di Ugo Marchionne
Il mondo della cucina giapponese è affascinante ai più proprio in virtù della sua estrema e peculiare varietà nelle tecniche e nelle preparazioni delle singole pietanze. Come è stato già esposto in passato l’occidente gastronomico si è pacificamente arreso all’influenza del sol levante orientale tanto nelle cotture quanto nei crudi. Sashimi e tempure dominano incontrastate, ma il nuovo che avanza soprattutto quando si tratta di cucinare a dovere una “proteina” è la Tataki. Questa tecnica probabilmente fu inventata dal samurai Sakamoto nella prefettura di Kochi intorno al XIX Secolo. Essa rappresenta che ci crediate o no la fusione tra la cucina tradizionale giapponese e quella europea, perlopiù francese.
Ebbene sì, i Samurai avevano appreso nuove tecniche di cottura tanto dai gesuiti, quanto dagli immigrati europei che si erano stabiliti nella prefettura di Nagasaki. Una miscellanea di sashimi e cottura alla griglia. La tecnica è molto semplice, consiste nello scottare rapidamente la materia prima su tutti i lati, dando origine ad una reazione di maillard, stando però bene attenti a preservarla cruda al cuore. Per una perfetta riuscita della ricetta ovviamente due sono gli accorgimenti fondamentali: il previo raffreddamento in acqua e ghiaccio e lo spessore di taglio pot-cottura di circa 1 cm.
Il gioco di consistenze è accattivante e permette di gustare al meglio il prodotto nella sua naturalità attraverso una bidimensionali delle temperature. Il primo chef nella Via Lattea della cucina stellata italiana a sdoganare la Tataki fu Davide Scabin che dal trono del suo Combal.Zero di Rivoli lanciò a suo tempo una rivoluzionaria Tataki di Melanzana.
Ad oggi l’impiego di questa tecnica è divenuto oramai diffusissimo ed è un piatto onnipresente sui menù di qualsiasi ristorante di cucina fusion. Attenzione però, non pochi infatti sono gli errori che si possono commettere nell’esecuzione di una Tataki perfetta, possiamo infatti incorrere in errori di sovracottura o di temperatura, in errori di taglio, o ancor peggio in disarmonie di panatura o ancor peggio nel bruciare la copertura esterna, solitamente fatta di sesamo. Moltissimi sono gli chef stellati e non a reinterpretare l’argomento tataki con dovizia di particolari e con grande manualità.
Tanto Giappone, ma non solo. La tataki si presta anche a contaminazioni partenopee. Gli ingredienti delle nostre tavole sono un complemento ideale ad una cottura bi-dimensionale che si presta ad essere arricchita o smorzata con componenti grasse, dolci o acide.
La tataki è diventata un vero e proprio Tataki-Style. Una nuova moda culinaria che speriamo non venga abusata. Less is more. L’essenzialità deve dominare, come la lama di una spada samurai.