Il raffinato e sottile Muccapazza ci segnala, in un simpatico post, un antipatico infortunio giornalistico in cui è caduto il settimanale Espresso nell’ormai celebre, nel mondo dell’enogastronomia, inchiesta marcata dalla copertina VelenItaly. In pratica, è stata attribuita al gruppo Zonin la proprietà del Tavernello, a seguire la singolare intervista riparatrice. Certo, un infortunio può capitare a tutti, soprattutto se, come in questo caso, si è costretti a lavorare su argomenti di cui mai ci si era occupati in precedenza. Non scrivo certo per infierire verso un giovane collega che tra l’altro conosco benissimo avendo lavorato al Mattino, seduto proprio alle mie spalle, prima di entrare qualche mese fa nel settimanale.
In questa sede però, oltre che segnalarvi il passo falso, profitto per ribadire quanto già scritto nel blog di Stefano Bonilli. La cosa che più mi ha lasciato sconcertato di questa vicenda non è l’epilogo scontato, cioé la rottura fra Enzo Vizzari e il settimanale di cui abbiamo dato subito notizia, ma il prologo. Mi chiedo sul metodo: come è mai possibile che le cose nel mondo della stampa stiano precipitando al punto tale che una redazione, i suoi responsabili, non decidono di coinvolgere, sia pure indirettamente, i propri esperti in una occasione del genere? Mi chiedo ancora, sui contenuti: come si può pensare di trattare il made in Italy alla stregua di una inchiesta sull’abusivismo edilizio in Calabria, sulle discariche della camorra in Campania o sui conti bancari di Previti? Non sarebbe stato un arricchimento per il giornale pubblicare anche il punto di vista di persone del calibro di Vizzari, Gentili e Rizzari insieme all’inchiesta? E, se proprio devo fare un rimprovero ai colleghi: pur non avendo avuto direttive in tal senso cosa ci voleva a fare una telefonata agli “esperti” del proprio giornale per avere dritte come un tempo si usava fare nelle redazioni? Chi vive la realtà della stampa in questi anni sa bene che siamo di fronte a comportamenti ordinari e non straordinari, purtroppo. Qui non si mette in discussione il diritto e la pubblicazione di una inchiesta, quanto piuttosto si critica il non avere voluto inquadrare la denuncia nel giusto contesto. Mi chiedo infatti: parlare di Brunello e di adulterazione del prodotto significa davvero raffigurare il mondo del vino italiano? E’ possibile fare un’associazione fra quanto scritto e sbattuto in prima pagina e il mondo vitivinicolo nel suo complesso alla stregua di quelle immediate come fra casta e privilegi, conflitto di interessi e Berlusconi, morti sul lavoro e cantieri edili? Sicuramente no, perchè il sistema non solo è fondamentalmente sano e immerso nella legalità più totale, ma anche tra i più controllati in Italia. Non c’è produttore che non abbia ogni anno una o più visite fra Finanza, Nas, Asl, Regione, Comune, eccetera eccetera e il sistema è sostanzialmente onesto non per etica bensì per convenienza commerciale giocata sulla qualità. Tutto questo,e ben altro, questo avrebbero potuto spiegare Vizzari, Gentili e Rizzari.
Facile fare l’analisi psicologica: con il suo comportamento il settimanale ha voluto dimostrare di essere un ingranaggio talmente potente da poter cancellare dalle proprie pagine da un giorno all’altro uno dei maggiori gastronomi europei e mondiali, tra l’altro responsabile delle guide del gruppo. Il messaggio è molto chiaro, ed è duro un colpo all’autonomia del sapere e alla cultura dell’approfondimento, ed è l’espressione da un lato del progressivo impoverimento della stampa italiana, non a caso le copie vendute sono le stesse del 1920, dall’altro la manifestazione di una nuova arroganza di potere. Un potere moderno, orwelliano, che non ha bisogno di consenso per esercitare fino in fondo la sua cruda capacità di sconvolgere le vite degli individui, possibile grazie alla frammentazione individuale in cui è precipitata la nostra società e di cui il mondo dell’informazione è ormai espressione con contratti a termine, precari ricattabili, giovani sottopagati intercambiabili, aziende impegnate a pareggiare i costi tagliando sul personale qualificato sostituendolo con il copia e incolla dalle agenzie e da internet. Non è un caso che gli editori non vogliono il rinnovo del contratto da tre anni per avere mano libera e accrescere i loro profitti. La richiesta di Grillo di abolire l’ordine è l’ennesimo favore che il sistema politico italiano si accinge loro a fare perchè il problema non riguarda la mia fascia di età professionale, bensì i giovani che non avranno proprio nulla a cui appigliarsi. Ma questo è un altro discorso.
Come al solito, dunque, la turbolenza che ha sconvolto l’enogastronomia italiana e di cui nessuno, fuori di essa, si è accorto, è però sintomo simbolico della crisi di stanchezza in cui è precipitata la nostra nazione. Ma bisogna ancora avere la forza di indignarsi e, per quel che vale, sottolineare le storture di un sistema che non funziona, perchè si nutre di informazione senza notizie, potere senza progetti.
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