaele Vitale e Pino Adinolfi, «suggeritore» di gran parte delle new entry come la profumatissima Frittata di pasta al limone sfusato amalfitano,
la Pasta e patate “arrecanate e zé Maria o le Uova al Purgatorio, insaporite da una spolverata di parmigiano. Valore aggiunto sono gli stralci letterari con inserti culinari di Serao, De Filippo, Marotta, riferimenti a esperti di cucina locale come Achille Talarico, e, su tutto, il diario intimo da gastronomo affetto dalla sindrome di Proust che, alla ricerca del tempo perduto, ci fa sognare con pagine “madeleine”. Ecco le Polpette di baccalà della sua Castel San Giorgio, gli Gnocchi di pane portati in Argentina dagli emigranti e riscoperti qualche anno fa con la sorella Carolina, brava cuoca, l’Insalata di limoni, merenda delle vacanze in paese, o i dolci delle monache, di cui è tra i massimi esperti in Italia. Anche se a blasonate delizie, Sarno predilige la Cotognata campagnola, di cui da piccolo era goloso.
I piatti poveri sono il cuore del libro. «Ad Alfonso – sottolinea nella prefazione un maestro dell’enogastronomia del rango di Luciano Pignataro – non piace lo chef system, non lo critica perché non è ideologico, semplicemente non gli interessa. Ama il cibo nella dimensione colloquiale, quasi presepiale. Del rapporto diretto, quasi materno, di chi prepara da mangiare e di chi mangia. Ecco perché preferisce sempre sentieri poco battuti dagli altri, fuori dai riflettori. Non è snobismo gastronomico: gli interessa la dimensione umana e della memoria del cibo».


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