TENUTA DI BARTOLOMEO
Uve: fiano, trebbiano, malvasia bianca
Fascia di prezzo: da 5 a 10 euro– 12-15 in Enoteca
Fermentazione e maturazione: acciaio
Il biotipo principale del Fiano, non si discute affatto, ha la sua dimora d’élite in Irpinia, dove soprattutto in località Arianello, sui colli di Lapio, ha trovato la sua terra promessa.
Qui, su un terreno prettamente vulcanico, si esprime in termini qualitativi molto elevati, tanto da essere considerato tra i primi cinque vitigni autoctoni a bacca bianca di tutta l’Italia. Oltretutto, il vino che se ne ricava è solitamente molto longevo e poliedrico, tanto è vero che non è raro imbattersi in un’ottima e pregevole bottiglia vecchia di 5-6 anni e più; e nelle versioni passita e spumantizzata, che completano le partes tres.
Questo vitigno (Vitis Apiana), già molto apprezzato da Plinio il Vecchio e Columella in epoca Romana, negli ultimi tempi è emigrato in quasi tutto il territorio dell’Italia meridionale, dove si è acclimatato benissimo. In modo speciale in Sicilia, dove l’azienda vinicola Planeta produce una bottiglia denominata “Cometa” che, secondo la mia personale interpretazione, può stare alla pari con i migliori cru irpini.
Da moltissimi anni questo vitigno viene coltivato intensamente anche nel Cilento, dove il clone varietale denominato “Santa Sofia” ha attecchito alla grande. Il vino che qui viene prodotto è per la maggior parte in purezza o, in alternativa, in uvaggio con altri vitigni a bacca bianca. I produttori locali come De Conciliis, Maffini, Rotolo ed altri confezionano ottime bottiglie come Antece, Perella, Donnaluna, Kratos, Pietraincatenata, Valentina, ecc.
A differenza del territorio irpino, qui il Fiano, allevato su un terreno prevalentemente argilloso e a volte perfino sabbioso, dà risultati migliori nelle vicinanze del mare e non già nell’entroterra e, più precisamente, nel territorio collinare che sovrasta la cittadina di Agropoli e il suo hinterland.
Ed è proprio in questo contesto territoriale che insiste la piccola azienda “Tenuta Di Bartolomeo”, sita a cavallo tra i comuni di Laureana Cilento e la frazione Santa Maria di Castellabate, la quale dal 2003 ha intrapreso l’attività vitivinicola, affiancandola a quella della produzione di miele, confetture, marmellate e olio extravergine di oliva, già attiva dal 1997. Impresa a conduzione familiare, in cui operano con competenza e serietà Ilaria, il fratello Daniele e la moglie di quest’ultimo Stefania. La prima vendemmia è datata 2004 e già i primi prodromi furono incoraggianti.
Poi, con l’avvento prima di Giuseppe Capo e poi dell’attuale giovane agronomo ed enologo Carlo Esposito, i risultati sono diventati sempre più soddisfacenti. Le etichette proposte sono solo tre: Noè Aglianico Cilento doc, Archetto Aglianico Paestum igt e Noè Cilento Bianco doc. Il nome “Noè” all’inizio fu messo da Stefania, perché le ricordava il primo viticoltore della storia umana.
Il vino, oggetto di questa degustazione, è il bianco del 2008. Un blend composto da preponderante fiano, con saldo di trebbiano toscano e malvasia bianca, ormai un classico coupage dell’area cilentana. L’antico vino “trebulanum” dei romani (che prende il nome dall’omonima cittadina in provincia di Caserta) e l’aromatica Malvasia bianca (vitigno importato dai veneziani nell’anno 1248 dalla città greca di Monemvasìa nel Peloponneso, da qui il nome “Malvasia” e che conta ben diciassette specie varietali nel panorama ampelografico mondiale), sono, infatti, i due vitigni a bacca bianca più sfruttati nel Cilento, dopo il Fiano naturalmente. Poco tempo fa il Noè bianco ha riscosso molto successo presso due enoteche, rispettivamente di Gallarate e Busto Arsizio in provincia di Varese, dove ho condotto alcune serate di degustazione, insieme con altri vini cilentani.
Questo vino è un rosso travestito da bianco con i suoi 13,5 gradi alcolici ed è contrassegnato, poi, da un’evidente opulenza glicerica. Infatti, basta roteare il liquido nel bicchiere e appena dopo si formano subito archetti e lacrime, che scendono lentamente e copiosamente. Ha già scontato il debito di clorofilla e, quindi, alla vista si nota una cromaticità che tende decisamente verso il paglierino quasi carico. Al naso si avvertono poco le note minerali e niente quelle nocciolate, come è invece inveterato nella tradizione irpina, ma effluvi floreali e fruttati come la ginestra, il biancospino, i fiori di campo e la pera matura, con riduzioni olfattive che poi virano decisamente verso sentori agrumati. La bocca è piena, intensa, persistente, avvolgente, leggermente aromatica e sapida e riprende le note fruttate e floreali già anticipate al naso.
Non manca poi un’ottima struttura acida, che conferisce al palato una giusta freschezza e con evidenti promesse di evoluzione nel tempo. Il tutto viene completato da un ampio e persistente sviluppo retronasale, che al momento della deglutizione lascia la bocca sazia e soddisfatta. In conclusione, quindi, un ottimo vino da abbinare alla classica cucina cilentana a base di pasta e legumi, pesce, crostacei, molluschi, carne bianca, mozzarella di bufala, cacioricotta e verdurine cotte al vapore.
Questa scheda è di Enrico Malgi
Sede a Contrada San Pietro di Castellabate – Telefono e fax 0974/962185 – Cellulari 3383042585 – 3342613260 – apisanpietro@tiscalinet.it – Enologo Carlo Esposito – Ettari di proprietà 15, di cui 5 vitati. Bottiglie prodotte circa 40.000, di cui 15.000 di Noè bianco. Vitigni: Aglianico. Fiano. Trebbiano e Malvasia.
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