Non è che siano tante le aziende italiane che possono presentare un nuovo vino facendo assaggiare vecchie annate come la 1974 e la 1961 ad un pubblico di cento invitati. Una bella prova di forza che esalta la previdenza del cantiniere in anni nei quali produrre tanto e vendere subito erano i due primi comandamenti.
I Frescobaldi hanno invece presentato il Nipozzano Vecchie Viti 2011, grande bel rosso, agile e fresco, di cui avremo modo di parlare sul Mattino, facendolo precedere da una degustazione del Montesodi 1974, il primo Chianti capace di spuntare un prezzo alto tanto da essere soprannominato dai fiorentini “Monte de sordi” e da un rosso 1961 risultato della vecchia usanza di famiglia di conservare 300 bottiglie per la nascita di un nuovo figlio. In questo caso Lamberto è del 1963, annata pessima per il vino, e il padre decise per il rosso di due anni prima.
Il Montesodi 1974 festeggia i 40 anni in perfetta forma, con un netto fruttato ancora prevalente e soprattutto con tanta energia da spendere grazie a tannini ancora in opera e soprattutto con la freschezza. Viene presentata da Sergio Di Loreto in modo informale, quasi una bevuta tra amici invece di stare seduti in sala autoptica. Unico inconveniente, l’amore estremo e pignolo dei toscani per l’estetica delle cose e dunque un camino, immancabile nel castello millenario, che ha contribuito ad arricchire il naso con un sentore fumé come ha ironicamente osservato lo stesso Lamberto Frescobaldi. Poco male, ci si sposta nell’altra sala.
Mi colpisce sempre la capacità vigorosa di questi vini pre-metanolo, figli di concezioni agronomiche e enologiche opposte a quelle dei decenni successivi, di arrivare così preparati ad appuntamenti mai pensati. Del resto il Chianti Rufina, figlio del freddo e dell’altitudine, non è nuovo a queste perfomance. Il 1974 fu appunto la prima uscita di questo cru.
Grande emozione, invece, con il Nipozzano 1961, davvero un grande annata in Toscana e in Italia. Un vino assolutamente integro, perfetto, con spunti fruttati molto tonici, rimandi di cuoio e note agrumate caramellate. In bocca è sottile, fresco, molto fine ed elegante. Godibilissimo e, integro, e piacevole. Impossibile non berlo e rubarne un altro po’. Qualcuno mi fa notare che è il racconto ad affascinare, sarà vero, ma è questa la differenza tra un vino e il vino, l’emozione di essere parte di qualcosa di esclusivo.
Insomma, davvero una bella realtà e viene da pensare cosa avrebbe potuto esprimere il nostro paese se già negli anni ’60 la cultura della conservazione del vino fosse stata di tipo francese.
Con il senno di poi è sempre facile scrivere e correggere la storia. Oggi, però, non ci sono alibi perché sappiamo che ogni regione può esprimere nel tempo gioielli di valore assoluto.
Come queste due bottiglie che abbiamo goduto insieme a tanti amici..
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