di Pasquale Carlo
Identità e unicità sono valori sempre più ricercati nel mondo del vino. Questo lo sa benissimo la famiglia Lavorgna, ostinatamente concentrata a portare avanti nelle proprietà sparse in Valle Telesina vigne che vedono protagonisti i cosiddetti vitigni minori. Il secolare camaiola (quello confuso nel nome con il barbera piemontese), l’ultrasecolare coda di volpe (che da queste parti chiamano ancora “pallariell”, ricordo semantico di quel “pallagrello” che abbondava nelle campagne del Distretto di Piedimonte d’Alife, oggi Piedimonte Matese) e il misterioso vitigno agostinella.
Le vigne della famiglia di Giuseppe Lavorgna sembrano ancora nascere con le viti comprate dallo storico vivaio del castelvenerese Luigi Di Cosmo, che sorgeva non molto distante dall’abitazione dei Lavorgna incastonata nella campagna di San Lorenzello, che reclamava tra le proprie barbatelle le “viti nostrane” camaiola nera e agostegna bianca. Tutto questo oltre un secolo fa. Un secolo che poteva anche cancellare tutto se non fosse stato per la caparbietà di alcuni ostinati viticoltori che per fortuna sono ancora attiva in quest’angolo di di Sannio che, all’ombra di Cerreto Sannita (centro di rinomata produzione enologica di cui resta traccia soprattutto in una copiosa documentazione storica), si dipana tra Castelvenere e Massa di Faicchio, passando attraverso località Cancello di San Lorenzello. Località da cui, non a caso, prende il nome dell’azienda dei Lavorgna: A’ Canc’llera, il nome con cui veniva riconosciuta la mamma di Italo (il papà di Giuseppe), ad indicare la località dove era situata l’abitazione ma anche il carattere energico della donna.
Il vitigno ha subito nel corso di questo lungo secolo una continua modifica semantica, passando da uva agostegna a uva agostenga e ancora uva agostino fino all’attuale uva agostinella. Che sia qualcopsa di unico lo dicono anche gli studiosi. José Vouillamoz, noto ampelografo-genetista svizzero che si è imbattuto anche con il DNA del vitigno, afferma chiaramente che si tratta di un vitigno «unico al mondo, che non corrisponde a nessun’altra varietà», compresa la scomparsa agostenga piemontese (che secondo gli studiosi oggi “rivive” nel priè blanc valdostano).
Nonostante tutto, come il priè blanc valdostano, questo vitigno oggi risorge anche nella versione bollicine (da anni l’azienda, nelle vendemmie migliori, ne ottiene un interessante passito), con lo spumante Metodo Classico ‘Nove Lune’. Abbiamo accompagnato in trepida attesa il lungo percorso di questa bottiglia, che vanta una sosta sui lieviti di circa tre anni. L’altra sera ho sorseggiato, insieme agli amici di infanzia chiamati a raccolta proprio per questo “evento”, la bottiglia che Giuseppe mi ha generosamente assegnato dopo l’etichettatura. Difficile dare un giudizio schietto su di un vino che conquista da subito per il fatto di essere unico. Ma fatto è che la bottiglia è terminata in poco tempo, complice la sua bella struttura e la piacevole rudezza di uno spumante che non concede nulla al dolce. Interessante riproporla con una cucina più ragionata rispetto all’improvvisata dell’altra sera, come ad esempio un primo piatte di mare con crostacei o la più “sannita” tagliatella con porcini e salsiccia. Un altro tassello che riprende vita di quell’incredibile puzzle che era la viticoltura titernina-alifana che tra il finire dell’Ottocento e l’inizio del Novecento regalava vino e spumanti di estremo interesse.
Antica Masseria ‘A Canc’llera – Via Tratturo Regio San Lorenzello (BN) – tel.0824.814268 – www.acancllera.com – info@acancellera.com
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