di Enrico Malgi
Come promesso, vorrei approfondire il discorso sulla produzione dei due vitigni autoctoni a bacca rossa simboli della Puglia (che resta comunque la regione più rossista per eccellenza): il primitivo ed il negroamaro, che hanno in comune molteplici elementi. Intanto c’è da dire che entrambi hanno guidato la rinascita di tutta la viticoltura pugliese, dopo gli anni bui dell’esilio per rinforzare gli anemici vini extraterritoriali prodotti in regioni dai climi più freschi.
Incominciamo col primitivo che è coltivato in quasi tutta la Regione, ma in modo particolare in provincia di Taranto (Doc di Manduria) e di Bari (Doc di Gioia del Colle), dove ha trovato il suo ideale habitat. E’ anche molto diffuso nelle province di Brindisi e di Lecce nel Salento, guarda caso la patria del negroamaro! Con i suoi 12.000 ettari vitati, di cui circa la metà denominati come Doc, il primitivo è la seconda varietà più coltivata in Puglia e viene stranamente dopo il sangiovese che arriva ad oltre 12.500 ettari vitati. Tracce di primitivo si trovano anche in Abruzzo, Basilicata, Sardegna e soprattutto in Campania.
Il primitivo ha avuto sicuramente natali nobili, progenitori illustri e parenti internazionali! Mi riferisco alle sue antiche origini illiriche che risalgono ad oltre duemila anni fa, alla sua conclamata discendenza slava e ad una consolidata parentela californiana. Il primitivo, così come il negroamaro, è anche una specie versatile che si presta a varie trasformazioni: rosso fermo, rosato, liquoroso, passito e spumante. La versione ferma è spesso frutto di una vinificazione condotta in legno grande ed a volte anche piccolo. Il primitivo (dal latino primativus, cioè precoce per la maturazione anticipata delle sue uve) ha anche tendenza ad un moderato invecchiamento.
Il primitivo è un’uva ricca di sostanze coloranti e polifenoliche che dà solitamente vini molto alcolici, concentrati e strutturati. Tra i suoi varietali markers primari al naso si evidenziano soprattutto aromi fruttati di amarena, di prugna e di sottobosco e umori floreali di violetta. Se il vino ha sostato in legno allora il bouquet è più ampio e comprende anche profumi tostati, speziati, vanigliati, tabaccosi, cioccolatosi, balsamici e mentolati. In bocca il primitivo è percettore di una trama tannica ben tessuta ed avvolgente, di una sensazione palatale calda e morbida e di una discreta acidità, tenendo conto delle particolari condizioni climatiche dove crescono le uve e dell’anticipata vendemmia. Il finale è quasi sempre persistente. In abbinamento si consigliano cibi a base di carne, cacciagione e formaggi a pasta dura.
E veniamo adesso all’alter ego negroamaro, che è quasi identico al suo gemello primitivo, con cui condivide una parte del territorio pugliese, come il Salento. Il negroamaro poi ha quasi gli stessi ettari vitati (circa 11.500), rappresentando così il terzo vitigno più coltivato in Puglia. In passato è stato costretto a subire la stessa sorte del primitivo prendendo anch’esso la strada dell’emigrazione. Ma poi si è rifatto ampiamente, tanto è vero che le ultime statistiche lo collocano al terzo posto nazionale nella classifica dei vini più venduti. Anche il negroamaro (identificato con i sinonimi di niger e mavros, cioè “nero” in latino ed in greco) ha una storia molto antica alle spalle, che risale ai tempi dell’invasione di popolazioni elleniche sul suolo pugliese. Possiede la stessa poliedricità del primitivo se non di più per quanto riguarda la diversificazione del prodotto: rosso fermo, rosato, passito, spumante e perfino bianco! Il Negroamaro, se vinificato in legno e ben conservato, è un vino che può durare molto nel tempo. Possiede un’elevata alcolicità, perché nel Salento i raggi solari picchiano forte. Ed a similitudine del primitivo, è detentore un buon contenuto di sostanze coloranti e polifenoliche e di una non eccessiva tannicità.
All’esame organolettico il vino declina dei parametri standard, che all’olfatto presentano una percezione odorosa fruttata di sottobosco e di pianta e di fiori scuri, così come il primitivo. E se lavorato in legno, il vino esibisce anche profumi di spezie, di tostato, di cacao e di vaniglia. In bocca ha più o meno le stesse caratteristiche sensoriali del primitivo: discreta astringenza, elevata alcolicità, buona acidità e morbidezza ed un finale lungo e persistente ed in più è caratterizzato da un retrogusto leggermente amarognolo. Da associare ai piatti tipici della cucina salentina.
Insomma si tratta sicuramente di due ottimi vitigni, che danno luogo a vini eccellenti. Quale preferire dei due? E’ difficile rispondere a questa domanda, anche se personalmente mantengo una mia soggettiva e lieve preferenza. E’ comunque una questione di scelta e di gusto personale. I vini più o meno si equivalgono sotto l’aspetto qualitativo e hanno molti punti in comune, com’è stato qui sottolineato. Ed entrambi rappresentano sicuramente un vanto di tutta la vitienologia pugliese e nazionale in assoluto, cosa impensabile fino a pochi anni fa! Prosit!
Dai un'occhiata anche a:
- Cirò Revolution in dieci etichette in vetrina a La Botte di Caserta
- “Tenuta Collazzi“ verticale in cinque annate
- I primi 25 anni di Cantine Astroni celebrati con due laboratori di degustazione: Campi Flegrei Falanghina e Campi Flegrei Piedirosso
- Dieci Taurasi da non perdere nella guida del Mattino 2024
- Fiano del Cilento, dieci etichette indimenticabili
- Sagrantino Montefalco, report sull’Anteprima
- Fiano di Avellino: le 10 etichette selezionate dalla guida del Mattino Mangia&Bevi 2024
- Campi Flegrei Piedirosso Colle Rotondella, degustazione per i primi 25 anni di Cantine Astroni