Nù Trattoria Italiana e il giovane Salvatore Tassa: il futuro della cucina italiana è nella gioia della materia prima vera

Salvatore Tassa

Con Salvatore Tassa

Salvatore Tassa Nu Trattoria Italiana Acuto

Nu Trattoria Italiana dal 1960
Via Prenestina,21 Acuto
Tel.0775 56372
Aperto giovedì e venerdì sera, sabato a pranzo e cena e domenica a pranzo

Le coincidenze della vita: l’ultima volta ero stato da Salvatore Tassa con Maurizio Cortese e con lui alla fine ci sono tornato anche se in compagnia di altri cari amici e colleghi. Nel febbraio 2018 andammo incontro ad una bufera di neve, tutto calcolato, appena intempo per guadagnare l’autostrada e riparare verso Napoli per meglio affrontare le giornate di gelo glaciale che colpì l’Italia.
Stavolta c’era voglia di vivere la prima uscita di gruppo dopo la Pandemia. Una voglia di buona cucina autentica che non fosse stressante, di servizio attento ma non soffocante, di novità ma anche di conforto. Quelle voglia di stare un po’ alla Amici Miei, quel bisogno di compagnia maschile che ogni tanto ci prende.
Una ripartenza, e non poteva che essere nel covo di uno dei maestri della cucina italiana.
Protagonista della Metamorfosi di cui solo le persone capaci, lungimiranti, umanistiche, sono effettivamente capaci, tornare in trattoria dopo l’esperienza compiuta ai massimi livelli nella canonica alta ristorazione.
Tassa è il cuoco della estrazione del sapore dalla materia vera, non è cuoco artificiale lui. Sembrava andato fuori moda dopo i fuochi d’artificio degli ultimi anni sotto i colpi degli influencer che hanno ‘a capa solo per spartere ‘e recchie che però riescono bene in posa da pensatori, mentre affrontano le pentole come Einstein la formula della relatività, fotografati più di Veruschka in bianco e nero, che ci spiegano le loro idee attraverso costosi uffici stampa. Estetica oltre l’etica, ma bellissima da fotografare e sponsorizzare.
Noi cacciatori del gusto eravamo ormai lontani da queste tavole noiose, uguali, imbandite con prodotti uguali, storyteller che parlano senza raccontare.
Tassa ritirato sulla collina in Ciociaria ha avviato un percorso di maturità espressiva capace di coniugare profonda conoscenza della materia e grande tecnica. Quindi non solo cucina della memoria, ma qualcosa di più. Al tempo stesso di più arcaico e più futuribile.
Lo dimostra il suo menu a 38 euro vini esclusi che parte con l’insalata e che comprende anche i fagiolini, croccanti, deliziosi. Fino all’apice di pasta ripiena in brodo di rosmarino e alloro che da solo vale il viaggio, come lo era quello con il ripieno di aglio in brodo di mela. Altro che chilometro zero, metro zero. Non è la distanza però l’elemento che costruisce la narrazione, ma l’incredibile capacità di ripensare gli abbinamenti puntando decisi sul sapore assoluto come scopo unico. Il piatto non è buono perchè ottenuto con prodotti coltivati in proprio, ma perchè i prodotti coltivati in proprio sono a precondizione per puntare a sapori di valore assoluto che invece il cibo omologato non può in alcun modo garantire.
Tirare una pasta come una sfoglina emiliana, filtrare un brodo alla perfezione, usare ingredienti di solito complementari e renderli protagonisti per poi rimbalzare agli anni ’60 con un perfetto roast beef e patate (carni e patate locali) e alla brutalità di costate di animale sfasciato in proprio.
Una esperienza completa, concentrata sul piatto dopo il cambio passo anche sul vino, c’è tanto Cesanese e, finalmente, anche tanto Lazio a buon prezzo.
Una trattoria moderna, per 50TopItaly nelle prime dieci in Italia, un fuoriporta capace di parlare al raffinato gourmet quanto al cliente normale che ha solo voglia di provare cose buone pagando un prezzo accettabile.
Metamorfosi, Tassa ha anticipato la Pandemia di almeno due anni e si è presentato pronto alla ripresa: sui temi, sui sapori, sulla voglia di stare al ristorante in sicurezza mangiando cose buone e di grande valore.
Questa scelta ha creato così un perfetto equilibrio tra la voglia di stare insieme di un gruppo di amici, un menu straordinario e le bottiglie che cautamente ci siamo portati da casa, ad eccezione di un magnifico Terra d’Eclano.
Ci siamo seduti alle 13, ma quando abbiamo deciso che era troppo l’orologio segnava le 17. Quattro ore durate un minuto.
Irrangiungibile Salvatore Tassa, siamo pronti per il nuovo menu al piano di sopra.

 

Report del 28 febbraio 2018. Partiamo dalle conclusioni: avete voglia di un fuoriporta romano perfetto o di una scampagnata a un’ora e mezza da Napoli? Un posto dove si realizzano ricette di tradizione, dalle fettuccine al ragù di cortile ai ravioli con ricotta fresca ed erbe di campo, dal maiale al carciofo, con tanti di antipasto con i migliori salumi italiani e formaggi della tradizione del Centro-Italia? Volete una pappa al pomodoro perfetta, rinfrescata da una idea di buccia di arancia bollita, e di un millefoglie fatto come Dio comanda? E di una salsiccia ciociara conservata in olio piuttosto che di un uovo fritto o una padellata di verdure dell’orto? E magari pagare non oltre 40 euro, ma proprio massimo 50 con il vino e senza problemi di parhceggio. Bene, questo è il vostro posto.

 

Scritte queste righe per il popolo che riempe i ristoranti che dovrebbe essere lo scopo del lavoro di ogni cuoco, ora veniamo a noi gastrostrippati. Scossi dall’intervento di Salvatore Tassa a Ego a Lecce, da sempre innamorati della sua voglia di imparare, dal suo neoradicalismo gastronomico, decidiamo di andare incontro a Burian come i cacciatori di tempeste americane. Man mano che lasciamo il cielo di Napoli ancora azzurro scorgiamo l’avanguardia minacciosa della gelata siberiana che ci carezza subito con un po’ di nevischio e il brusco calo di temperatura quando ci inerpichiamo per le colline che portano ad Acuto, qui dove siamo sempre venuti in pellegrinaggio per il ristorante Le Colline Ciociare di Salvatore Tassa.

Su questa collina Salvatore ha costruito la sua nuova gioventù grazie all’aiuto del secondo figlio, Giovanni, e a una brigata di giovani precisi e impegnati. La nuova gioventù del cuoco italiano più innovativo dopo Bottura poggia su considerazioni molto semplici: la materia deve essere vera e non omologata, meglio se del territorio, le tecniche di cucina devono essere subordinate a un progetto gastronomico e il fine del piatto non è la meraviglia ma il sapore. Un cuoco deve saper cucinare anche senza il roner, deve saper scuoiare un coniglio, sfasciare un animale, distinguere le erbe di campo, macellare un agnello proprio come fino agli anni ’60 sapevano fare tutte le mamme italiane. Un cuoco non è in un piatto, non è in una trasmissione televisiva, ma nella capacità di estrarre sapore dalla materia prima e restituirlo a chi sta seduto a tavola.

Oggi, nell’era della specializzazione, tanti cuochini sono perfetti nel casting per andare in televisione ma trovano strano fare i ravioli a mano invece di comprare un buon congelato,  noiosa e inutile perdita di tempo fare pasta fresca invece di una chips di alga giapponese, trovano sminuente cucinare per il cliente invece che per se stessi. Guadagnando tempo nelle preparazioni in realtà perdono il sapere, inseguendo a tutto quello che fanno gli altri disperdono la propria identità come chi fa pipì nel mare della omologazione, la grande nemica della cucina vera, del sapore, l’obiettivo vero del grande fratello orwelliano commerciale che ci vuole tutti mangiatori di sushi scaduto.

Allora voi che siete sopravvissuti a Masterchef, alle scuole dove si scuoce la pasta, nostalgici dei sapori veri e differenti, quando ogni cosa aveva un profumo prima di essere sterilizzata dalle normative europee che ci conservano sani sostituendoci le papille con dei filtri antibatterici. Voi che siete stanchi di frequentare ristoranti d’autore vuoti con il cuoco che vi chiede come è andata a ogni piatto, che non credete più ai cuochi da laboratorio costruiti da qualche ufficio stampa per salire su palchi e palchetti in giro per il mondo. Voi che avete avuto tutte le donne del mondo, talmente tante che solo l’ingenuità di una fanciulla in fiore può farvi di nuovo commuovere e palpitare. Voi che tutto questo, venite in pellegrinaggio da Salvatore Tassa, vi attende come un monaco tibetano in cima alla collina pronto con il suo carciofo perfettamente eseguito.

Populismo gastronomico? Forse in effetti un po’ sì, ma non ne possiamo più della noia, della banalità che ci ha allontanato da quello che sente la gente comune, risucchiati dal vortice di quel centinaio di like, sempre noiosamente gli stessi, di gente che parla di sesso senza più fare l’amore.

Ecco allora alla corte del giovane Tassa ritrovare la felicità persa nelle bettole universitaria, una felicità che non è passatismo, ma voglia di modernità, la stessa che abbiamo trovato da Tickets o all’Eleven Madison Park, frutto di ricerca, tecnica, ma soprattutto di visione, cioè nutrire il corpo, nutrire la mente e far bene all’ambiente e a chi produce qualità.

Nu Trattoria Italiana dal 1960

CONCLUSIONI

Salvatore Tassa sta preparando il nuovo menu e sarà qualcosa di rivoluzionario, non un ritorno al passato, ma qualcosa di tremendamente moderno ed emozionante che non vediamo l’ora di provare al più presto in vista dell’abolizione del forno. Al piano di sotto ci sarà sempre questa trattoria. Un ripensamento o una evoluzione? Poco importa, l’importante è smarcarsi dal circo. Già il circo. Se sei bambino è ben che divertente, ma quando sei adulto vuol dire noia e pena per gli animali ammaestrati a muoversi come gli uomini, divenendo caricature di cuochi. Pardon, di chef.

Salvatore Tassa Nu Trattoria Italiana Acuto


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